Viaggiando tra le colline pescaresi abbiamo scoperto eloquenti esempi del barocco abruzzese in due oratori mariani, a Pietranico e Alanno.* Proseguendo l’itinerario tra storia, arte e natura, oggi scopriremo a Cugnoli l’ambone medievale di Nicodemo, come vedremo simile a quello che lo stesso artista realizzò per l’abbazia di Santa Maria del Lago a Moscufo, ma anche all’ambone in Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo dei Marsi.
* (articolo: “Tra le colline di Alanno e Pietranico”)

Cugnoli – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, scorci medievali – Foto Leo De Rocco

Cugnoli – Foto Leo De Rocco

Cugnoli – Foto Leo De Rocco

Cugnoli – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano Protomartire, sec. XIII – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano Protomartire, sec. XIII – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano Protomartire, sec. XIII, a dx l’ambone di Nicodemo – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano Martire, sec. XIII, ambone di Nicodemo – Foto Leo De Rocco
L’ambone di Cugnoli è custodito nella chiesa di Santo Stefano Martire, Nicodemo lo realizzò nel 1166, lo stesso anno in cui Guglielmo II salì sul trono del Regno di Sicilia, comprendente dal 1130 anche l’Abruzzo, e lo stesso secolo in cui, ci informa lo storico Anton Ludovico Antinori (L’Aquila, 1704 – 1778) nei suoi “Annali degli Abruzzi”, si registrano le prime notizie riguardanti la storia di Cugnoli, quando le sue primarie pertinenze territoriali furono discusse e stabilite nella non lontana Abbazia di San Clemente a Casauria sotto la cui giurisdizione ricadeva un vasto territorio.
Mentre Nicodemo creava con pietra e stucco l’ambone di Cugnoli, dal paese, ci ricorda sempre Antinori, partirono alcuni cugnolesi diretti in Sicilia per prestare servizio in qualità di “cavalieri e servitori” nella corte del citato Guglielmo II (Palermo, 1153 – 1189), “il giusto re”, come scrisse il sommo Dante, la cui immagine è scolpita, non a caso, su una delle formelle in bronzo che come un mosaico compongono i battenti dello splendido portale della citata abbazia casauriense.

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano Protomartire, sec. XIII, dettaglio della palma – Foto Leo De Rocco

Mantello di re Ruggero II – Kunsthistorisches Museum Vienna
Giunti al cospetto dell’ambone cugnolese suscita curiosità la grande palma sotto la quale un uomo assorto se ne sta seduto osservando verso il basso qualcosa o qualcuno mentre ascolta, assieme agli astanti, le sacre scritture lette e recitate dall’alto della tribuna (Foto sopra). Cosa ci fa una palma tra le colline abruzzesi a ridosso del massiccio montuoso della Majella?
Probabilmente questa palma-leggìo, scelta da Nicodemo qui a Cugnoli e così ben esplicitata rispetto agli amboni di Moscufo (Santa Maria al Lago) e Rosciolo dei Marsi (Santa Maria in Valle Porclaneta, qui in collaborazione con il magister Roberto) è una citazione agli Altavilla, il nobile casato normanno al quale appartenne anche il nonno di Guglielmo II, il “vittoriosissimo” Ruggero II, primo re di Sicilia dopo la dominazione araba dell’isola. Colui che, per restare in Abruzzo, fece costruire quello che è diventato uno dei simboli turistici di questa regione: il Castello di Rocca Calascio, oggi ad uso e consumo dei turisti; nonchè abitato da dame e castellane per esigenze di scena in alcuni film ivi girati (1), ma all’epoca parte di un sistema di fortificazioni a scopo difensivo, probabilmente non ancora nella forma architettonica attuale.
Forse la costruzione (o l’ampliamento di una fortificazione già esistente) fu voluta dal “Normanno” in concomitanza della sua visita, all’incirca nel 1140, all’Abbazia di San Clemente a Casauria:
“All’arrivo del serenissimo e vittoriosissimo re Ruggero”
Annotavano sulla pergamena del Chronicon Casauriense, il prezioso manoscritto oggi conservato nella Bibliothèque National di Parigi, i monaci amanuensi Johannes Berardi e maestro Rusticus dal loro scriptorium sopra l’isolotto “Insula Piscaria”. *
* (articolo fotografico: “Abbazia di San Clemente a Casauria”, in questo Blog)

