I gioielli del Velino

Ingenii Certus Varii Multique Robertus Hic Levigarum Nicodemus Atque Dolarm…Annus Millenus Ventenus Quinquie Denus Cum Fuit Hoc Factum Fluxit…Vi Mense October (1)

Roberto, dotato di grande e versatile ingegno e Nicodemo, abbozzarono e rifinirono questo lavoro nell’anno mille centocinquanta. Quando questa opera fu compiuta correva il sei ottobre.

La vallata del Velino con i Piani Palentini vista da Albe; i tetti della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta; Rosciolo dei Marsi e la sua valle; Propaggini del Fucino dal Colle San Pietro in Alba Fucens – Foto Leo De Rocco

Le storie e passioni d’Abruzzo oggi ci portano nella Marsica, andiamo a scoprire due gioielli incastonati tra i boschi e le pendici del monte Velino: la chiesa, un tempo parte di un monastero benedettino, di Santa Maria in Valle Porclaneta (XI sec.) a Rosciolo dei Marsi e la chiesa di San Pietro (X-XII sec.) a Massa d’Albe.

Un viaggio nel cuore dell’Abruzzo che metterà a dura prova chi soffre della Sindrome di Stendhal. Tra boscose vallate che svelano antiche storie di briganti e sfide tra re e giovani principi; lotte tra eserciti romani e popoli italici; eppoi castelli diroccati, borghi medievali incantati, siti archeologici, bellezze naturali e artistiche.

La chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta si trova non lontano dal piccolo paese di Rosciolo dei Marsi, una frazione di Magliano de’ Marsi, la si raggiunge percorrendo una stradina che sembra perdersi tra boschi di querce e castagni, tra rovi di more e rose canine, tra mandorli, noci e piccole abetaie.

Posti ben conosciuti e frequentati dagli appassionati di escursioni e trekking, dagli amanti della mountain bike e delle passeggiate montane immersi nel silenzio di una natura incontaminata. Proprio in prossimità dei luoghi d’arte che visiteremo oggi partono alcuni sentieri che conducono fino ai 2487 metri del Velino, da dove si ammira tutto l’Appennino centrale: dal Gran Sasso ai monti Simbruini, dai Sibillini al Terminillo; persino i due mari, l’Adriatico e il Tirreno, si scorgono nelle giornate luminose e terse.

Suggestivo è il sentiero che porta alla Grotta di San Benedetto, non lontana da quella dei Briganti. Per tradizione gli escursionisti che arrivano in quello che fu l’eremo di un monaco benedettino, da qui il nome del luogo, devono suonare in segno di augurio e buon auspico una campanella posta all’ingresso della grotta.

La Grotta dei Briganti evoca antiche storie legate ai briganti abruzzesi, definiti dal noto compositore francese Hector Berlioz (La Côte-Saint-André, 1803 – Parigi 1869) durante un suo viaggio in Abruzzo “uomini liberi”. I luoghi attraversati dai briganti oggi sono diventati “Il Cammino dei Briganti”, un percorso lungo ben 100 chilometri dominati dal Velino, immerso nel verde con sentieri attrezzati e segnaletica a tappe, gestito da associazioni locali.

Ci troviamo sui mille metri di altitudine, sulle pendici dei monti del Parco Naturale Regionale Velino-Sirente, i monti più alti degli Appennini dopo il Gran Sasso e la Majella, le cui cime si intravedono sin da Roma. Nell’inverno del 91 a.C. queste vette innevate le scrutavano dai colli dell’Urbe pure i romani che proprio in quell’anno dovettero affrontare il “Bellum Marsicum”, una guerra contro la Marsica e tutti gli Italici ormai determinati a reclamare lo status di cittadinanza.

Ma per i romani non fu un’impresa facile perché i Marsi, alleati con i Peligni, i Marrucini, i Piceni, i Frentani, i Sanniti… stanziati nelle altre zone dell’attuale Abruzzo e del sud, riuniti nel “Gruppo Marsico”, diedero del filo da torcere all’Urbe a tal punto che fondarono uno stato per conto loro con Corfinio nuova capitale Italica e coniarono una propria moneta sulla quale apparve per la prima volta la scritta “Italia”.

