Ricorderò sempre con particolare piacere ogni momento delle giornate passate a Celano: i mattini sui freschi prati ai piedi del paese, vagando agli alti pioppi sparsi tra le vigne, fino a che il sole si affacciava dall’alta rupe e obbligava a cercare riparo in luoghi più nascosti; le calme serate, così piene di simpatici avvenimenti; il ritorno in paese al tramonto, accompagnato da gruppi di contadini che portavano il loro grano, o da una numerosa comitiva di ragazze, ognuna con la propria conca piena d’acqua raccolta alla fresca sorgente ai piedi della roccia. E di notte, com’era calmo e lucente il lago, simile ad una striscia d’argento, sotto le finestre del palazzo, alla luce della luna piena, mentre il vecchio castello gettava lunghe ombre sul paese addormentato.
Edward Lear (1)

Celano – Foto Leo De Rocco
Il Castello di Celano è uno dei luoghi più fotografati dai turisti che visitano l’Abruzzo, una delle cartoline turistiche più conosciute della Marsica insieme alle Gole di Celano, suggestivi canyon alti fino a 200 metri scavati sul torrente Rio la Foce, tra le montagne della Serra di Celano, la Defensa di Aielli e la Val d’Arano di Ovindoli.
Il castello, tra i più visitati in Italia, dal 1992 ospita il prestigioso “Museo della Marsica e della Collezione Torlonia”: otto sale espositive dedicate alla scultura, pittura e oreficeria, con autentici capolavori, come il prezioso “Trittico di Alba Fucens”, opera delle antiche botteghe orafe abruzzesi; rarissime porte lignee con formelle intagliate in legno d’acero risalenti al XII sec. e bassorilievi in pietra calcarea del II sec. d.C. con scorci di un’antica cittadina rivierasca sul Lago del Fucino.

Bassorilievo in pietra calcarea, II sec., d.C. – Museo della Marsica, Collezione Torlonia, Castello di Celano – Foto Leo De Rocco

Trittico di Alba Fucens, dettaglio, lamina in argento dorato, perle, gemme, smalti, prima metà del 1300 – Celano, Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco

Porte intagliate in legno d’acero, sec. XII, dettaglio – Celano, Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco

Gole di Aielli / Celano – Foto Leo De Rocco
Per conoscere meglio i celanesi e le storie legate alla loro città bisogna recarsi alla “Fonte Grande”, nella zona della vecchia Celano, quella assediata da Federico II nel 1223, la “caput aquae” che diede il nome all’antica chiesa di “Sancti Johannis Caput Aquae” (San Giovanni Capodacqua), l’attuale Madonna delle Grazie, il luogo di culto più antico di Celano.

Celano – Chiesa della Madonna delle Grazie, un tempo dedicata a “San Giovanni Capodacqua”, XI sec., sulla facciata (guardando a sinistra) si riconosce lo stemma dei Conti di Celano – Foto Leo De Rocco
La sorgente di Fonte Grande è un luogo identitario, tutte le ore del giorno sono scandite da un viavai di cittadini che a turno riempiono decine di bottiglie con un’acqua buonissima, molto fredda anche in piena estate, attingendola da una sorgente dedicata a San Francesco che arriva fin qui dal monte Sirente.
Un vero e proprio rito popolare, ultima testimonianza rimasta di un tempo ormai lontano fatto di socializzazione e condivisione.
Proprio qui a Fonte Grande ho conosciuto alcuni racconti tramandati da generazioni che i celanesi apprendono fin da bambini. Come la storia che lega queste sorgenti alle vicende dei primi Martiri cristiani e il racconto che narra di un “passaggio segreto, un tunnel, che anticamente veniva attraversato da una regina.”
I racconti popolari fanno parte delle tradizioni locali, spesso sfociano nella leggenda ma conservano sempre un certo fascino. In questo viaggio nella Marsica per conoscere la bella Celano, la sua storia, i monumenti e le bellezze naturali, seguirò le tracce di questi antichi racconti.