Portale dell’abbazia di San Clemente a Casauria – Foto Leo De Rocco

Castello di Rocca Calascio – Foto Franco Nicolli

Mantello di re Ruggero II – Kunsthistorisches Museum Vienna, dettaglio: palma e leone.
La palma è uno dei simboli più importanti dei re normanni siciliani. La troviamo stilizzata o meno, ricamata o tra i mosaici, nei chiostri e nei palazzi reali dell’isola.
Sul prezioso mantello in sciamito di seta rossa, foderato con un delicato lino rosa, chiamato “mantello della incoronazione di Ruggero II”, ma in realtà indossato dal sovrano solo in occasioni di importanti cerimonie di corte (saranno gli imperatori del Sacro Romano Impero ad indossarlo per cingersi la corona sul capo), campeggia, non a caso, una palma, “l’albero della vita”, simbolo di fertilità, longevità e vittoria, ricamato in una Nobiles Officinae (Tiraz) palermitana, circa 30 anni prima dell’ambone di Nicodemo, con fili d’oro, perle e smalti cloisonné.
Ai lati della palma ci sono due leoni, simbolo del casato Altavilla, i quali dominano altrettanti cammelli. Sul bordo inferiore è ricamata una solenne dedica al primo sovrano del Regno di Sicilia, ovviamente in lingua araba (iscrizione cufica).
Palme e leoni, come quelli scolpiti nella fiabesca fontana posta al centro del “chiostrino” del Duomo di Monreale, dalla cui sommità l’acqua sgorga dalle fauci di 12 leoni posti sulla cima di un fusto, ovviamente di palma. Si racconta che Guglielmo II d’Altavilla amava rinfrescarsi dalla calura isolana proprio in questa fontana.
Oltre a rinfrescarsi nell’acqua leonina Guglielmo II è ricordato anche per aver fatto costruire (i lavori iniziarono nel 1172) il Duomo di Monreale (oggi Patrimonio UNESCO), da lui dedicato alla Vergine Maria, come ci ricorda uno dei meravigliosi mosaici di scuola bizantina a fondo oro che decorano gli interni della famosa Cattedrale siciliana intitolata a Santa Maria Nuova, in cui il re è raffigurato mentre dona il modellino della chiesa monrealese alla Vergine Maria, così come sulla lunetta scolpita nel marmo del portale dell’abbazia casauriense l’abate Leonate in abiti cardinalizi dona l’abbazia a San Clemente in trono.
Una leggenda racconta che Guglielmo detto “il buono”, mentre dormiva all’ombra di un albero di carrubo tra i boschi di Monreale sognò la Vergine Maria, la quale gli rivelò che proprio tra le radici di quell’albero era nascosto un grande tesoro di monete d’oro, che doveva servire per costruire una chiesa in suo onore. Il re eseguì.
Sogni e apparizioni mariane alla base della edificazione di luoghi di culto si registreranno anche tra queste colline, a Pietranico e Alanno, ma i destinatari del messaggio divino non furono regnanti, ma umilissimi e giovanissimi contadini locali.*
*(Su questo argomento rimando all’articolo “Tra le colline di Alanno e Pietranico”, in questo Blog)

Chiostro del Duomo di Monreale, fontana a forma di palma nel “chiostrino” – Foto Leo De Rocco