(Su Corfinio e Alba Fucens vedi in questo blog gli articoli dedicati, link al termine di questo articolo)

Monete in argento, 91 a.C. con la scritta Italia, ritrovata a Corfinio – Museo Archeologico di Corfinio e (a destra) a Pescosansonesco – Museo delle Genti d’Abruzzo – Foto Leo De Rocco

Alba Fucens – Via dei Pilastri e l’anfiteatro – Foto Leo De Rocco

Due statue rinvenute ad Alba Fucens: Ercole seduto Museo Archeologico di Chieti) e la Venere di Alba Fucens (Museo Paludi di Celano – Foto Leo De Rocco

In alto statua in terracotta della dea Angizia, (attribuita); in basso a sx il Lucus Angitiae a Luco dei Marsi; a destra: Cunicoli di Claudio, Avezzano, Parco Archeologico dei Cunicoli di Claudio – Foto Leo De Rocco

Vista panoramica dal Colle San Pietro, in lontananza: Alba Fucens; in alto il borgo medievale di Albe con il castello, a sinistra il paese di Massa d’Albe e il monte Velino – Foto Leo De Rocco

Borgo medievale di Albe (Massa d’Albe) – Foto Leo De Rocco

Le atmosfere affascinanti dell’antica Roma le ritroviamo non molto distante da Rosciolo dei Marsi, nei pressi del piccolo paese di Massa d’Albe, qui si trova uno dei più importanti siti archeologici italiani, quello di Alba Fucens. L’antica colonia romana fondata nel 304 a.C., dal poetico nome che ricorda le dolci aurore sul “lucente” lago del Fucino, le cui acque capricciose susciteranno l’interesse dell’imperatore Claudio, il quale nel 41 d.C. farà scavare i famosi cunicoli fucensi.

Alba Fucens fu costruita sui territori abitati dagli Equi, sull’altura che la sovrasta, colle San Pietro, sorgeva un tempio pagano (II-III sec. a.C.) all’epoca cinto da un colonnato disposto a semicerchio (foto sotto), all’ombra del quale si aggiravano i sacerdoti del tempio, custodi dei sacri fuochi e delle offerte al dio dell’arte e della musica, delle profezie e della saggezza, colui che traina il carro del sole: Apollo.

Tempio e colonnato dominavano Alba Fucens e tutta la valle, fino alle falde del Velino e alle distese dei Piani Palentini, laddove, secoli dopo, si svolse una delle battaglie più importanti della storia italiana: la Battaglia di Tagliacozzo, disputata tra Carlo d’Angiò e il giovanissimo principe Corradino di Svevia. Prevalse grazie a una furbizia il re angioino, che non perdonerà l’appoggio degli albesi a Corradino e farà distruggere il borgo medievale di Albe.

La vallata digrada verso est in direzione dell’altopiano sul quale fino alla metà dell’800 si stendeva il terzo lago più grande d’Italia, il Fucino, le cui rive lambivano i boschi del Lucus Angitiae, più o meno corrispondente all’attuale Luco dei Marsi. Qui i Marsi veneravano Angizia, la dea protettrice dai veleni, dominatrice dei serpenti, conoscitrice delle erbe curative, forse sorella di Medea, di lei non si sa molto, ma era annoverata tra le divinità legate alla Madre Terra.

Con la diffusione del cristianesimo e la fine del paganesimo questi antichi templi vennero abbandonati, distrutti o convertiti in chiese, “Piuttosto che distruggere i templi pagani è meglio trasformare gli stessi in chiese cristiane”, disse papa Gregorio Magno. Così avvenne con il tempio di Apollo (VI sec.d.C. circa) i cui resti furono riutilizzati per costruire la chiesa di San Pietro in Albe, una delle chiese più belle dell’alto Medioevo abruzzese.

Osservando la chiesa dall’esterno emergono ancora le possenti colonne del tempio, insieme ai giganteschi blocchi di pietra dell’antico basamento. Le colonne di Apollo, con gli eleganti capitelli rigorosamente corinzi oggi svettano maestose sulla navata centrale della chiesa di San Pietro in Albe, appaiono come sospese su un pavimento marmoreo così lucente che sembra foderato di raso.