Celano – Sorgente di Fonte Grande – Foto Leo De Rocco
La sorgente di Fonte Grande è chiamata anche dei “Santi Martiri” in ricordo della leggenda legata a questo luogo che vide il martirio di tre nobili romani o, secondo altre fonti, nativi della Borgogna: Simplicio, Costanzo e Vittoriano, rispettivamente padre e figli. I tre giunsero a Celano a seguito della loro colpevole conversione al cristianesimo per essere giudicati nel 171 d.C. dall’imperatore Lucio Vero che, sempre secondo il racconto popolare, in quel periodo soggiornava in una villa imperiale costruita sulle alture della vicina Ovindoli, nella frazione di San Potito.
In passato nel luogo citato nel racconto furono eseguiti alcuni scavi archeologici durante i quali furono effettivamente rinvenuti i resti di un sontuoso palazzo di epoca romana ma, secondo l’ipotesi di uno studio più recente, fatto costruire da Claudio (2), l’imperatore famoso anche per i cunicoli del Fucino. Lucio Vero, prosegue il racconto, il 26 agosto del 171 d.C. fece decapitare i tre cristiani e sul luogo del martirio improvvisamente sgorgarono tre sorgenti di acqua purissima.
In questa zona di Celano così ricca di sorgenti un tempo si trovavano mulini e “gualchiere”, ossia edifici adibiti alla lavorazione della lana, della seta e della carta sfruttando l’energia idraulica. Per ricordare il luogo e il suo periodo storico oggi vie e rioni dell’antica “caput aquae” sono denominate “La Gualchiera” e “Via del Mulino Vecchio”.

“Paesaggio 8p”, Leonardo da Vinci, 1473 – Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Inoltre questa parte del paesaggio celanese, insieme a quello fucense, secondo alcuni studiosi sarebbe ritratto nel famoso primo disegno di Leonardo da Vinci custodito agli Uffizi: il “Paesaggio”, noto anche come “8p” dal numero d’inventario, che il geniale Leonardo avrebbe disegnato in occasione di un suo presunto viaggio a Celano nell’agosto del 1473, ospite dell’allora conte di Celano Antonio Todeschini-Piccolomini. E’ bene precisare che su questo viaggio giovanile di Leonardo in Abruzzo non ci sono prove documentali, inoltre il paesaggio in questione è rivendicato anche dalla Toscana e dall’Umbria.

Celano, Chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista – Foto Leo De Rocco

Celano – Chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista, particolare del portale. Nella lunetta è raffigurata la Madonna con Bambino tra San Giovanni Evangelista e papa Bonifacio IV originario della Marsica – Foto Leo De Rocco

Statue dei Santi Martiri di Celano – Foto Leo De Rocco
Le tre statue dei Santi Martiri patroni di Celano dominano l’altare maggiore della bella chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista, con la facciata in stile romanico abruzzese e un portale impreziosito da due battenti cinquecenteschi in legno di sambuco (o castagno) recentemente restaurati in cui sono elegantemente intagliati i due San Giovanni; lo stemma dei Piccolomini e, come un rebus, quello degli Aragona insieme ad altre casate nobiliari.
L’interno della chiesa è a tre navate, quella di destra è abbellita da un ciclo di affreschi quattrocenteschi, tra i quali spicca una Madonna con Bambino di Andrea De Litio, il pittore marsicano (Lecce nei Marsi, 1420 – Atri, 1495) famoso per il monumentale ciclo di affreschi nel Duomo di Atri (su questo artista vedi in questo blog l’articolo: “Atri, tra Adriano e Andrea De Litio). Su una colonna affrescata si riconosce lo stemma dei Conti di Celano, una delle sette “Grandi Casate” del Regno di Napoli. Nella stessa navata troviamo un notevole ciborio cinquecentesco in legno dorato e intagliato, usato da tempo immemorabile come fonte battesimale.

Celano – Chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista, dettaglio del portale con i battenti cinquecenteschi – Foto Leo De Rocco

Dettaglio dello stemma Piccolomini-d’Aragona – Foto Leo De Rocco

Affreschi quattrocenteschi nella navata di destra, Chiesa di San Giovanni Battista, Celano – Foto Leo De Rocco

Dettaglio degli affreschi con lo stemma dei Conti di Celano – Foto Leo De Rocco

Celano – Chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista, dettaglio degli affreschi con lo stemma dei Conti di Celano – Foto Leo De Rocco

Dettaglio degli affreschi, Madonna con bambino, Andrea De Litio – Foto Leo De Rocco

Ciborio cinquecentesco in legno dorato intagliato usato da tempo immemore come fonte battesimale – Foto Leo De Rocco
Il terremoto del 2009 fece crollare gli intonaci della sagrestia, tornarono così alla luce dopo secoli altri affreschi che ancora una volta raccontano la storia dei Santi Martiri: si riconosce l’imperatore Lucio Vero che condanna i tre martiri.
I celanesi sono così devoti a questi Santi che nell’agosto 1983 a causa di un divieto di celebrare i festeggiamenti scoppiò una rivolta cittadina con tanto di feriti tra carabinieri e dimostranti. Inoltre le cronache raccontano che nel 1923 un ladro rubò le reliquie dei tre Santi patroni, dopo l’allarme dato dalle campane della chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista si formò una folla di sei mila cittadini che occupò minacciosa il comando dei carabinieri, dove nel frattempo il ladro era stato condotto.