Palermo, Palazzo Reale dei Normanni – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco
L’ambone di Nicodemo sembra un libro medievale rilegato in pietra, gesso e stucco sulle cui pagine sono scolpiti i simboli degli evangelisti, santi e citazioni dai testi sacri, ma anche simbologie talvolta misteriose ed enigmatiche.
Si fa notare quello che sembra un serpente con la testa simile ad un leone mentre divora, anzi ingoia, un uomo; nel mentre, sulle arcate, un lupo e un’aquila ne assediano un altro: il primo lo azzanna ad un ginocchio, mentre il rapace gli affonda il becco uncinato sul fianco, come la mostruosa Aithon inviata dal perfido Zeus per punire Prometeo.
E chissà da chi o cosa sta scappando l’omino che si arrampica sul tronco di una palma-candelabro; ma forse non è un fuggiasco e sta semplicemente andando ad accendere (o spegnere) ceri e candele posti ai lati del leggìo retto dall’angelo di Matteo. Ai piedi della palma-candelabro se ne sta seduto un uomo che sembra si stia togliendo qualcosa dal piede, evocando così lo “spinario” di ellenistica memoria.
Forse per salvarsi, almeno l’anima sembra suggerirci Nicodemo, basta seguire i 4 Evangelisti che insieme ad angeli, disegni geometrici e intrecci vegetali, scene bibliche e uomini che lottano per raggiungere il bene ma sono tentati dal male, piccoli mostri alati e animali fantastici che ricordano quelli sui tetti di Notre-Dame, completano il suo libro di pietra.
In quei tempi senza tecnologia i bambini davanti a questa tribuna rimanevano incantati mentre cercavano le figure di uomini e animali che nell’ambone gemello, scolpito da Nicodemo nel 1159 per l’abbazia benedettina di Santa Maria del Lago a Moscufo, erano tutti colorati.
Le tracce policrome, verde, rosso e rosa (forse frutto di successivi interventi) si intravedono ancora nell’altro libro di pietra pubblicato da Nicodemo, al suo debutto da “magister”, 6 anni prima a Moscufo, tra scene sacre con animali veri e fiabeschi: Giona inghiottito dalla balena, San Giorgio uccide il drago e Davide uccide l’orso, eppoi la danza di Salomé e gli immancabili uomini imbrigliati in rami e rovi mentre sono insidiati da animali feroci.
Entrambi gli amboni furono commissionati da Rainaldus di Colledimezzo (Aq), abate dell’Abbazia di Montecassino. Probabilmente all’abate piacque così tanto l’ambone di Moscufo che ne commissionò uno simile al nostro Nicodemo: “Fanne uno uguale a Cugnoli, e non ti dimenticare la palma”, deve avergli detto o scritto.
E Nicodemo esegue, ma come nel gioco enigmistico “trova le differenze” apporta qualche modifica.
Per dirne una l’uomo che sta per essere inghiottito da un animale feroce (foto sotto) Nicodemo a Moscufo lo mette non sull’ambone, come farà a Cugnoli, ma su uno dei capitelli – che costituiscono altri enigmatici capitoli del suo libro medievale – scolpito mentre si aggrappa alla colonna per cercare di salvarsi. Questo fa sospettare che a Cugnoli (invece) non aveva appigli salvifici, a meno che, e sarebbe clamoroso, questa figura originariamente non si trovava lì dove lo vediamo oggi, ma mancando le braccia, perse nel tempo, questo non lo sapremo mai.

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, dettaglio – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, capitello Nicodemo e bottega – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, 1166 – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo, 1159 – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo, 1159 – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo- Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, capitelli, Nicodemo e bottega – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, capitello Nicodemo e bottega – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, capitello Nicodemo e bottega – Foto Leo De Rocco

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, capitello Nicodemo e bottega – Foto Leo De Rocco
Mentre viaggio tra queste colline alla ricerca dei suoi tesori d’arte immagino Nicodemo durante il medioevo spostarsi sul dorso di un mulo, un cavallo, oppure a piedi, con il suo scalpello, le formelle di legno per il gesso da impastare nel finissimo marmo tritato, i vasi contenenti pigmenti e colori, e le matite per i disegni preparatori. Con lui c’erano i suoi aiutanti, alcuni probabilmente giunti dalla Sicilia col loro bagaglio stilistico arabeggiante, e i suoi allievi, perché Nocodemo era un “Magister”, ossia titolare di bottega.
Ma la sua attività artistica, oltre a Cugnoli e Moscufo, la troviamo anche nell’aquilano, nella bella chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, a Rosciolo dei Marsi, nella quale ciborio e ambone furono realizzati da Nicodemo insieme a Roberto e Ruggero, gli autori del ciborio di San Clemente al Vomano, gioiellino romanico che arreda l’omonima chiesa nel teramano.
I tre fondarono una sorta di cooperativa di artisti, la “premiata ditta Ruggero & Figli”, perché oltre a Roberto è probabile che anche Nicodemo, riportato come “Nocodemus da Guardiagrele” ma di Guardiagrele non era, era figlio di Ruggero.
Ma a parte il gioco di parole in realtà Nicodemo come detto diventerà anch’egli magister e nella citata chiesa al Vomano il ciborio fu realizzato soprattutto da Roberto. Ad ogni modo i tre configurarono una peculiarità tutta abruzzese nella storia dell’arte medievale italiana, una originale testimonianza del romanico nella sua versione abruzzese.
(Sulla chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta rimando all’articolo “Il gioiello del Velino”, in questo Blog).