Massa d’Albe, chiesa di San Pietro in Alba Fucens: esterni con la facciata, l’abside, una colonna del tempio pagano inglobata nella parete della chiesa e resti del colonnato a semicerchio del tempio di Apollo

Dettaglio degli antichi battenti del portale della Chiesa di San Pietro in Albe, legno scolpito, 1115 circa – Celano, Museo d’Arte Sacra Castello Piccolomini Celano – Foto Leo De Rocco

L’antico portale di San Pietro in Albe era arricchito da due grandi porte lignee policrome e istoriate (foto sopra), composte da 28 formelle intagliate in legno d’acero di montagna e datate 1114-15, incredibilmente arrivate fino a noi dopo tanti secoli. Oggi sono conservate nel Museo di Arte Sacra della Marsica nel Castello di Celano.

Il 1115 (24 febbraio) è anche la prima data documentata relativa a questa chiesa, viene menzionata nella bolla papale di Pasquale II quale pertinenza della diocesi vescovile dei Marsi, ma è verosimile che già prima, fin dall’872, San Pietro in Albe apparteneva ai benedettini, quindi dell’abbazia di Montecassino.

Pasquale II è lo stesso papa che nel 1104 incaricò il cardinale Agostino di ritrovare l’urna in alabastro con i resti di San Clemente nell’abbazia di San Clemente a Casauria, l’altra regina del romanico abruzzese – vedi l’articolo “Abbazia di San Clemente a Casauria, la Basilica divina ” in questo blog – le cui maestranze, non a caso, lavorarono anche nel cantiere di San Pietro in Alba Fucens.

Come in un viaggio nel tempo proviamo a immaginare lo spettacolo che si presentava agli occhi dei pellegrini e degli antichi viandanti, con le preziose porte intagliate e gli interni della chiesa, inseriti in uno scenario paesaggistico tra i più belli d’Abruzzo, tra le pendici del Velino, i Piani Palentini e, più a est, il grande Lago Fucino, quel lago che a Strabone sembrava “un mare”.

Dopo aver percorso una stradina panoramica che ancora oggi sale da Massa d’Albe e Alba Fucens sino alla cima di colle San Pietro, giunto al cospetto del portale il visitatore prima di entrare ammirava le citate formelle lignee, che all’epoca erano tutte colorate e scolpite con riferimenti a scene tratte dalle Sacre Scritture.

Rappresentano il percorso di salvezza dell’uomo, con simbologie tipiche medievali: motivi floreali, i quattro evangelisti, cavalieri, prelati, animali feroci e fantastici. Oltretutto, come si vedrà più avanti, ci sono alcune affinità stilistiche tra questo portale e la iconostasi della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta.

Varcato l’ingresso ancora colori vivaci con le decorazioni cosmatesche e i pregiati marmi in porfido rosso e verde che ornano l’ambone, realizzato agli inizi del ‘200 dai magister Giovanni e Andrea su commissione dell’abate Oderisio, colui che promosse anche l’ampliamento della chiesa a tre navate, eseguito dal magister Gualtiero e due aiutanti: Moronto e Pietro.

Poco più avanti, sulla navata centrale, ecco i mosaici colorati in pasta vitrea, con delicati intarsi geometrici, sui plutei e sulle colonnine tortili che, come delicati steli di fiori, reggono da secoli la preziosa iconostasi marmorea firmata dal magister Andrea.

Massa d’Albe – Chiesa di San Pietro in Albe, la navata centrale con la iconostasi del magister Andrea – Foto Leo De Rocco

Il prezioso pavimento del XIII secolo a cosmatesche dell’abbazia di San Liberatore a Maiella, Serramonacesca – Foto Leo De Rocco

Nei secoli XII e XIII l’attività dei marmorari romani, detti “cosmati” dal nome del capostipite Cosma, si estese nel basso Lazio e raggiunse anche l’Abruzzo, quindi l’Umbria e verso sud la Campania. In Abruzzo il massimo splendore dell’arte cosmatesca è raggiunto nell’abbazia di San Liberatore a Maiella (foto sopra). Le decorazioni comatesche di San Pietro in Albe portano la firma del magister Andrea, il quale si avvalse di maestranze locali appartenenti alla Scuola romano-marsicana. Una iscrizione trovata su un pilastrino dell’iconostasi nomina il citato abate Oderisio committente dei lavori nel XII sec.