Dettaglio degli affreschi rinvenuti nella sagrestia della Chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista dopo il terremoto del 2009 – Foto Leo De Rocco
La storia dei tre Santi Martiri non è il solo racconto popolare diffuso tra i celanesi, si narra anche la storia di una “regina” che alcuni chiamano “Giovanna”, che “tanto tempo fa abitava nel castello” e che “attraverso un passaggio segreto, un tunnel, arrivava fin nella cripta della chiesa di Santa Maria in Valleverde…”
Quella che i celanesi chiamano “la regina” è in realtà la contessa di Celano Covella, che in effetti veniva chiamata anche Giovanna (come sua sorella) e Giacomella, da qui il vezzeggiativo, e che un tempo signoreggiava su queste terre proprio come una “regina”.
La biografia di Covella è ricostruita dettagliatamente in un bel libro, ricco di documenti inediti e frutto di un’attenta e appassionata ricerca, dal titolo: “Covella, contessa di Celano, sulla storia di una nobildonna nella Marsica del Quattrocento”, scritto da Veneranda Rubeo. L’autrice, oltre a sfatare miti e leggende, chiarisce anche l’esatta origine del nome della contessa, che è appunto Covella, così come chiamata dai suoi contemporanei e così come la contessa stessa si firmava nei documenti.

Celano – Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco

Celano – Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco
Incuriosito da questo affascinante racconto popolare vado al Castello di Celano per cercare e attraversare il “passaggio segreto”. È suggestivo intrufolarsi in questi antichi e misteriosi meandri medievali, sembra di rivivere una scena de “Il nome della Rosa” o “Ladyhawke”, tra l’altro entrambi ambientati in un castello abruzzese, quello di Rocca Calascio.

L’attore Rutger Hauer a Campo Imperatore durante le riprese del film “Ladyhawke”

Celano – Scala a chiocciola, il “passaggio segreto”, torre nord del Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco

Celano – Scala a chiocciola torre nord del Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco

Celano – Castello Piccolomini – “passaggio segreto” dalla torre nord – Foto Leo De Rocco

Celano – Castello Piccolomini – “Passaggio segreto” – Foto Leo De Rocco

Celano – Castello Piccolomini, uscita del passaggio dalla torre nord (la porticina in basso) al piano strada – Foto Leo De Rocco
Ma scopro che questo mitico “passaggio segreto”, che dalla torre nord del castello, attraverso una scala a chiocciola, scende in direzione della chiesa di Santa Maria in Valleverde, verosimilmente altro non è che un passaggio anticamente usato dal corpo di guardia del castello che per evitare di attraversare il piano nobile e invadere la privacy dei Conti raggiungeva le alte e merlate torri di guardia accedendo dal piano strada. Oppure trattasi di un’antica uscita di emergenza.

Celano – Chiesa di Santa Maria Valleverde, in lontananza il Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco

Celano – Chiesa di Santa Maria Valleverde, dettaglio della lunetta del portale – Foto Leo De Rocco
Successivamente mi reco, simbolicamente per ripercorrere il tragitto narrato nel racconto (“il tunnel segreto dal Castello alla cripta”) nella cripta della chiesa di Santa Maria in Valleverde, non lontana da Fonte Grande. Alle sue spalle si intravede in lontananza il Castello Piccolomini che, come vedremo, lo ritroveremo raffigurato in un antico affresco all’interno del vicino convento francescano.
La facciata è arricchita da una lunetta affrescata con la Madonna tra San Francesco e San Giovanni da Capestrano; in basso scolpito l’Agnus Dei sul cui stendardo c’è la croce dei Piccolomini. (foto sopra) – La chiesa presenta un’unica navata con tre cappelle laterali affrescate, ed è attigua ad un convento francescano, entrambi voluti dalla contessa Covella insieme all’allora terzo e ultimo marito Leonello Acclozamora.
Così raccontano alcune ricostruzioni storiche, ma di fatto l’edificio fu costruito all’inizio del Cinquecento dai Piccolomini-d’Aragona, successori dei suddetti Conti celanesi. Un piano del convento è occupato da una ricca biblioteca dalla quale sono partite le mie ricerche per questo articolo. Mi accoglie il gentile frate Apollonio.

