Arte orafa abruzzese, il corallo di Giulianova.

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Foto copertina: Pavimento con decorazioni e inserti in polvere di corallo – Giulianova, Villa Migliori – Foto Leo De Rocco

A sinistra: “Presentosa:, Scanno, primi ‘900, foto Gino Di Paolo, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni, archivio Museo delle Genti d’Abruzzo – a destra: “Presentose: in oro e argento nella vetrina di una bottega orafa di Guardiagrele – in basso: Lanciano, i disegni geometrici che compongono la pavimentazione del centralissimo Corso Trento e Trieste richiamano le forme del gioiello “Presentosa” – Foto Abruzzo storie e passioni

Questo articolo è dedicato alla storia degli antichi gioielli e all’arte orafa abruzzese. L’articolo è diviso in due parti, la prima è dedicata all’arte sacra, la seconda alla storia dei gioielli, con particolare riferimento alla lavorazione del corallo.

Gran parte degli abruzzesi conoscono la “Presentosa”, un monile in filigrana d’oro, solitamente inserito in una collana, che molti ricordano fin da bambini indossato dalla propria madre. Anche le nuove generazioni conoscono questo gioiello, simbolo della tradizione orafa abruzzese. Nella vetrina di una bottega orafa di Guardiagrele ho trovato esposti gioielli unisex dalle linee moderne con al centro una piccola “Presentosa”. Oltretutto l’iconica collana, citata persino da Gabriele d’Annunzio in un suo famoso romanzo, fu donata alle first lady dei capi di stato e di governo durante il G8 del 2009 a L’Aquila.

La storia della oreficeria abruzzese non è riconducibile solo alla presentosa, ma è una storia che racconta di antiche botteghe orafe, di maestri artigiani e, come vedremo, grandi artisti, che nel tempo hanno creato preziosi per l’arte, soprattutto quella sacra, oltre a ornare e onorare la femminilità. La tradizione popolare, il costume e la consuetudine hanno poi legato a questi gioielli significati apotropaici, superstizioni e riti arcaici.

Le ricerche che ho svolto per documentarmi sull’argomento mi hanno portato a Pescocostanzo, a Guardiagrele, a Scanno e a Giulianova. Nella biblioteca della cittadina rivierasca, intitolata allo storico giuliese Vincenzo Bindi (Giulianova, 1852 – Napoli, 1928), ho scoperto che alla fine dell’800 esisteva una tradizione orafa legata alla lavorazione del corallo, questo mi ha portato a far “riaprire”, in esclusiva per i lettori di questo blog, un antico palazzo di Giulianova, una dimora storica ormai chiusa da tempo immemorabile, in cui un tempo veniva lavorato il corallo: Villa Migliori. Vi racconto la storia.

Arte orafa

Gli orafi abruzzesi hanno dato prova di grande abilità, creatività e maestria fin dal Medioevo. Soprattutto tra L’Aquila e Sulmona ben radicata era la tradizione legata alla lavorazione dei preziosi, l’argento in particolare, riconoscibili dallo stile e dalla punzonatura con le sigle “Aqi” e “Sul”.

Molte creazioni di questa antica arte oggi le ammiriamo in chiese e musei della nostra regione, in particolare nella collezione del Museo Nazionale d’Abruzzo, MuNDA l’Aquila, ma anche in prestigiosi musei internazionali, come il Victoria & Albert Museum di Londra, nella cui collezione sono presenti manufatti dell’arte orafa sacra (foto sotto) e, come vedremo più avanti, anche gioielli della tradizione popolare abruzzese, in particolare quella contadina.

Una delle opere più importanti dell’antica arte orafa presente in Abruzzo è il Trittico di Alba Fucens, capolavoro dei maestri orafi miniaturisti di formazione stilistica bizantina, realizzato in lamina di argento dorato, perle, gemme e smalti, datato tra la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300. Il Trittico un tempo faceva parte del tesoro custodito nella chiesa di San Pietro in Albe, una delle regine del romanico abruzzese. Su questo argomento rimando agli articoli: “I gioielli del Velino” e “I libri di pietra di Nicodemo, Roberto e Ruggero” ( link al termine di questo articolo). L’opera probabilmente fu donata insieme ad altri manufatti, il cosiddetto “tesoro di San Pietro in Albe”, alla chiesa di San Pietro (Massa d’Albe), nel ‘300, dalla regina Giovanna I d’Angiò (1326 – 1382), sorella di Maria, contessa di Albe.

Curioso il reliquario-cofanetto in argento dorato, smalti champlevès, cristallo di rocca, lavorazione a sbalzo su lamina d’argento, risalente alla prima metà del XV secolo, opera del maestro orafo Giovanni D’Angelo da Penne. Sul cofanetto sono raffigurati il Redentore, gli Evangelisti e due santi; sul coperchio esagonale è raffigurata l’Annunciazione insieme a Maria Maddalena e due sante. L’opera era destinata a contenere una reliquia particolare: “le braghe di San Sebastiano”.

Degno di nota il reliquiario di San Biagio, realizzato nel 1394 dal maestro orafo Bartolomeo di sir Paolo da Teramo. Il prezioso manufatto fa parte del tesoro della Collegiata di San Flaviano, rara testimonianza rimasta, insieme alla chiesa di Santa Maria del mare, dell’antica Castrum San Flaviano. Il reliquiario viene esposto ogni anno il 3 febbraio in occasione della festa in onore di San Biagio, considerato il protettore contro il mal di gola. In tale occasione nel Duomo di Giulianova viene benedetta la gola a tutti i fedeli, insieme ai “taralli di San Biagio”, tipici dolci locali diffusi, con forme diverse, anche nel resto della regione.

Preziose opere d’arte le troviamo anche in piccoli musei abruzzesi, talvolta sconosciuti ai più. Come il gruppo scultoreo in argento sbalzato dorato e smalti, custodito nel Museo di Arte Sacra di Castelvecchio Subequo (Aq), raffigurante una Madonna con Bambino e angeli, risalente al 1412, chiamata la “Pasquarella” in quanto anticamente veniva portata in processione per le vie Castelvecchio Subequo il giorno di Pasqua. La Pasquarella, come ricorda lo storico castelvecchiese Giuseppe Cera (“Castelvecchio Subequo”, edizioni Eta Beta 2019) “fu commissionata nel 1412 dal frate francescano Bartolomeo di Acciano in memoria della contessa di Celano Margherita Prignani.”