Santa Maria in Valle Porclaneta, Rosciolo dei Marsi: ambone, iconostasi e ciborio – Foto Leo De Rocco
Quando nel 1166 Nicodemo realizzò l’ambone di Cugnoli destinato, come riportano alcune fonti, ad un monastero cistercense ubicato a circa 2 chilometri da Cugnoli, (oggi non più esistente), non poteva immaginare che circa 4 secoli dopo, nella prima metà nel ‘500, il suo ambone sarà smontato per essere caricato a pezzi su un carro e trasportato nella chiesa di Santo Stefano, dove fu ricomposto (non in maniera ottimale) e dove ancora oggi lo ammiriamo.
Anche se non ci sono prove documentali che l’opera provenga da un arredo cistercense del luogo, a noi interessa che l’ambone oggi sia qui e non perso o volato via, come il ciborio che Nicodemo realizzò per l’abbazia benedettina di San Martino, a San Martino sulla Marrucina, polverizzato, come nella scena di un film catastrofico, da una tromba d’aria agli inizi del ‘900.
Se il nostro Nicodemo fosse ora qui con noi a Cugnoli la prima cosa che noterebbe è la mancanza della scala, che lui costruì per salire sull’ambone, modellando nello stucco le balaustre: ma dove sarà finita?
E noterebbe che da quel momento il suo ambone cercherà un improbabile dialogo stilistico con due sculture lignee policrome, che erano lì dal ‘400. Rappresentano l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, ma quei panneggi e le dorature annunciano anche il Rinascimento.
Per non essere da meno in questo gioco di somiglianze pure l’ambone gemello (o quasi) di Moscufo dialoga con un’opera rinascimentale: una tavola dipinta dal magister Andrea de’ Litio * sempre nel ‘400 (1465) che raffigura una Madonna con Bambino.
Il gentile don Augusto qui a Cugnoli è una istituzione, è parroco della chiesa di Santo Stefano protomartire da quasi mezzo secolo, mi racconta che anni fa, in pieno inverno, lui stesso ritrovò le statue dell’Annunciazione sepolte sotto la neve. Furono lasciate frettolosamente in piena campagna, al gelo, dopo un furto maldestro. Oggi il gruppo scultoreo è protetto da un sofisticato sistema di allarme e dalla vigilanza.
* (Su Andrea de’ Litio in questo Blog: “Atri, tra Adriano e Andrea de’ Litio)

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, Annunciazione, legno scolpito policromato e dorato, XV sec. – Foto Leo De Rocco

Moscufo, Abbazia Madonna del Lago, Madonna con Bambino, XV sec. Andrea de’ Litio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, Madonna con Bambino, XVI sec. – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, Madonna addolorata tra i santi Stefano e Paolo – Foto Leo De Rocco
Più difficile, se non impossibile, il dialogo dell’ambone medievale con la vicina statua in stile rinascimentale di una Madonna con Bambino e una pala d’altare del ‘700 il cui stile barocco, compreso la sovrastante finta finestra in tromp-l’oeil, tanto di moda nel barocco sei-settecentesco, fa diventare il romanico del nostro Nicodemo un lontanissimo ricordo. Finte finestre e finti marmi, come quelli che decorano gli oratori di Santa Maria della Croce e Santa Maria delle Grazie, nei vicini paesi di Pietranico e Alanno. Il barocco del resto è retorica e stupore.
La chiesa di Cugnoli sembra un museo d’arte in cui sono esposte opere di diversa datazione, ha ragione il gentile don Augusto quando accogliendomi esordisce con: “Vedi, questa è una chiesa poliedrica”.
Leo De Rocco
Copyright testo e foto – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com
Le leggi tutelano il rispetto del copyright – Pictures it is forbidden to use any part of this article without specific authorisation – Fonti: “Ruggero II, il conquistatore normanno che conquistò il Regno di Sicilia” di Glauco Maria Cantarella, Salerno Editrice, 2020 – Note: 1) Il Castello di Rocca Calascio è stato scelto come location per numerosi film, tra questi: “Amici miei” (1982); “Ladyhawke” (1985) e “The American” (2010).