Celano – Chiesa di Santa Maria Valleverde, Cripta del Paradiso – Foto Leo De Rocco

Celano – Chiesa di Santa Maria in Valleverde, Cripta del Paradiso, altare centrale con la tavola del Sodoma (è una copia, l’originale si trova su una parete della chiesa)

Cripta del Paradiso, Chiesa di Santa Maria Valleverde Celano – Foto Leo De Rocco
La cripta detta “del Paradiso” è a pianta poligonale illuminata da finestre tribolate e si trova sotto il presbiterio e il coro della chiesa. All’ingresso trovo una porta lignea del XVI sec. con due battenti finemente intagliati, delimitata da un basso arco rinascimentale con ai lati gli stemmi degli Aragona e Castiglia e dei Piccolomini-Silverio, su entrambi domina l’aquila imperiale di Carlo V.
Ai lati della volta così come all’ingresso ancora le aquile imperiali di Carlo V, ma anche le mezzelune dei Piccolomini e le teste di toro dei Silveri. Di fronte all’ingresso il sepolcro di Bernardino Silveri-Piccolomini, Vescovo di Teramo, Arcivescovo di Sorrento e maggiordomo di papa Paolo III Farnese.
Varcato l’ingresso la cripta svela il perché del nome paradisiaco: sulla volta un tripudio di colori affrescati con Dio in Gloria circondato da cherubini e serafini che sembrano farfalle e angeli che ballano come un corpo di danza classica che si sta esibendo sul palcoscenico di un celebre teatro.

Cripta del Paradiso – Foto Leo De Rocco





Cripta del Paradiso, Chiesa di Santa Maria Valleverde Celano
Sulle pareti inferiori della volta paradisiaca trovo affrescate le scene della Passione di Cristo e sull’altare centrale “Gesù e il Cireneo”, una pala d’altare dipinta dal Sodoma, (per motivi di sicurezza in copia, l’originale si trova su una parete della chiesa) notata da Edward Lear durante la sua visita in questa chiesa-convento nell’800, conclusa con un abbondante pranzo. Lo scrittore inglese tiene a farci sapere anche il menù:
Visitammo un convento che sta sotto il paese e che possiede un buon quadro, si dice la magnificenza di Giulio Romano, spiegò un vecchio frate che ce lo mostrò posto sotto la cappella del Paradiso. Alle dodici una buona minestra, merlani freschi, cappone bollito, fette di prosciutto crudo e salsicce, montagne di macaroni, vitello ripieno, piccione arrosto, pere, prugne e meloni furono assai graditi; e questo era l’usuale livello dei loro pasti.

Cripta del Paradiso, Chiesa di Santa Maria Valleverde Celano – Foto Leo De Rocco





Dettaglio affreschi Chiesa di Santa Maria Valleverde, Celano
Frate Apollonio mi mostra il suggestivo chiostro quattrocentesco abbellito da un giardino molto curato e un palmeto che lo fa sembrare un cortile andaluso o siciliano. Scorcio inusuale tra queste montagne, ma ci ricorda che un tempo in questa zona il clima era mite grazie alla presenza del grande Lago del Fucino; in passato per un periodo chiamato anche Lago di Celano.
Ai tempi dei Grand Tour il barone inglese Richard Keppel Craven (1779-1851) così descriveva la Valleverde di Celano:
Terre coltivate a piantagioni di ciliegi, le quali formano una piccola valle chiusa da argini boscosi, irrigata da chiare e copiose acque montane che scendono nel lago.
Anche sulle colonne del chiostro trovo le mezzelune simbolo dei Piccolomini, la nobile famiglia che con Antonio Todeschini-Piccolomini nel corso degli anni ‘60 del Quattrocento prese il posto dei Conti di Celano diventando il nuovo inquilino del castello, da quel momento chiamato “Piccolomini”.
Il simbolo della casata doveva essere una ossessione perché le mezzelune le ritrovo persino sulle vesti di un angelo affrescato sulla volta della cripta del Paradiso e sulla mitra indossata dal sacerdote che celebra lo sposalizio tra Maria e Giuseppe nel ciclo di affreschi presenti all’interno della chiesa in una delle cappelle laterali dedicati alla vita di Maria.
Sulle pareti del chiostro ci sono alcune lunette con scene sulla vita di San Francesco. Questo è uno dei luoghi più francescani d’Abruzzo, Celano diede i natali al Beato Tommaso e questa chiesa-convento ci ricorda anche la visita che San Francesco fece a Celano tra il 1215 e il 1220. Tommaso da Celano è una delle figure più importanti del XIII sec.: poeta, scrittore, primo agiografo-biografo di San Francesco e tra i suoi primi discepoli, considerato da molti studiosi l’autore del “Die Irae”.
In realtà in tutta l’area del Sirente troviamo tracce del passaggio di San Francesco che nei suoi viaggi in Abruzzo probabilmente attraversò le citate Gole di Celano-Aielli per raggiungere nella Valle Subequana i paesi di Castelvecchio Subequo e Gagliano Aterno, posti nell’altro versante del monte Sirente, due luoghi fondamentali del francescanesimo ma anche molto cari ai Conti di Celano. (Per un approfondimento vedi l’articolo in questo blog “Sulle tracce di San Francesco”).