All’epoca di questo viaggio immaginario nessuno avrebbe osato sfiorare questi marmi intarsiati sulla sacra navata, né addirittura di rubarli, ma secoli dopo, nel 1993, qualcuno lo pensò realmente e una notte si portò via le colonnine tortili che reggono la iconostasi.

Per fortuna i ladri in un momento di pietà nei confronti di un monumento antico e così bello pensarono di sostituire le colonnine con travi in legno per non far crollare la rara iconostasi, l’unica in marmo presente in Abruzzo.

Solo il terribile terremoto del 1915 osò tanto, ma grazie all’allora Soprintendenza e soprattutto al mirabile restauro diretto dal siracusano Raffaello Delogu ed eseguito per anastilosi, uno dei più riusciti in Italia e in Europa, San Pietro in Albe tornò a splendere.

Quelle colonnine trafugate, scolpite amorevolmente otto secoli prima dal magister Andrea, insieme alla sua bottega, furono ritrovate nel 1999 grazie ai Carabinieri del gruppo di Bari Tutela e Salvaguardia del Patrimonio Artistico Italiano. Restaurate a Firenze nell’Opificio delle Pietre Dure, sono state finalmente rimesse al loro posto pochi anni fa.

L’antico viaggiatore avvolto dai caldi bagliori del tramonto e dalle soffuse luci diffuse da ceri e candele, immerso nel profumo speziato dell’incenso, rimaneva poi incantato davanti a un prezioso trittico in legno di pioppo, parte di un lussuoso tesoro custodito nella chiesa, realizzato tra la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300 da maestri orafi miniaturisti di formazione stilistica bizantina. Dono, secondo la tradizione popolare, della regina Giovanna d’Angiò, sorella di Maria contessa di Albe.

Si tratta del Trittico di Alba Fucens, veniva poggiato sopra un altare di pietra bianca e aperto durante le funzioni liturgiche. Incantava il visitatore con immagini sacre dipinte in miniatura, incorniciate nell’oro e nell’argento, tra pietre preziose, lamine dorate, cristallo di rocca, smalti e ricami floreali creati con fili d’oro e perle.

Uno sfavillante capolavoro dell’arte orafa medievale che ricorda magici mondi dell’antica Bisanzio. Gli infiniti luccichii ammiccavano le dorature e gli smalti vitrei dei mosaici e creavano un suggestivo contrasto col bianco e setoso pavimento e con le candide colonne ricamate con foglie di acanto appartenute a un altro dio di un altro tempo.

Trittico di Alba Fucens, sec. XIV circa, proveniente dalla Chiesa di San Pietro in Alba Fucens, Museo di Arte Sacra della Marsica, Castello di Celano – Foto Leo De Rocco

Dettaglio delle decorazioni cosmatesche nella chiesa di San Pietro in Albe – Foto Leo De Rocco

I resti del tempio dedicato ad Apollo, come abbiamo visto in parte reimpiegati nella costruzione di San Pietro in Albe, furono utilizzati anche per la realizzazione di alcuni elementi, come le transenne in pietra, della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo.

La chiesa, definita dal critico d’arte Vittorio Sgarbi: “Il più grande capolavoro del Medioevo, l’unica iconostasi in legno perfettamente conservata” e visitata in segreto (come racconterò più avanti) da Papa Benedetto XVI nell’agosto 2011, si trova a una manciata di chilometri da Massa d’Albe e Alba Fucens.

Il nome della valle è di origine incerta, forse proviene dall’ebraico “Bahal por-h-lahaneth-a” che significa “Valle profonda”, oppure dal greco “Porù-clanidos”, traduzione: “Manto di pietra”. Secondo altre fonti il nome risalerebbe a un tempietto pagano dedicato a “Purcefer”, un fauno venerato nel luogo i cui reperti vennero alla luce dopo alcuni scavi archeologici.