Castelvecchio Subequo – Museo d’Arte Sacra – Madonna con Bambino tra due angeli, 1412, Botteghe orafe di Sulmona – Foto Leo De Rocco

Trittico di Alba Fucens – Museo dell’Arte Sacra della Marsica, Castello Piccolomini, Celano – Foto Leo De Rocco

Croce astile, XVI secolo, argentiere ambito sulmonese, legno rivestito d’argento sbalzato e cesellato. Proveniente dalla Chiesa di San Nicola, Lettopalena – a destra: Antica bottega orafa aquilana, XVI sec. Croce in argento e rame dorato, dettaglio – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco

Giulianova, Duomo di San Flaviano, reliquiario di San Biagio, 1394, Bartolomeo di sir Paolo da Teramo – Foto Leo De Rocco

Reliquiario cofanetto di San Sebastiano – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco

Calice in argento dorato e smalti, 1450 circa, incisioni con Gesù, Maria, Angeli e Santi, tra essi San Bernardino – Botteghe orafe dell’Aquila, punzonatura “AQI” – Galleria Arte Medievale e Rinascimentale, Victoria & Albert Museum , Londra – a destra: Piatto di questua, XVI secolo, in ottone, al centro è raffigurato a sbalzo il Leone di San Marco, Bottega abruzzese, probabilmente di ispirazione tedesca – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco

Nella storia dell’arte orafa abruzzese come non ricordare Ascanio de’ Mari, orafo, nato nel 1524 a Tagliacozzo (Aq), fortemente voluto come suo allievo preferito dal più grande orafo del Rinascimento: Benvenuto Cellini.

Il celebre artista fiorentino scoprì il precoce talento del giovane tagliacozzano, in quel tempo (1537 circa) già impiegato come apprendista in una bottega orafa romana, e lo prese come allievo nella sua bottega, punto di riferimento nella splendida Roma del Cinquecento. I clienti di Ascanio da Tagliacozzo non furono le donne del popolo, ma la nobiltà e il clero: re, regine, cardinali.

Ascanio de’ Mari lavorò con Benvenuto Cellini per oltre un decennio, condividendo con il suo maestro diversi viaggi. In Francia Ascanio diventerà orafo ufficiale prima alla corte di Francesco I, successivamente in quella di Enrico II. Tra i suoi clienti figurava anche il cardinale Ippolito d’Este, figlio di Lucrezia Borgia e del duca mecenate Alfonso I d’Este. Per il cardinale d’Este Ascanio realizzerà una cospicua collezione di argenteria. 

Non tutti sanno che per la realizzazione del capolavoro dell’arte orafa mondiale, la famosa Saliera di Francesco I, realizzata tra il 1540 e il 1543 da Benvenuto Cellini e oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, contribuì anche il nostro Ascanio.

In particolare l’orafo tagliacozzano si occupò delle decorazioni che ornano la parte inferiore dell’opera (foto sotto),  con le piccole figure delle fasi del giorno: l’aurora, il tramonto, la notte. L’opera, in oro, ebano e smalti, rappresenta la dea Terra con il piattino del pepe, mentre incrocia le gambe con il dio del mare Nettuno, vicino al piattino con il sale.

Per un approfondimento su Ascanio rimando al mio articolo: “Ascanio da Tagliacozzo e Benvenuto Cellini”. (Link al termine di questo articolo)

Vienna – Kunsthistorisches Museum – Saliera di Francesco I, 1543. La parte inferiore è quella lavorata da Ascanio de’ Mari da Tagliacozzo

Croce in argento e smalti di Nicola da Guardiagrele, 1422 – Chiesa di Santa Maria Maggiore, Lanciano – Foto Leo De Rocco

Dettaglio dell’ostensorio di Nicola da Guardiagrele, 1413 – Chiesa di San Franco – Francavilla al Mare – Foto Francesco Bini – a destra: Maria Maddalena scolpita da Nicola da Guardiagrele inginocchiata ai piedi di Gesù – Dettaglio della Croce Guardiese, 1431c – Foto BeWeB Beni Ecclesiastici Roma

Duomo di Teramo – dettaglio del paliotto d’argento dorato e smalti di Nicola da Guardiagrele, 1433 – 1448, Adorazione dei Magi – Foto Leo De Rocco

Con Nicola da Guardiagrele l’arte orafa abruzzese raggiunse livelli eccelsi. Le sue croci processionali, i calici, lo straordinario paliotto d’altare nel Duomo di Teramo, gli ostensori, rappresentano le più raffinate opere dell’arte orafa sacra del suo tempo, oggi ammirate in tutto il mondo. Nella seconda metà dell’800 fu storico giuliese Vincenzo Bindi a far conoscere Nicola da Guardiagrele al grande pubblico e agli storici dell’arte.

Nicola da Guardiagrele (Guardiagrele 1385 – 1462) è stato un artista poliedrico. Il Filarete lo cita come “Mastro Nicola de argentis”, quale primo orafo non toscano, nel “Trattato di architettura” (1464), dedicato al duca Francesco Sforza.

E’ molto probabile che Nicola da Guardiagrele, chiamato anche Nicola Gallucci, si formò nella Firenze di Lorenzo Ghiberti, l’autore della famosa porta in bronzo dorato del Battistero di Firenze, davanti alla quale Michelangelo esclamò: “questa è la Porta del Paradiso”.

Forse l’artista guardiese soggiornò, seppur per un breve periodo, nella città del Giglio proprio mentre il Ghiberti stava completando il suo capolavoro. Non a caso è documentata l’esistenza di calchi in gesso effettuati all’epoca sulle formelle della Porta del battistero fiorentino e alcuni di essi furono rinvenuti proprio in Abruzzo agli inizi del ‘900, sotterrati in un orto nei pressi di Castel di Sangro. Tre di questi antichi calchi combaciano perfettamente con le formelle della “Porta del Paradiso”.

Nicola da Guardiagrele oltre ad essere stato un raffinato maestro orafo è stato anche scultore, pittore e miniaturista. Una Madonna con Bambino in tempera su tavola dipinta tra il 1420 e il 1430, in stile elegante e delicato tra il tardo gotico e accenni rinascimentali, è esposta agli Uffizi, unica testimonianza giunta sino a noi della sua attività pittorica.

Sempre a Firenze, al Museo del Bargello, si trova un gruppo scultoreo a lui attribuito, proveniente da Tocco da Casauria. Un libro di preghiere con decorazioni miniate, che Nicola da Guardiagrele realizzò nel 1420, si trova invece al Musèe Condé in Francia.

La tradizione artistica e artigianale orafa abruzzese iniziò ad essere conosciuta e apprezzata su larga scala solo a partire dalla prestigiosa Esposizione d’Arte che si tenne a Chieti nel 1905.

In quella occasione fu esposta per la prima volta in una mostra la famosa Croce di Guardiagrele realizzata da Nicola da Guardiagrele nel 1431. Anche quest’opera è ispirata al Ghiberti, ma reiterpretata dal guardiese con il suo originale stile. La preziosa Croce fu trafugata nel 1979 e ritrovata, purtroppo a pezzi, in Austria negli anni successivi.