Chiostro del Convento Francescano di Celano – Foto Leo De Rocco

Chiostro del Convento Francescano di Celano, mezzelune dei Piccolomini



Chiostro del Convento francescano di Celano – Foto Leo De Rocco
Ci spostiamo nel refettorio dell’antico convento francescano. I tavoli sono colmi di libri, frate Apollonio mi fa notare che stanno sistemando l’archivio, poi mi indica il Castello di Celano illuminato dalla luce del tramonto che appare come un dipinto da una finestra della sala, ma spostando di poco lo sguardo lo trovo pure raffigurato nel pannello centrale dei tre affreschi cinquecenteschi che impreziosiscono il refettorio.
È la scena della “Orazione nell’orto” (Orto degli Ulivi o Giardino dei Getsemani) in cui Gesù si ritira subito dopo l’Ultima Cena consumata con i suoi apostoli, che è rappresentata a destra, e prima dell’episodio del tradimento di Giuda, la scena a sinistra. L’inconfondibile castello di Celano si intravede in lontananza, in alto Gesù prega e nel mentre gli appare un angelo, in basso i tre apostoli addormentati: Pietro, Giacomo e Giovanni. Le scene della Passione di Gesù sono rappresentate spesso nei refettori dei conventi, in un refettorio conventuale Leonardo da Vinci dipinse il famosissimo Cenacolo, mentre il refettorio di un convento irlandese ospitava fino gli anni novanta la “Cattura e arresto di Cristo”, dipinto da Caravaggio.

Mensa del Convento francescano di Celano – Foto Leo De Rocco

Dettaglio degli affreschi nel refettorio del Convento di San Francesco a Celano – Foto Leo De Rocco


Celano – Biblioteca di Santa Maria Valleverde – Foto Leo De Rocco
L’attigua biblioteca, già citata in un inventario del ‘600, fu arricchita negli anni ’80 del secolo scorso dai frati p. Osvaldo Lemme e p. Anacleto Marulli ed oggi custodisce circa 120 mila libri, di cui schedati 48 mila. Alcuni tomi sono molto rari e antichi, inoltre ho trovato lettere e scritti autografi di personaggi famosi, come Tolstoj, D’Annunzio, Collodi, Manzoni, Giuseppe Verdi e altri.
Nella collezione scopro anche l’originale Atlante Torlonia con la storia del prosciugamento del Fucino; un leggio seicentesco; preziosi e antichi paramenti sacri; una originale raccolta di immagini sacre del ‘700, ed una croce processionale del ‘500. Una vera e propria biblioteca-museo che insieme alla cripta del Paradiso e al convento col suo bel chiostro fa di Santa Maria in Valleverde di Celano uno dei monumenti più importanti e interessanti della Marsica.

Celano – Chiesa di San Michele Arcangelo, già pertinenza dei monaci Celestini a seguito di donazione dei Conti di Celano nel XIV sec, l’edificio sarà completato nel secolo successivo. In lontananza una parte della Piana del Fucino – Foto Leo De Rocco

Celano – dettaglio del portale romanico della Chiesa di San Francesco, lunetta affrescata sec. XV, Madonna con Bambino tra San Francesco e Sant’Antonio da Padova. La Chiesa, edificata in memoria della visita a Celano di San Francesco, conserva una reliquia del Beato Tommaso da Celano. – Foto Leo De Rocco

Celano – Chiesa di San Francesco, reliquia del Beato Tommaso da Celano – Foto Leo De Rocco

Scorcio di Celano, ai piedi del Monte Tino chiamato anche “Serra di Celano” – Foto Leo De Rocco

Celano – Madonna con Bambino, affresco, Chiesa della Madonna delle Grazie – Foto Leo De Rocco – Lo stile di questo affresco mi ricorda la Madonna delle Partorienti di Antoniazzo Romano (sec.XV) Grotte Vaticane


Celano – Chiesa di Santa Maria delle Grazie, qui ho conosciuto Ermanno, storico organista della chiesa, molto conosciuto dai celanesi – Foto Leo De Rocco