L’attuale strada che porta alla chiesa di Santa Maria in Valle è stata costruita solo in tempi relativamente recenti. Un isolamento che sicuramente ha giovato alla conservazione, soprattutto durante le varie guerre. Il profilo della chiesa, in stile romanico, ricorda le linee del tetto di una baita e sembra ricalcare perfettamente le linee del profilo delle montagne del Velino che le fanno da cornice (foto sotto).

Chissà se è una coincidenza oppure il frutto del progetto artistico dell’allora architetto e costruttore Niccolò, citato in una epigrafe: “Opus est fatum Nicolaus Q. Iacet hoc” (“quest’opera è stata fatta da Niccolò che qui giace”), nel caso sarebbe un esempio ante litteram di architettura sostenibile.

Maestro Niccolò proveniva da Montecassino, nell’epoca in cui l’abate era Desiderio, è probabile che qui a Rosciolo chiamò a lavorare nel suo cantiere maestranze locali configurando così una “Scuola marsicana” di artisti, successivamente operanti in altri edifici di culto nella Marsica, ad esempio a Santa Maria in Luco dei Marsi e in altre zone della regione, come in Santa Maria del Lago a Moscufo.

I resti delle mura in pietra che circondano la chiesa ricordano che un tempo qui c’era anche un monastero e un chiostro benedettino, con i suoi orti, il forno, il pozzo e la fontana, dalla quale ancora oggi sgorga l’ottima acqua proveniente dalle sorgenti del Velino-Sirente.

La lunetta sul portale è decorata da un elegante affresco quattrocentesco in stile primo Rinascimento il cui autore risulta ignoto. Secondo alcune fonti sarebbe Andrea de’ Litio, un importante artista del ‘400 nato proprio da queste parti (Lecce dei Marsi, 1420 – Atri, 1495), famoso per il ciclo degli affreschi nel Duomo di Atri. (vedi in questo blog “Atri, tra Adriano e Andrea de’ Litio”)

Osservando bene gli angeli raffigurati sulla lunetta (foto sotto), trovo forti somiglianze con lo stile del Beato Angelico (Vicchio, 1395 – Roma 1455), in particolare nelle forme degli angeli raffigurati sulla Pala di Perugia, il Polittico Guidalotti. E’ dunque evidente l’influenza della scuola fiorentina.

Santa Maria in Valle Porclaneta, l’affresco sulla lunetta e il Polittico Guidalotti, 1447-1449, alla Galleria Nazionale di Perugia – Foto Leo De Rocco

Rosciolo dei Marsi, Santa Maria in Valle Porclaneta, navata centrale, plutei, iconostasi e ciborio – Foto e video Leo De Rocco

Entrando nella chiesa di Santa Maria in Valle lo sguardo è subito rapito da una rarissima iconostasi lignea che domina la navata centrale. È sostenuta da quattro colonnine che a loro volta poggiano su due transenne in pietra, due plutei scolpiti con bassorilievi sui quali prendono forma un leone, un grifo, un drago (o forse è una pistrice) un’aquila, un colombo e due cigni.

Il leone, il drago e il grifo sembrano tenere d’occhio chi osa oltrepassare l’iconostasi, in quanto anticamente l’area del presbiterio era interdetta al popolo. O forse non fanno la guardia, ma insieme ai cigni e agli altri animali raffigurati esprimono una precisa iconografia: il leone potrebbe essere identificato con San Marco, mentre l’aquila con San Giovanni Evangelista.

L’iconostasi, elemento presente anche nella chiesa di San Pietro in Alba Fucens, come abbiamo visto in pietra, marmo e decorazioni cosmatesche, aveva la funzione di separare la parte più sacra della chiesa, riservata al clero e agli officianti (presbiterio), dallo spazio in prossimità dell’ingresso occupato dai fedeli. Il nome deriva dal greco “eicon” (immagine) e “istemi” (sostegno).

Confronto tra la iconostasi di Rosciolo e i battenti del portale di San Pietro in Albe

La iconostasi di Rosciolo ci regala atmosfere bizantine e arabeggianti, a mio avviso lo stesso stile che abbiamo visto sull’antico portale ligneo (i battenti) della chiesa di San Pietro in Albe. Nella parte bassa sono scolpiti intrecci floreali intervallati da 11 medaglioni, sui quali erano raffigurate scene tratte dalle Sacre Scritture.