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Madonna dell’Umiltà, 1420-1430, Nicola da Guardiagrele – Gallerie degli Uffizi, Firenze – Foto Ivan De Lucia per Abruzzo storie e passioni

Incoronazione di Maria Regina dei Cieli nel Duomo di Guardiagrele, 1430, pietra bianca della Majella, Nicola da Guardiagrele – Foto Leo De Rocco – a destra: Annunciazione – gruppo scultoreo attribuito a Nicola da Guardiagrele – Firenze, Museo del Bargello – Foto Catalogo Generale dei Beni Culturali

Dettaglio del Libro di Preghiere di Nicola da Guardiagrele – Musèe Condè Chantilly France – Foto Catalogue de manuscrits enluminès France – a destra: L’ultimo frammento della Croce processionale di Nicola da Guardiagrele ritrovato dopo 40 anni in Austria – Foto Leo De Rocco


Antichi gioielli

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Presentosa, Agnone, metà ‘800 – Foto Gino Di Paolo, per gentile concessione Museo delle Genti d’Abruzzo

Sarà Gabriele d’Annunzio a far conoscere al pubblico colto, italiano ed europeo, uno dei simboli dell’arte orafa abruzzese: la citata “Presentosa”, un medaglione arabescato in filigrana d’oro a forma di stella, con al centro simboli amorosi, che il Vate cita nell’ultimo romanzo della sua “Trilogia della Rosa”.

A cavallo tra l’800 e gli inizi del ‘900 è Pescocostanzo uno dei centri più importanti dell’arte orafa in Abruzzo. Le sue botteghe si distinguevano per la raffinatezza dei gioielli in filigrana resi ancora più preziosi dall’alta percentuale di oro utilizzato nella lavorazione.

La Presentosa rappresentava per le giovani coppie un pegno d’amore con il quale il fidanzato abruzzese dichiarava fedeltà e impegno matrimoniale alla propria ragazza. Anticamente il gioiello veniva realizzato nelle botteghe orafe diffuse soprattutto nella Valle Peligna, nell’area frentana e in quella aquilana.

Questo medaglione veniva realizzato in diversi modelli in quanto ogni orafo desiderava esternare la propria creatività. Al centro della composizione poteva figurare un solo cuoricino, come a Pescocostanzo, oppure due. Talvolta figuravano vascelli simbolicamente pronti a solcare il mare nell’avventura della emigrazione che il giovane intraprendeva allo scopo di finanziare la nuova famiglia che si sarebbe formata.

A Pescocostanzo e Sulmona prevaleva la lavorazione delle presentose in filigrana vera e propria. L’origine di questo gioiello risalirebbe al Settecento. Due antichi atti notarili, relativi a carte dotali, redatti a Guardiagrele agli inizi dell’800, elencano minuziosamente gli ornamenti preziosi della sposa e tra essi figurano una “presentosa di corallo ed una d’oro con rubini”.

Le botteghe orafe più antiche erano quelle di Agnone, Pescocostanzo e Guardiagrele, seguite poi da quelle di Scanno, Sulmona e L’Aquila. Da queste aree la produzione orafa si diffuse anche nel sud d’Italia, in particolare in Campania e soprattutto in Puglia. A questa diffusione extra-regione di gioielli tipicamente abruzzesi-molisani, ha contribuito anche la Transumanza, la migrazione dei pastori abruzzesi che con il loro bestiame abbandonavano stagionalmente le montagne dell’Appennino per raggiungere le pianure della Puglia.

(sulla Transumanza in questo Blog “Autunno abruzzese, gli antichi tratturi”, link al termine di questo articolo)

Pasquale Celommi, “La Lavandaia”, dettaglio, Pinacoteca Vincenzo Bindi, Giulianova – Pasquale Celommi, “Tornando a casa”, dettaglio – Sposalizio abruzzese, dettaglio, Pasquale Celommi, 1886 – Museo Civico Teramo – Foto Leo De Rocco

In questi dettagli pittorici (foto sopra), tratti dalle opere di Pasquale Celommi (Montepagano, 1851 – Roseto degli Abruzzi, 1928), le due donne abruzzesi, raffigurate durante le attività quotidiane, indossano gioielli della tradizione orafa, in particolare: orecchini detti sciacquajje, formati da una navicella semilunare in oro arricchiti con pendenti oscillanti sempre in oro e una vistosa collana chiamata cannatòre, composta da una serie di sferette d’oro lavorate a sbalzo, spesso indossata, come in questo caso, assieme alle sciacquajje.

Nel dettaglio dello “Sposalizio abruzzese” si noti, oltre ai citati ori indossati dalla sposa, anche l’orecchino indossato dallo sposo, com’era usanza posto sull’orecchio di sinistra, a dimostrazione che anche gli uomini indossavano gioielli della tradizione popolare, in particolare orecchini, spesso in coppia, e anelli.

Nella collana “cannatòre”, che propongo di seguito (foto sotto), è inserito un pendente riccamente lavorato in oro e corallo. Tra i modelli delle sciacquajje vengono mostrate anche quelle originali indossate dalla modella di Orsogna nel famoso dipinto di Francesco Paolo Michetti “La Figlia di Iorio”. I gioielli sono esposti nel Museo delle Genti d’Abruzzo.

Dello stesso artista mostro anche un dettaglio molto significativo relativo alla grande tela “Le Serpi”, dipinta dallo stesso artista nel 1900, nella quale sono rappresentati gli abitanti di Cocullo durante la processione da loro dedicata a San Domenico, protettore contro i morsi dei serpenti, la rabbia e il mal di denti, i famosi “Serpari”.

Nel dettaglio si vedono sfilare alcuni bambini completamente ornati di antichi gioielli abruzzesi in oro, tra i quali si riconoscono la citata “cannatòre”. I bambini indossano gli ori persino sulla testa, gli avambracci e le caviglie.

Nel dipinto “Il Voto”, esposto nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, evidenzio il dettaglio con il piattino delle offerte che i devoti miglianichesi, dopo aver strisciato a terra leccando il pavimento in segno di ex voto, donano a San Pantaleone, tra gli ori donati si riconoscono le “sciacquajje”.

Infine oro e corallo indossati da una giovane popolana ritratta da un artista del gruppo di impressionisti scandinavi che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 viaggiarono in Abruzzo, in particolare a Civita d’Antino, affascinati dalla bellezza incontaminata del paesaggio abruzzese e dalle tradizioni popolari che ai loro occhi “nordici” apparivano senza tempo, ancora in un mondo incantato e incantevole.

(Per un approfondimento sul dipinto “Il Voto” e gli antichi riti dei miglianichesi devoti a San Pantaleone rimando al mio articolo: “Miglianico: d’Annunzio, Michetti e San Pantaleone”, in questo blog).