Celano – Antica acquasantiera con gli stemmi dei Conti di Celano, Chiesa di Santa Maria delle Grazie – Foto Leo De Rocco


Celano – Piazza IV Novembre, la piazza principale della città – Foto Leo De Rocco


Celano – Porta del Castello – Foto Leo De Rocco
Nella storia di Celano, nell’arte di alcune sue chiese, nel Convento francescano, fino alla storia del Castello e ai racconti popolari, ricorre spesso il nome della contessa Covella e della sua antica famiglia comitale, una delle sette supreme del Regno. Ma chi erano i Conti di Celano?
Le radici della potente dinastia celanese affondano nella storia della Contea dei Marsi nata dalle vicende storiche sorte dopo la fine dell’Impero romano, con le invasioni dei Goti e dei Longobardi e la creazione, da parte di questi ultimi, dei ducati. La Marsica appartenne al ducato di Spoleto, creato nel 569 e successivamente trasformato in Gastaldia dei Marsi, in pratica una dipendenza di quel ducato.
Con l’arrivo di Carlo Magno, invitato nell’autunno del 773 da papa Adriano I per combattere i Longobardi (Assedio di Pavia, settembre 773 – giugno 774), iniziò la dominazione franca sancita dalla proclamazione di Carlo Magno re dei Romani, quindi del Sacro Romano Impero, con la famosa incoronazione celebrata la notte del Natale 800 in San Pietro. Nel 819 il figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio, elevò al titolo di Contee i suddetti Castaldi, fu così creata nel 850 la Contea dei Marsi.
In questi contesti storici attorno all’anno 900 emerse la famiglia comitale che successivamente, con la definitiva conquista della Marsica da parte dei normanni (dopo il 1143), dominò su due nuove contee marsicane: quella di Albe, assegnata al conte Berardo e quella di Celano, assegnata al conte Rainaldo (1187) ossia i due figli di Crescenzio ultimo Conte dei Marsi, così come risulta nel “Catagolus baronum”.
Da questo si evince, come più volte sottolineato (e documentato) nel bel libro di Veneranda Rubeo, che la fantomatica famiglia “Berardi”, citata per anni innumerevoli volte quale famiglia dinastica “capostipite dei Conti di Celano” in realtà non è mai esistita.
I rami della famiglia comitale proveniente dai Conti dei Marsi si divisero dunque tra il ramo dell’insediamento medievale di Albe e quello di Celano, Covella discendeva da quest’ultima contea e fu contessa della signoria di Celano dal 1422 al 1463, anno del formale passaggio della contea ad Antonio Todeschini-Piccolomini.
E’ bene sottolineare che quelle indicate sono date formali in quanto nel 1422 Covella era molto giovane e all’epoca, come vedremo, sottomessa alla famiglia Colonna intenzionata a mettere le mani sui vasti territori ereditati dalla contessina; mentre la data del 1463 indica piuttosto un passaggio formale di potere in quanto i Piccolomini ci misero tempo prima di prendere effettivo possesso di tutto il patrimonio comitale lasciato da Covella.
La storia di Covella da Celano è una delle storie più affascinanti e intriganti del periodo a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Intelligente, colta e determinata, profondamente religiosa, devota a San Francesco, discendente di quel Riccardo conte di Celano ritratto insieme a San Francesco negli affreschi giotteschi nella Basilica Superiore di Assisi, amica di famosi frati francescani poi diventati santi come Giacomo della Marca, ma soprattutto il santo-soldato Giovanni da Capestrano, suo amico spirituale, consigliere e confidente.
A Giovanni da Capestrano Covella donerà i terreni ubicati su un colle di Capestrano per farvi costruire una chiesa e un convento francescano e sempre per lui commissionerà al pittore veneziano Bartolomeo Vivarini un ritratto del santo capestranese, oggi nella collezione del Louvre ma un tempo esposto in uno dei saloni del castello di Gagliano Aterno (Aq), una delle residenze privilegiate della contessa Covella e probabile luogo che ospitò San Francesco d’Assisi nel suo viaggio in Abruzzo. (Per un approfondimento vedi l’articolo precedente “Sulle tracce di San Francesco”).