La fascia sovrastante è dominata da un loggiato intervallato da elementi floreali sempre ad intreccio, sembra uno scorcio di un palazzo reale persiano. Nella parte centrale gli archi sono più grandi, è probabile che al centro era raffigurato Cristo e ai lati la Madonna e San Giovanni Battista, tema iconografico relativo alla rappresentazione del Giudizio Universale. Nella parte alta si intravedono piccole sculture di uomini, forse sono i monaci benedettini legati alla storia di questa chiesa abbaziale, sono accompagnati da animali feroci con le zampe alzate.

Nell’acroterio ancora archi e un portico, oltre ai soliti intrecci floreali. Ai lati due angeli serafini del cielo cristallino di Dio sembrano fare la guardia. Sono rappresentati dentro un arco che, nella parte interna, poggia su due colonne, due per lato.

Realizzata all’incirca nell’anno Mille, come ho sottolineato nella stessa epoca dei battenti del portale di San Pietro in Albe, l’iconostasi di Rosciolo è in legno di quercia e in origine era interamente rivestito con una lamina d’oroUn meraviglioso monumento ligneo scolpito, dipinto, decorato e dorato. Forse lo stesso stile della iconostasi che l’abate Desiderio fece realizzare per l’abbazia di Montecassino, oggi non più esistente.

Sempre in legno di quercia sono le travi e le tavole utilizzate per rivestire la volta della chiesa. La quercia simboleggia la forza e la resistenza alle avversità. Una delle città più belle del mondo, Venezia, poggia quasi interamente su antiche fondazioni costituite da tronchi di quercia.

“Immota manet”, resta immutata, ferma, scrisse l’umanista aquilano Salvatore Massonio (L’Aquila, 1559 – 1629). Il motto è stampato sul gonfalone storico della città dell’Aquila e deriva dal poema di Virgilio le “Georgiche”, pubblicato nel I sec. a. C.

Virgilio scrive che la quercia è un albero “sacro e profeta agli Achei”, gli antichi greci. Oltre al rivestimento in lamina d’oro la iconostasi di Rosciolo era decorata con altre immagini scolpite e dipinte con vari colori, oggi purtroppo riconoscibili appena, forse erano i 12 Apostoli.

Santa Maria in Valle Porclaneta, ambone – Foto Leo De Rocco

In prossimità della iconostasi ecco l’ambone, dal greco “ambon/os”, ovvero collina, altura, tribuna, da dove si annunciava la parola di Dio verso la quale l’uomo cerca di avvicinarsi durante il suo cammino terreno.

L’ambone di Rosciolo è firmato da due magister del romanico abruzzese: Roberto e Nicodemo. Probabilmente i due, insieme a Ruggero, padre di Roberto, erano in contatto con l’allora centro artistico e culturale di Montecassino e tra i loro aiutanti di bottega vi erano artisti provenienti dalla Sicilia, del resto l’Abruzzo dal 1130 faceva parte del Regno di Sicilia. (vedi l’articolo “I libri di pietra di Nicodemo, Roberto e Ruggero”, in questo Blog).

I tre seppero fondare nel nativo Abruzzo un loro originale stile che raggiunse il più eloquente esempio in questa chiesa, ma altri preziosi arredi sacri firmati dai tre artisti li troviamo anche nell’abbazia di San Clemente al Vomano, nella chiesa di Santa Maria del Lago a Moscufo e a Cugnoli nella chiesa di Santo Stefano. Sull’argomento rimando all’articolo citato.

Il preziosissimo arredo liturgico di Rosciolo si chiude con uno splendido ciborio che troneggia con i suoi inconfondibili stili: moresco, negli architravi tribolati tondi e bizantino nelle incisioni con foglie intrecciate e ornamenti floreali che circondano uomini e animali, insieme a un omino che scaglia una freccia mentre un altro suona il corno da caccia. Prettamente araba è la cupola, costellata da una infinità di colonnine.