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Cannatora, con cammeo in oro e corallo fine ‘800 – Pescocostanzo – Foto Gino Di Paolo – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo

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Collane Cannatora e Presentosa, esposizione al Museo delle Genti d’Abruzzo – Foto Leo De Rocco

Sciacquajje, fine ‘800, indossate dalla modella nel dipinto di Celommi La Lavandaia – Foto Gino Di Paolo – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo – a destra: Sciacquajje, Orsogna, primi ‘800, originali indossate dalla modella ritratta da F. P. Michetti nella “Figlia di Iorio” – Foto Gino Di Paolo – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo

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Sciacquajje, fine ‘800, Museo delle Genti d’Abruzzo – Foto Leo De Rocco

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Francesco Paolo Michetti, La figlia di Iorio, 1894 – dettaglio, l’effigiata indossa orecchini “sciacquajje” – Pescara, Palazzo della Provincia – Foto Leo De Rocco

Dettaglio de “Le Serpi”, Francesco Paolo Michetti, 1900 – Francavilla al Mare, Museo Michetti – Foto Leo De Rocco

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Dettaglio de “Il Voto”, Francesco Paolo Michetti, 1881 – Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea Roma – Foto Leo De Rocco

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Donna della Sabina abruzzese – Peder Henrik Kristian Zahrtmann, 1877 – Imago Museum Pescara – Foto Leo De Rocco

Costantino Barbella, “Coro d’amore”, collezione F.P. d’Aloisio – foto Leo De Rocco – donne del popolo indossano le collane Presentosa e Cannatora e gli orecchini Sciacquajje.

Le donne abruzzesi, come appunto testimonia Celommi, ma anche le opere e le fotografie scattate alla fine dell’800 dal pittore Francesco Paolo Michetti, le sculture in bronzo e creta di Costantino Barbella, fino a agli impressionisti scandinavi della Scuola di pittura di Civita d’Antino, mai rinunciavano agli orecchini, collane, spille e altri accessori, nemmeno durante i faticosi lavori nei campi o nello svolgimento delle attività quotidiane, in quanto attribuivano al gioiello anche un significato scaramantico, propiziatorio di abbondanza e prosperità.

Nella zona di Orsogna, gli stessi luoghi che ispirarono Francesco Paolo Michetti per la celebre tela “La figlia di Jorio” e dove il pittore trovò la modella protagonista della scena ritratta nell’opera, era in uso anche una sfarzosa collana chiamata “petto d’oro” composta da più catenelle, medaglioni e pendenti collegati tra loro.

La collana “petto d’oro” ornava per intero il décolleté della sposa il giorno delle nozze. La sposa, praticamente coperta d’oro, simboleggiava così oltre ad una elegante femminilità anche abbondanza e fertilità.

Le forme di questo gioiello, con le sue geometrie vagamente arabescate, ricordano una originale e rara decorazione, eseguita utilizzando polvere di corallo, che si trova in un salone di una dimora storica, chiusa da tempo, tra le colline sul mare di Giulianova.

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Pettorale da sposa, Orsogna, inizi ‘900 – Foto Gino Di Paolo – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo

Il mio sopralluogo a Villa Migliori di Giulianova – Luglio 2016

Giulianova. sopralluogo a Villa Migliori, luglio 2016, dettaglio del pavimento con decorazioni e inserti in corallo – foto Leo De Rocco – Si noti la somiglianza tra le figure disegnate nella decorazione e le linee del gioiello “pettorale da sposa”

Giulianova – Duomo di San Flaviano e scorcio della marina da piazza della Libertà – Foto Leo De Rocco

Nel teramano le donne prediligevano soprattutto gioielli in corallo. Indossavano sempre lunghe collane intrecciate tra loro sia come ornamento e sia, come ricorda la etno-antropologa abruzzese Adriana Gandolfi, “condrammalocchie”, utili a scacciare gli influssi “del malocchio e dell’invidia.”

Perché nel teramano era così diffuso il corallo?

Sul finire dell’Ottocento i fratelli Migliori misero in piedi a Giulianova una prestigiosa manifattura per la lavorazione di questo prezioso materiale. Il corallo, qui lavorato con una originale tecnica detta “sfaccettato”, era unico in Italia e persino gli artigiani di Torre del Greco si recavano a Giulianova per acquistarlo.

Gli abili orafi della bottega Migliori lavoravano un corallo di primissima qualità, importato dalle Isole di Capo Verde dove era nata da padre livornese Gilda Lubrano, la moglie di Cesare Migliori, il capostipite della famiglia orafa giuliese.

Il corallo importato da Capo Verde arrivava nel porto di Livorno e da qui veniva trasportato a Giulianova. I gioielli prodotti, raffinati ed eleganti, erano richiesti anche fuori Abruzzo: Milano, Parigi e Londra soprattutto.

La scoperta – grazie alle ricerche che ho svolto nella Biblioteca Bindi di Giulianova e alla successiva lettura dei testi dedicati alla storia dell’arte orafa abruzzese di Adriana Gandolfi – che nella cittadina abruzzese era presente una prestigiosa bottega artigiana per la lavorazione del corallo mi ha incuriosito ed è stata la vera fonte di ispirazione per scrivere il presente articolo. Mi sembrava però riduttivo limitare la narrazione a un racconto basato solo su documenti storici d’archivio, pertanto decisi di “toccare con mano” e cercare qualcosa di inedito per i lettori di questo Blog.

Oltretutto constatai che sulla storia della villa abbandonata, col suo pavimento decorato con inserti in polvere di corallo derivante dall’attività di lavorazione svolto all’epoca nel laboratorio annesso alla villa, non esisteva nessuna documentazione fotografica.

inoltre appurai che nella stessa villa soggiornò re Vittorio Emanuele II in una stanza la cui volta presenta interessanti decorazioni in affresco, forse opera di Adolfo De Carolis o della sua scuola. Il re e la corte soggiornarono in questa villa nell’ottobre del 1860, pochi giorni prima dello storico incontro a Teano con Garibaldi.

I proprietari della villa erano i Duchi Acquaviva d’Aragona. In particolare la contessa Alexandrovna Obreskov, andata in sposa a Carlo Acquaviva d’Aragona, organizzava in questa villa, chiamata dai giuliesi “Montagnola”, salotti letterari, feste e concerti ai quali parteciparono, esibendosi, il noto compositore ortonese Francesco Paolo Tosti e il musicista giuliese Gaetano Braga.

La passione e la curiosità mi hanno dunque spinto a rintracciare gli eredi della famiglia di orafi giuliesi con la speranza di poter effettuare un sopralluogo alla loro Villa di Giulianova e all’annesso vecchio laboratorio. Nella estate del 2016 riuscii quindi a rintracciare a Roma gli eredi della famiglia Migliori, in particolare contattai il sig Cesare Migliori, il quale svolge ancora oggi attività legata alla lavorazione e commercio di preziosi: la “Sodo-Migliori gioielli”, Roma.

Il sig. Cesare mi raccontò alcuni aneddoti legati alla attività di gioiellieri della sua famiglia in Giulianova (la tecnica di lavorazione e il commercio da Capo Verde, accennati sopra) e gentilmente mi mise in contatto con il nipote, il dott. Giovanni Cerulli. Fu così che grazie a lui ebbi la possibilità di organizzare un sopralluogo all’interno della villa abbandonata.