Castello di Gagliano Aterno, la colonna del cortile d’onore con lo stemma dei Conti di Celano – Foto Leo De Rocco





Quando Giovanni da Capestrano morì la contessa Covella onorò la memoria dell’amico scomparso con esequie tra le più grandiose del Quattrocento: durarono tre giorni, furono officiate da quattro Vescovi e centinaia di sacerdoti oltre a quattro mila invitati ospitati da Covella e dall’allora terzo e ultimo marito Leonello Acclozamora.
Sposata tre volte, ma probabilmente solo l’ultimo matrimonio fu per amore, Covella durante la sua vita incontrò o comunque dovette confrontarsi con i potenti dell’epoca: papi, re, nobili e principi, come gli Aragona, i d’Avalos e Federico da Montefeltro. Erede di una immensa fortuna, da giovanissima fu suo malgrado assegnata in sposa a Odoardo Colonna.
Non di bell’aspetto e forse impotente, Odoardo Colonna era il nipote di colui che forse era il vero regista di questo matrimonio imposto: l’allora papa Martino V. Infatti alla morte di quest’ultimo Covella non ci pensò due volte, fuggì dal palazzo dei Colonna per sposare, probabilmente per reciproci interessi politici, Jacopo Caldora, il celebre condottiero duca di Bari dal 1420 e marchese del Vasto, ma lui non amava molto i titoli e preferiva farsi chiamare semplicemente “Jacopo”.

Vasto – Castello Caldoresco – Foto Leo De Rocco
Altero e amante delle lettere, ritratto in un disegno da Leonardo da Vinci, Jacopo, già proprietario del castello di Pacentro, fece costruire un altro castello a Vasto, detto “Caldoresco”. Era il 1439, lo stesso anno della sua scomparsa, per costruire il castello sul mare vastese, considerato uno dei palazzi più lussuosi del primo Quattrocento, Jacopo chiamò uno dei più importanti architetti dell’epoca, il senese Mariano di Jacopo detto Taccola.
Jacopo Caldora aveva compiuto 70 anni ed era uno dei personaggi più famosi dell’epoca, quindici anni prima sfilò trionfante a fianco della regina di Napoli Giovanna II d’Angiò-Durazzo per le vie dell’Aquila dopo aver sconfitto Braccio da Montone (Andrea Fortebraccio).
Quando incontrò Covella Jacopo era dunque già anziano (almeno per i canoni dell’epoca), il matrimonio con la contessa durò pochissimi anni. È ragionevole pensare che Covella trovò nel famoso condottiero l’uomo giusto, capace di garantirle stabilità e la salvaguardia della sua contea, soprattutto in un periodo di lotte feudali.
Fu dopo la fine di questo secondo matrimonio che finalmente Covella tra la fine del 1439 e l’inizio del 1440 sposò l’unico uomo che probabilmente amò in tutta la sua vita il citato Leonello Acclozamora, non a caso appartenente alla stessa famiglia dei Caldora, in quanto nipote di Jacopo.
Particolare questo che fu strumentalizzato da una certa storiografia che arrivò a diffamare Covella accusandola addirittura di “incesto” e di aver sposato “l’amante”, accuse queste tutte smontate da Veneranda Rubeo nella precisa ricostruzione storica presente nel suo libro. Da questo terzo matrimonio Covella avrà due figli: Rogerone e Pietro – (alcune fonti parlano di una terza figlia, Isabella, ma su questo non si hanno riscontri documentali attendibili).

Castello di Gagliano Aterno – Foto Leo De Rocco
Il primogenito Rogerone, chiamato così per la sua notevole statura, arriverà a impedirle di uscire dal castello di Gagliano Aterno, luogo di residenza scelto da Covella dopo la morte dell’ultimo marito, pur di privarla della sua amata Contea di Celano.
Oltre al carattere superbo e all’avidità le azioni di Rogerone contro sua madre si inserirono anche nell’ambito delle lotte tra aragonesi e angioini. Rogerone cercò l’alleanza con il capitano di ventura Giacomo Piccinino (1423 – 1465), che in quel periodo combatteva dalla parte angioina, pur di spodestare sua madre dalla Contea; Covella invece era, almeno formalmente, devota ad Alfonso d’Aragona e sperava in un aiuto. Giacomo Piccinino era il figlio di Niccolò, il condottiero sconfitto dall’ex marito di Covella, il citato Jacopo Caldora, nella citata Guerra dell’Aquila.
Tuttavia l’assedio organizzato dal duo Rogerone-Piccinino ai danni della contessa Covella rifugiata nel Castello di Gagliano Aterno riuscì, nonostante gli aiuti richiesti da Covella ma mai arrivati. La contessa fu derubata di tutto: gioielli, argenti, ingenti depositi di lana, grano, denaro e fu condotta prigioniera, probabilmente nella vicina Castelvecchio Subequo. A Rogerone il Piccinino lasciò ben poco: masserie, un oggetto in argento, della lana; era chiaro che il ragazzo tanto ambizioso quanto ingenuo era stato raggirato.
Nel 1463 i discendenti dell’antica famiglia dei Conti dei Marsi, emersi nell’ambito del un nuovo assetto politico-amministrativo sorto dopo il 1143 in concomitanza delle conquiste normanne, non erano più Conti di Celano; il nuovo signore del Castello di Celano e della sua contea ora è un Piccolomini, Antonio (seppur, come già precisato, la piena presa del potere di tutta la contea avverrà nel giro di alcuni anni).
Antonio Piccolomini in realtà era un Todeschini ma grazie alla madre, sorella di papa Pio II – quel Silvio Enea Piccolomini che commissionò alcuni affreschi nelle Stanze Vaticane al pittore Giovenale da Celano, già collaboratore del Masaccio nella tavola di San Giovanni e San Gerolamo nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma – adottò il più conveniente cognome Piccolomini al quale aggiunse pure quello d’Aragona, grazie al matrimonio con la figlia di Ferdinando I re di Napoli. La Contea di Celano gli fu assegnata dal citato re e dallo zio papa.