Roberto e Nicodemo scolpirono il ciborio da un unico blocco di pietra locale. Questo di Santa Maria in Valle Porclaneta è il primo esempio in Abruzzo di quello stile romanico che si ispira alle forme moresche gia presenti nella Andalusia di araba memoria, ma i nostri lo reinterpretarono in una nuova e originale scuola, tutta abruzzese, ricca di dettagli, talvolta fantastici, come gli uomini scolpiti su un capitello che con le braccia incrociate si tirano la lunga barba, nel mentre spunta un leone tra i rami di quella che sembra una palma. (Sul Romanico abruzzese vedi l’articolo “I libri di pietra di Nicodemo, Roberto e Ruggero”, in questo blog)

Il ciborio di Roberto e Ruggero a San Clemente al Vomano – a destra: dettaglio dell’ambone di Nicodemo nella chiesa abbaziale di Santa Maria del Lago a Moscufo – Foto Leo De Rocco

Santa Maria in Valle Porclaneta, Ciborio – Foto Leo De Rocco

La chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta ha affascinato i viaggiatori di ogni tempo. Tra l’800 e i primi del ‘900 un gruppo di giovani pittori scandinavi frequentarono l’Abruzzo ammaliati dal paesaggio ancora selvaggio e incontaminato e dagli abruzzesi dell’epoca che ai loro occhi apparivano “non ancora corrotti dalla modernità”.

Alcuni di questi artisti nordici riuniti nella “Scuola di Civita d’Antino”, dal nome del paese marsicano preso come riferimento dal gruppo, visitarono la chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta e ispirati dalle sue magiche atmosfere crearono alcuni dipinti che oggi costituiscono anche una straordinaria testimonianza storica.

Nelle foto che seguono si notino le decorazioni sulle pareti, gli affreschi, le statue, i plutei in pietra alla base del ciborio e dell’ambone a sua volta impreziosito da un prezioso drappo rosso con ricami in oro. Questi ed altri dettagli purtroppo sono perduti dopo il terremoto del 1915. La chiesa era illuminata solo dalle candele tenute accese su candelabri poggiati sul ciborio e sull’altare dell’ambone.

Fedeli nella Chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta – Carl Budtz-Moller – Imago Museum Pescara – Foto Leo De Rocco

Rosciolo dei Marsi, la secolare roverella vicino Santa Maria in Valle Porclaneta – in basso una quercia secolare vicino al Monastero di San Pietro a Roccamontepiano – Foto/video Leo De Rocco

Percorrendo l’antico sentiero che dal bosco porta alla Chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta scopro una gigantesca quercia secolare, forse piantata proprio dai monaci benedettini attorno all’anno Mille, in concomitanza della costruzione del monastero. Chissà forse era usanza piantare querce nei pressi dei monasteri medievali, un’altra quercia secolare l’ho trovata (foto sotto) vicino il monastero di San Pietro a Roccamontepiano (XII sec.) nel chietino.

Questo monumento della natura sembra avere gli stessi anni della chiesa. L’albero è maestoso, alto oltre 18 metri, misura una circonferenza di ben 6 metri, parte del suo tronco sprofondò alcuni metri nel terreno a causa di una alluvione che nel 1928 inondò tutta la valle, la reale circonferenza della secolare quercia risulta quindi maggiore.

La secolare quercia vive in simbiosi con l’antica chiesa e con la sua preziosa iconostasi scolpita nello stesso legno: entrambi risalgono all’anno Mille, sono oggi due monumenti, uno realizzato dalla natura e l’altro dall’uomo, che da secoli convivono sopravvivendo a guerre e calamità naturali. Immota Manet.

Santa Maria in Valle Porclaneta e la vicina San Pietro in Alba Fucens sono tra i gioielli più preziosi della Marsica e dell’Abruzzo.

La Sig.ra Costanza mentre mi apre il cancello di ingresso a Santa Maria in Valle Porclaneta, agosto 2015 – Foto Leo De Rocco

Mi ha accompagnato durante la visita a Rosciolo dei Marsi la gentile Sig.ra Costanza, una carismatica signora che conserva una grinta e una vitalità invidiabili. Costanza, ultraottantenne, custode di Santa Maria in Valle Porclaneta dal 1948, mi ha raccontato la storia, contornata di aneddoti e leggende, di questo gioiello del Velino.