Nel luglio 2016 finalmente varcai i cancelli della villa, in tale occasione invitai Adriana Gandolfi e il direttore del Polo Musei Civici di Giulianova, Sirio Pomante. La proprietà mi si presentò quasi completamente coperta dalla vegetazione, per questo dovemmo faticare per farci strada e aprire un varco tra i rovi per poter arrivare all’ingresso del palazzo.

Quando giunsi al cospetto dell’antica dimora che domina il mare di Giulianova rimasi affascinato dalla sua bellezza, seppur decadente, e dal rigoglioso parco che la circonda. dove in un tempo lontano, si racconta, “quando pioveva i prati si tingevano di rosa” per via della polvere di corallo depositata che arrivava dal vicino laboratorio orafo.

Anche per questo i giuliesi chiamavano questa villa “la villa del corallo” e ancora oggi ricordano quando da bambini entravano nel parco per giocare e cercare, raccontano, il “passaggio segreto” che da qui “arrivava ad Atri, nel Palazzo Ducale degli Acquaviva.”

Giulianova – Villa Migliori in una foto d’epoca (foto Adolfo De Marco) e in una attuale (foto Leo De Rocco); dettaglio del libro contabile della Bottega Orafa Migliori datato 1939 con la voce “Corallo” – Foto Leo De Rocco

Nel salone d’ingresso trovai a terra documenti originali inerenti le attività sul commercio dei preziosi della famiglia Migliori nei primi anni del ‘900, rimasti lì chissà da quanto tempo. Raccogliemmo da terra i documenti per farli custodire dal responsabile dei Musei Civici di Giulianova presso la Biblioteca di Palazzo Bindi, la stessa biblioteca da dove partirono le mie ricerche.

Mi recai al piano superiore accedendovi attraverso una grande scalinata e finalmente potei visionare e fotografare nel grande salone quel curioso pavimento decorato, simbolo dell’antica lavorazione artigianale del corallo, unica in Abruzzo. Sulla parete del salone si può ancora leggere una strofa di una antica poesia che i Migliori dedicarono alla loro attività: “Giù, nel mare profondo, per mani operose, vai corallo pe’l mondo ad adornar le spose”.

L’elegante rosone centrale decorato con gli inserti di corallo era nascosto sotto strati di polvere, dovetti faticare non poco per rimuoverli e poter scattare alcune foto, ma grande è stata la soddisfazione: riuscire a documentare un piccolo pezzo di storia della città di Giulianova e della storia dell’arte orafa abruzzese.

La lavorazione del corallo a Giulianova fu abbandonata con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. È auspicabile che Villa Migliori, l’annesso antico laboratorio di oreficeria e il bellissimo parco diventino, attraverso un adeguato progetto di recupero e valorizzazione e l’interesse delle istituzioni, un luogo culturale legato alla memoria storica giuliese, a disposizione di cittadini, scuole e turisti.

Ecco alcune foto che scattai durante la “missione Villa Migliori” – Giulianova, estate 2016.

Giulianova – Villa Migliori, ingresso, luglio 2016, il dott. Giovanni Cerulli apre il cancello della villa – Foto Leo De Rocco

Giulianova – Villa Migliori, esterni della villa e interni con affreschi nella stanza dove dormì il re – Foto Leo De Rocco

Giulianova – Sopralluogo a Villa Migliori, luglio 2016, l’antico laboratorio-bottega per la lavorazione del corallo; al centro e a destra: dettaglio del pavimento con inserti in corallo – foto Leo De Rocco

Durante le mie ricerche nella Biblioteca Bindi di Giulianova ho trovato questa foto che ritrae il laboratorio orafo della famiglia Migliori durante il turno di lavoro delle operaie addette alla lavorazione del corallo – Giulianova, inizi ‘900 – Annuario Storico Madonna dello Splendore, articolo “Il Corallo di Giulianova” di Renata Magazzeni

L’uso del corallo in Abruzzo ha dunque rappresentato una vera e propria caratteristica, peculiare rispetto al resto d’Italia. I viaggiatori, intellettuali e letterati che attraversavano la regione, testimoniarono nei loro scritti il largo uso, rispetto al resto d’Italia, di gioielli e amuleti realizzati con questo materiale, descrivendo donne che indossavano “collane avvolte fino a sei giri di corallo” (1).

Come abbiamo visto, oltre agli intellettuali anche gli artisti locali, pittori e fotografi, ne rimanevano affascinati e immortalarono donne con i loro grandi pendenti, le collane, spille, ori e coralli.

Anche Dante Gabriel Rossetti, il fondatore dei “Preraffaelliti”* originario dell’Abruzzo, suo padre nacque a Vasto, ritrae una delle sue modelle preferite, Alexa Wilding, abbigliandola come una dama rinascimentale, con un sontuoso abito e preziosi gioielli, tra i quali due ammoniti in perle e argento tra i capelli e una lunga collana in corallo rosso che la modella intreccia tra le dita.

Una piccolissima collana in corallo la troviamo indossata persino da una delle preziose statuine seicentesche che compongono il Presepe Antinori, si tratta di una popolana. Sulla storia di questo antico presepe riscoperto a Lanciano, rimando al mio articolo “La storia di un antico presepe”, in questo blog.

Il corallo è protagonista anche nell’arte sacra. Su tele, dipinti e affreschi spesso un rametto lo troviamo appeso al collo di Gesù Bambino, sottoforma di pendente oppure come collana. Nella iconografia religiosa il corallo rappresenta il sangue della Passione di Gesù, per questo valore simbolico e di fede in passato era usanza, anche in Abruzzo, regalare corallo ai neonati per “proteggerli dal male”.

Nella mitologia invece il corallo nasce dalla storia di Perseo e Medusa. Il poeta Ovidio, nativo di Sulmona, nelle sue “Metamorfosi” ci racconta che furono le ninfe del mare a diffondere il corallo, trasportando negli abissi i semi delle alghe, diventate pietrificate e rosse dopo il contatto con il sangue di Medusa appena decapitata da Perseo.

* (sui Preraffaelliti e i Rossetti: “Vasto: mare, arte e cultura. La storia dei Rossetti” in questo Blog)

Collanina in corallo al collo di una statuina del prezioso Presepe Antinori, XVII sec., a Lanciano – Foto Leo De Rocco

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La bella Vinca Delfico, la nobildonna teramana che fece girare la testa a molti uomini, D’Annunzio compreso, ritratta da Francesco Paolo Michetti nel 1882, tra fiori e una collana con ben cinque giri di corallo, in mano un ventaglio di raso – Archivio De Filippis-Delfico – in basso: Monna Vanna, 1866, Dante Gabriel Rossetti – Tate Gallery – Londra

Andrea De Litio, 1470 circa, dettaglio della Madonna con Bambino nella chiesa della Madonna del Lago a Moscufo (Pe) – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collanina di corallo – a destra: Affresco primi del ‘500 – Chiesa di Santa Maria Valleverde – Celano – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collana con rametto di corallo

Dettaglio degli affreschi del ‘500 nella chiesa di San Silvestro papa a Mutignano – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa anche un bracciale, sempre in corallo

Piero della Francesca, 1475 circa, dettaglio della Madonna di Senigallia, Urbino Palazzo Ducale – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collana con un vistoso rametto di corallo

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Madonna con Bambino, Pietro Vannucci detto Perugino, 1470 circa – Istituto di Francia Parigi – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collanina in corallo

Gioiello in corallo e oro, a destra  amuleto in oro e corallo – Tesoro della Madonna del Ponte – Lanciano – Foto Gino Di Paolo, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni – il piedistallo della statua della Madonna del Ponte di Lanciano, a forma di ponte, oggi è in oro ma anticamente era in corallo.