L’Aquila – Basilica di San Bernardino, Mausoleo di San Bernardino da Siena, Silvestro dell’Aquila, 1489/1505 – Foto Leo De Rocco
Uscita di scena dopo l’ultimo tentativo di richiesta di aiuto al papa Pio II (che ormai aveva già deciso a favore del nipote) in quel momento a Tivoli, della contessa Covella si persero le tracce, forse per sua volontà cercò L’oblio, probabilmente si ritirò nei suoi possedimenti pugliesi ma non esistono documenti che lo provano, si sa solo che morì alcuni anni prima del 1471, forse a Napoli o nelle zone limitrofe, e che i suoi figli Pietro e Rogerone, la presenza di quest’ultimo fa pensare ad un suo pentimento, chiesero all’allora papa Sisto IV l’autorizzazione del trasferimento del corpo della contessa a L’Aquila nella Basilica di San Bernardino, la stessa dove Covella anni prima contribuì a far realizzare, (i lavori iniziarono nel 1488) grazie anche alle sue cospicue donazioni, il Mausoleo di San Bernardino, opera di Silvestro dell’Aquila, capolavoro assoluto del Rinascimento abruzzese.
Leo De Rocco
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Appendice

“Lago del Fucino presso Celano in Abruzzo”, Alessandro d’Anna, 1795 – Museum of Fine Arts, Budapest
Gole di Celano-Aielli – Leo De Rocco

Un simpatico gattino smarrito incontrato durante uno dei miei sopralluoghi alla sorgente di Fonte Grande di Celano.

Celano – Fonte Grande, rifornimento dell’acqua più buona del mondo
Ringraziamenti
Ringrazio per la preziosa collaborazione Veneranda Rubeo, storica, docente universitaria e di scuola secondaria, autrice del libro “Covella, contessa di Celano, sulla storia di una nobildonna nella Marsica del Quattrocento” fonte principale e fondamentale riferimento del presente articolo. Ringrazio inoltre la dott.ssa Adriana Rossi, responsabile della Biblioteca di Santa Maria Valleverde, Celano; frate Apollonio del Convento francescano di Santa Maria Valleverde, Celano; padre Ilvio, parroco della Chiesa di San Giovanni Battista e Evangelista; Stefano, responsabile assistenza, custodia e vigilanza del Castello Piccolomini di Celano.
Note: 1) Edward Lear, agosto 1843 da “Ai piedi del Monte Tino”, di Angelo Ianni, pag. 117; 2) Gli scavi furono condotti nel 1983 dall’Istituto Archeologico dell’Accademia Ungherese delle Scienze di Budapest con la collaborazione dell’Università dell’Aquila e dell’Archeoclub della Marsica; la presenza della villa di Lucio Vero è segnalata negli scritti di Ludovico Iacobilli e Muzio Febonio (vissuti tra il ‘500 e il’ 600) ma secondo gli studi di don Mario del Turco, parroco di San Potito e Santa Iona e grande studioso di storie antiche della Marsica, la costruzione del palazzo imperiale fu voluta dall’imperatore Claudio. – Fonte principale: Veneranda Rubeo “Covella, contessa di Celano, sulla storia di una nobildonna nella Marsica del Quattrocento” Copyright Edizioni Kirke ottobre 2015 – Fonti minori: Angelo Ianni “Ai piedi del Monte Tino”, 2010; Camillo Tollis “Storia di Celano”, 1967; Augusto Cantelmi, “Storia del Castello di Celano e del suo Lago, 1977; Giuseppe Grossi “Celano, storia arte archeologia” 1998 – Autore/Blogger: Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni 2022 derocco.leo@gmail.com