È stata Costanza ad invitare qui Papa Benedetto XVI e un bel giorno d’estate, incredula, se lo trovò davanti. La visita fu organizzata segretamente per evitare i giornalisti, persino a Costanza fu detto che stava per arrivare un prelato, invece si trovò davanti il Papa.

Non appena lo vide si inginocchiò emozionata per baciare l’anello “del pescatore”, ma Benedetto XVI la aiutò subito a rialzarsi e la baciò sulle guance. Costanza ora spera nella visita di Papa Francesco: “gli ho inviato il libro che ho dato a te insieme all’invito, sono certa che verrà”, mi dice sorridendo.

Lascio Rosciolo dei Marsi, Massa d’Albe, Alba Fucens e la Marsica con il dolce sorriso di Costanza e con ancora negli occhi le straordinarie bellezze custodite da queste montagne e penso che l’Abruzzo forse non è ancora pienamente consapevole di quanti tesori possiede.

Qualche anno dopo

Rosciolo dei Marsi, Costanza insieme al nipote Pino, giugno 2023 – Foto Leo De Rocco

Sono tornato a Rosciolo e Massa d’Albe dopo alcuni anni, ho riscontrato con piacere alcuni interventi migliorativi volti alla valorizzazione di questi luoghi.

Le navate di Santa Maria in Valle Porclaneta sono state dotate di un ottimo impianto di illuminazione e le colonnine tortili anni fa rubate a San Pietro in Albe sono tornate al loro posto, dopo un lungo periodo di restauro. Inoltre il percorso turistico del borgo medievale di Albe è stato rinnovato e reso inclusivo, ora è fruibile anche ai visitatori con ridotta capacità motoria.

Sono tornato nella bella Marsica anche per rivedere e salutare la gentile signora Costanza. La incontro in paese, nella sua casa vicino allo stesso bar sulla piazza principale di Rosciolo dei Marsi, il Caffè La Torre, dove anni fa mi diede appuntamento per raggiungere insieme “la sua” amata Santa Maria in Valle Porclaneta. Il suo dolce e rassicurante sorriso trasmette sempre una grande energia.

Quel gioiello custodito tra i boschi del Velino è sempre presente nel suo cuore, ma oggi Costanza non è più la custode della chiesa. Ultranovantenne ma con ancora una forza incredibile, accudisce amorevolmente sua sorella maggiore di quasi 100 anni.

Il custode della chiesa ora è suo nipote Pino che, mosso come Costanza da sentimenti di generosità e altruismo, rare e nobili qualità che da sempre contraddistinguono la loro famiglia, svolge attività di volontariato per aiutare i bambini ricoverati negli ospedali romani Bambin Gesù e Umberto I, donando ai bimbi anche un sorriso quando si veste da Babbo Natale. Inoltre gestisce una casa famiglia a Monterotondo nella quale vengono ospitati i genitori dei bambini ricoverati durante le lunghe permanenze ospedaliere.

Viaggi come questi, tra le storie e le passioni, tra arte e bellezze naturali, con la fortuna di conoscere persone altruiste e generose, scaldano davvero il cuore e fanno apprezzare il vero significato di quell’Abruzzo un tempo chiamato “forte e gentile”.

Copyright foto/testo/video – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com – Articolo aggiornato a giugno 2023 – Pictures, it is forbidden to use any part of this article without specific authorisation – Note: 1) epigrafe sulla scala dell’ambone della Chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta – Fonti: la principale fonte è il bellissimo libro “Santa Maria in Valle Porclaneta, storia, arte, tradizioni di un’Abbazia Benedettina” una ricca e dettagliata monografia di Vincenzo Angeloni”, Edizione Magliano dei Marsi-Rosciolo 2013 – Ringraziamenti: Ringrazio per la disponibilità la gentilissima Sig.ra Costanza, storica custode della Chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta e suo nipote Pino, attuale custode.

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. MariaPia Vittorini ha detto:

    Mi chiedo: quanti sono gli abruzzesi consapevoli dello straordinario patrimonio storico, naturalistico, cultuale, artistico della nostra, purtroppo poco apprezzata e , a volte, qusi sconosciuta Regione, non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale?

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