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Gioielli in corallo, tesoro della Madonna del Ponte Lanciano – Foto Leo De Rocco

Sempre il corallo è protagonista, insieme ad altre pietre preziose, nel gioiello emblema dell’arte orafa di Scanno: l’amorino. L’orafo scannese Armando Di Rienzo negli anni Venti rielaborò, trasformandolo in un elegante medaglione nuziale con perle, rubini e turchesi, un fermaglio passafilo utilizzato dalle donne durante il lavoro ai ferri. Il gioiello ebbe un grande successo e all’epoca fu protagonista di una mostra a New York.

L’amorino di Scanno è realizzato con un delicato intreccio floreale in oro sul quale vengono incastonate alcune pietre preziose che fanno da cornice ad una corona regale. Alla base della corona vi è un amorino bendato intento a lanciare la freccia dell’amore.

Sono andato a Scanno per cercare le botteghe storiche del paese. Visito la bottega orafa della famiglia Rotolo, il sig. Francesco Rotolo mi ricorda che la tradizione orafa familiare risale al 1884 e da allora rispetta, per la creazione della Presentosa di Scanno, sempre la stessa lavorazione artigianale che consiste nell’usare l’osso di seppia come stampo per la colata del metallo prezioso fuso, oro o argento; questo metodo scannese si differenzia dalla classica lavorazione a filigrana. Inoltre la sua bottega ha brevettato una tecnica di lavorazione al tombolo per la creazione di gioielli.

Il laboratorio è rimasto così come si presentava un secolo fa, con le stesse macchine e gli attrezzi utilizzati per la lavorazione dei gioielli. Una preziosa testimonianza che arricchisce il luogo, già meta prediletta di famosi fotografi come Henri Cartier-Bresson.*

Nella bottega dei Di Rienzo, nella quale la lavorazione dei gioielli scannesi risale al 1850, il sig. Eugenio Di Rienzo, discendente della famiglia di orafi, mi racconta la storia della bottega e mi mostra il pezzo forte della casa, il citato “Amorino”.

*(Dall’articolo “L’Abruzzo di Henri Cartier-Bresson” , in questo Blog).

Scanno – Bottega Orafa Di Rienzo – gioielli Amorini, del 1926 – Eugenio Di Rienzo, nella sua bottega orafa – Foto Leo De Rocco

Laboratorio orafo Di Rienzo, Scanno – Foto Leo De Rocco

Scanno, Francesco Rotolo nella sua bottega orafa – Foto Leo De Rocco

Nella tradizione popolare abruzzese non sempre era la donna ad acquistare direttamente i gioielli, talvolta erano gli oggetti preziosi ad essere tramandati da donna a donna per generazioni, ma soprattutto erano donati dal fidanzato, futuro marito, e dalla sua famiglia alla giovane promessa sposa la quale li avrebbe indossati il giorno del matrimonio ostentando eleganza, benessere e fertilità.

Nello svolgimento dell’antica usanza, un vero e proprio rito popolare, la famiglia dello sposo in prossimità del matrimonio invitava la famiglia della sposa a recarsi assieme presso la bottega dell’orafo per la scelta dei gioielli.

Il giorno del matrimonio solo alla madre dello sposo era concesso di adornare la futura nuora con il coordinato di orecchini, collane e spille. Questo rito ricco di pathos appariva come una incoronazione: la sposa rappresentava la garanzia della continuità per la stirpe familiare. Ad Agnone e a Orsogna la futura sposa riceveva anche un ciondolino a forma di bussola che alludeva, cito testualmente Adriana Gandolfi dal un suo volume sulla storia della oreficeria abruzzese: “alla retta via da seguire da quel momento: fedele e devota al proprio marito, pronta per essere madre. “

A Scanno, in occasione della prima visita che la famiglia del pretendente faceva alla famiglia della ragazza prescelta, la madre del fidanzato ornava la ragazza con grandi orecchini in lamina traforata a forma di navicella con tre o sette pendenti, chiamati “circeje” e se il futuro sposo partiva militare o per la transumanza, i giovani si scambiavano una medaglietta apribile chiamata “teca”, una sorta di piccolo reliquario rettangolare, talvolta in argento, in cui si conservavano capelli o peli “intimi”.

Le donne abruzzesi indossavano, oltre alle tradizionali e note “sciacquajje” e “circeje” anche altri modelli di gioielli sfarzosi, in particolare orecchini, sempre in oro, diffusi soprattutto tra le contadine abruzzesi e del sud Italia.

Gli orecchini erano lavorati in filigrana, lamina e placche in oro giallo e rosso, creati soprattutto con motivi floreali e stelle. Tali modelli, prodotti dagli artigiani orafi abruzzesi, talvolta riprendevano gli stili tipici del sud Italia, in particolare della Sicilia.

Questi gioielli pendenti presentano forme e dimensioni tali da sembrare troppo grandi per essere indossati, ma la lavorazione in oro molto sottile garantiva una comoda leggerezza, salvaguardando la sontuosità ricercata dalle contadine e dalle donne del popolo.

Propongo di seguito una rassegna fotografica di tali gioielli, parte della “Collezione Castellani”, acquistati a Parigi nel 1867 durante l’Esposizione Internazionale dei gioielli contadini, oggi al Victoria & Albert Museum di Londra. Nella collezione museale inglese è presente anche una vistosa collana in corallo.

A sinistra: Orecchino in filigrana d’oro, bottega orafa abruzzese, XIX sec. – Victoria & Albert Museum Londra – Costituito da un elaborato disegno in filigrana di filo d’oro giallo, con sagome in lamina di oro rosso e fiori stilizzati, comprendeva anche un pendente, qui mancante – a destra: Orecchino pendente in lamina d’oro incisa e sfaccettata – Botteghe orafe abruzzesi, XIX sec. – Vittoria & Albert Museum Londra

Orecchino floreale in lamina d’oro incisa e sfaccettata – Botteghe artigiane abruzzesi, XIX sec. – Victoria & Albert Museum Londra – a destra: Orecchino pendente in oro giallo e rosso, filigrana, smalto e strisce pendenti – Botteghe orafe sud Italia – Victoria & Albert Museum Londra

Orecchino in oro con pendente e perline blu e bianco, XIX sec., Bottega orafa abruzzese – Victoria & Albert Museum Londra – a destra: Collana in corallo con terminali in argento e nastri di seta rossa, composta da 16 file graduate di perline di corallo a forma di barilotto, Italia 1820-1867, proveniente da una collezione privata abruzzese – Victoria & Albert Museum Londra

Antica bottega orafa di Pollutri, tavolo da lavoro; cassaforte portatile; arnese da lavoro – Foto Leo De Rocco

Chieti, l’attuale Via Pollione anticamente era chiamata la “Via degli orefici” per via delle numerose botteghe orafe distribuite lungo la via – Foto Leo De Rocco

L’arte orafa abruzzese non era destinata solo alle donne, ma anche ai bambini e ai neonati. In questo caso agli ori la tradizione popolare attribuiva proprietà “condrammalucchie” (traduzione: contro il malocchio) ossia gioielli e amuleti capaci di scongiurare malattie, allontanare streghe e malocchi.

A Scanno ancora una volta era protagonista la madre dello sposo, in veste di nonna paterna donava al nipote appena nato una medaglietta in oro e argento composto da ben tredici pendenti ognuno raffigurante un simbolo preciso: zampognaro/accortezza; chiave/amore; colomba/pace; cornetto/contro il malocchio; gallo/allegria; angelo/custode; Arcangelo Michele/ protezione; Sant’Antonio/contro le tentazioni; Santa Lucia/la vista; pastore/il lavoro; stella/il destino; Madonna/purezza; fiore/amicizia e affetto.

Altro gioiello-amuleto destinato ai bambini era la “tasciol’e” composto da un cappuccio in argento che conteneva un ciuffo di peli di tasso. L’amuleto, presente soprattutto a Pescocostanzo, era ritenuto un potente talismano contro le streghe.

Si credeva che la fattucchiera, durante la “visita notturna” al neonato, rimanesse incuriosita da questo amuleto e, distratta nel contare il ciuffo di peli, non si accorgeva del sorgere del sole allorquando era il momento di svanire, lasciando così incolume il bimbo.

Concludo questo reportage sugli antichi gioielli abruzzesi parlando dell’oro “rosso”, il famoso zafferano aquilano. Durante le mie ricerche ho scoperto che anticamente in occasione delle fiere, organizzate in Abruzzo in prossimità dei paesi attraversati dai tratturi, le donne dell’Altopiano di Navelli usavano scambiare con orafi e gioiellieri sacchetti riempiti di profumato zafferano, prodotto da secoli nell’aquilano, in cambio di gioielli della tradizione orafa da donare alle proprie le figlie, prossime spose o per sé stesse come “ori di famiglia”.

Raccolta dei fiori crocus e produzione dello Zafferano aquilano – Altopiano di Navelli – Civitaretenga – Foto Leo De Rocco

Tasciola, campanella e ciambella, fine ‘800 – Foto Gino Di Paolo – A destra: Donna di Orsogna, adornata di gioielli abruzzesi, inizi ‘900, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni dall’Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo

Gioielli della tradizione orafa abruzzese – Museo delle Genti d’Abruzzo – Foto Leo De Rocco

Ragazza di Francavilla al Mare con “sciacquajje” in oro fotografata da Francesco Paolo Michetti – dettaglio della copertina del catalogo “Il Cenacolo delle Arti” 1999 Electa Napoli

Donna abruzzese – Francesco Paolo Michetti, 1889 – foto Gino Di Paolo – a destra: Coro di Orsogna a Venezia, vincitore di una rassegna nel 1929 (le orsognesi erano famose per l’ostentazione dei loro vistosi ornamenti) – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo

Ragazza con canestro, Pasquale Celommi, 1887 – Collezione privata – a destra: Ritratto di una giovane moglie di Civita d’Antino, Robert Charles Fiebirger, 1900 – Imago Museum Pescara – Foto Leo De Rocco

Gli antichi gioielli abruzzesi erano dunque parte integrante di una tradizione popolare ricca di pathos, di simboli e di riti ancestrali. La protagonista era la donna, sia come promessa sposa e futura madre che come madre dello sposo. In entrambi i contesti la figura della donna adornata con i suoi gioielli tradizionali non si riduceva ad una semplice vanitas vanitatum, ma esprimeva un preciso stile, tutto abruzzese, che sposava tradizione e identità femminile.

Copyright © – Riproduzione Riservata Galleria Fotografica, tutte le immagini pubblicate in questo articolo sono protette da Copyright – foto: Gino Di Paolo per il Museo delle Genti d’Abruzzo – Leo De Rocco, per Abruzzo storie e passioni 2016 – Articolo aggiornato a novembre 2023. Desidero rivolgere un particolare ringraziamento al Dott. Cesare Sodo-Migliori e al Dott. Giovanni Cerulli Irelli, per la gentile concessione (in esclusiva) del sopralluogo a Villa Migliori di Giulianova. Ringrazio Adriana Gandolfi per la gentile collaborazione. Il materiale fotografico, (foto di Gino Di Paolo) concesso per questo articolo è solo una piccola parte dell’archivio presente nei testi: “La Presentosa” (italiano-inglese, ultima edizione aggiornata e auto-prodotta dall’autrice, dic.2015); “Ori e Argenti d’Abruzzo” (con E.Mattiocco, per le edizioni Carsa, 1996) – adrianagandolfi2014@libero.it – Ringrazio inoltre: Sirio Pomante, responsabile della Biblioteca Bindi di Giulianova.

Note/Fonti: 1) E.Canziani, “Through the Appenines and Lands of the Abruzzi”, “Attraverso l’Appennino e le Terre d’Abruzzo” Cambridge, 1928 in “Ori e Argenti d’Abruzzo”, Carsa Edizioni, Pescara 1996; “Abruzzo Cultura e Letteratura dal Medioevo all’Età Contemporanea” di Gianni Oliva e Carlo De Matteis, Edizioni Carabba 2020;  “Castelvecchio Subequo” di Giuseppe Cera, Edizione Eta Beta srl, 2019 – Foto copertina: dettaglio del pavimento decorato di Villa Migliori Giulianova, Leo De Rocco – Traduzione a cura di Ioannis Arzoumanidis.

Appendice

Sulla storia di Giulianova vi segnalo questo interessante documentario.

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English version

Abruzzo and ancient jewellery, Giulianova’s coral


The goldsmiths of Abruzzo have shown great skill, creativity and craftsmanship ever since the Middle Ages. The tradition of working precious metals (silver in particular) was well rooted especially between L’Aquila and Sulmona.

The priceless artefacts that were produced in Sulmona were recognised by the punching forming of the word “sul” and they were present in almost all of central-southern Italy. Today we can still admire them in some churches, but also in prestigious international museums: from the Vatican Museums to the Victoria and Albert Museum in London.

In the history of the goldsmith art of Abruzzo it is impossible to forget Ascanio de Mari, a great goldsmith born in Tagliacozzo (province of L’Aquila), who was strongly desired by Benvenuto Cellini to become his student.

The famous Florentine goldsmith discovered the precocious talent of the young man from Abruzzo and hired him immediately as an apprentice in his workshop, which at the time was one of the landmarks in the beautiful Rome of the sixteenth century.

Ascanio Mari will become in France the official silversmith of King Henry II. Furthermore, according to some scholars, one of the masterpieces of the world of goldsmith art, the famous Cellini Salt Cellar of Francis I, which is now in the Kunsthistorisches Museum in Vienna, would have even witnessed the skilled hands of our Ascanio.

But it is with Nicola da Guardiagrele that the goldsmith art of Abruzzo reached lofty levels: its processional crosses, the altar frontals, the monstrances, are all works of art that are admired all over the world and they testify to the significant contribution made by artisans and artists from Abruzzo to the history of art between the Middle Ages and Renaissance.

Around the second half of the nineteenth century, it was the historian Vincenzo Bindi from Giulianova to raise the awareness of Nicola da Guardiagrele to art historians, while the artistic and artisan tradition of Abruzzo started to become known and appreciated on a large scale only after the prestigious art exhibition that was held in Chieti in 1905.

The famous poet and writer Gabriele d’Annunzio from Pescara made known to the public one of the goldsmith symbols of Abruzzo: the “presentosa”, a star-shaped arabesque medallion in golden filigree, with love symbols in its centre, which the poet mentions in one of his most famous novels, “Il Trionfo della Morte” (the Triumph of Death – 1894). The women of Abruzzo and Molise had to pledge publicly to become “brides-to-be” in order to receive the precious gift from their suitors.

At the turn of the nineteenth and early twentieth century, Pescocostanzo is one of the most important centres of the goldsmith art in Abruzzo. Its workshops were distinguished by the refinement of filigree jewellery, which was made even more precious by the high percentage of gold used in the processing. The traditional jewellery was a source of pride and prestige for the local ladies. The “cannatòre” was a necklace formed by a set of small cantilevered golden spheres, which was often worn together with the “sciacquajje”. These were half-moon ship-shaped earrings in gold that were enriched with oscillating ear-drops, always in gold.

As evidenced by some photographs taken at the end of the nineteenth century by the painter Francesco Paolo Michetti, the women of Abruzzo never gave up to earrings, necklaces and other accessories, even during the tiresome works in the fields. They used to wear necklaces, brooches and showy crescents “sciacquajje” even for everyday activities since they also attributed to the jewel a superstitious meaning: propitiatory of abundance and prosperity.

In the area of Orsogna, in the same places where the aforementioned artist of Abruzzo, Francesco Paolo Michetti, used to seek for inspiration in order to make the famous painting “La figlia di Jorio” (“The daughter of Jorio”) and where he found the interpreter model of the scene depicted in the artwork, there was a gorgeous necklace in use called “petto d’oro” (golden chest). This was composed of several chains, medallions and pendants connected together that adorned the entire chest of the bride on her wedding day. She was practically covered with gold and thus represented abundance and fertility, in addition to an elegant femininity.

On the other hand, in the province of Teramo women used to favour the coral, as they always wore long necklaces entwined with each other both as ornament and as “condrammalocchie”, (superstitions) that was useful to ward off the harmful influences of the evil eye and envy. In the late nineteenth century, the Migliori brothers put in place in Giulianova (province of Teramo) a prestigious manufacturing for the processing of this precious material.

The coral, which was wrought with the typical technique called “sfaccettato” (multifaceted), was unique in Italy and even the craftsmen of the famous Torre del Greco used to go to Giulianova in order to buy it.

The coral, which was worked by skilful workers in the workshop of the Migliori brothers, was of the highest quality and the jewellery products, which were refined and elegant, were in demand even outside Abruzzo: Milan, Paris and, especially, London.

In Giulianova, the ancient art of corals manufacturing was abandoned with the outbreak of World War II and, with it, the beautiful villa-workshop was also abandoned, where the Italian King Vittorio Emanuele II stayed during his journey to Teano.

The use of the coral in Abruzzo represented for centuries a really unique feature compared to the rest of Italy. Travelers, intellectuals and writers who crossed the region, testified in their writings the wide use (compared to the rest of Italy) of jewellery and amulets made from this material, describing women who wore “necklaces wrapped up with six laps of coral” (in “Ori e Argenti d’Abruzzo” -Gold and Silver of Abruzzo- Carsa Edizioni -publisher-, Pescara 1996).

In addition to the intellectuals, local artists were fascinated by it, as well: indeed, between the nineteenth and twentieth centuries, Francesco Paolo Michetti, Costantino Barbella, Pasquale Celommi, and Basilio Cascella immortalised women with their large pendants, necklaces, and brooches (in gold and coral).

The coral is always the protagonist, along with other precious stones, also when it comes to the emblem jewel of the goldsmith art of Scanno: the Cupid. Armando Di Rienzo, a goldsmith from Scanno, reworked on it in the 1920s, turning it into an elegant wedding medallion, a grommet clip used by women whilst knitting. My father got the idea for the Cupid from a “crown” that women used to wear once, along with other ornaments, when they were getting adorned for the marriage; he thought to give some movement to the rigid pin and he embellished it with stones, corals, turquoise, pearls and rubies. Therefore, around the 1920s it became a valuable brooch, so much as that it won an exhibition in New York. (Nunziato Di Rienzo, Goldsmith of Scanno – in “Ori e Argenti d’Abruzzo” (Gold and Silver of Abruzzo) – Carsa Edizioni (publisher), Pescara 1996, p.87). The cupid of Scanno is made with a delicate gold floral weave, on which some precious stones are embedded that frame a royal crown. At the base of the crown there is a blindfolded cupid ready to launch the arrow of love.

In the folk tradition of Abruzzo, it was not the woman to buy the jewellery directly. Sometimes, they were the precious objects to be handed down from woman to woman for generations. However, above all they were donated by the aspiring husband and his family to the young “bride-to-be”, who should be adorned for the wedding with flaunting elegance, prosperity and fertility.

The ancient custom wanted the family of the groom to invite the bride’s family to travel together at the goldsmith’s shop for the selection of jewellery. In the wedding day, it was only the groom’s mother who was allowed to adorn the future daughter-in-law with matching earrings, necklaces and brooches.

This ritual, full of pathos, seemed to be a kind of coronation: the bride was the guarantee of continuity for the family lineage. In Agnone and Orsogna the future bride used to receive also a small pendant shaped like a compass that alluded to the “right way” to be followed by that time onwards. She thus had to be faithful and devoted to her husband and ready to become a mother. In Scanno, on the occasion of the first visit of the family of the suitor made to the family of the chosen girl, the mother of the male fiancé used to decorate the girl with big ship-shaped earrings in perforated foil with three or seven pendants, called “circeje”. In the case in which the future husband was about to join the army or the transhumance, the youngsters exchanged an opening medallion called the “teca”, a sort of a small rectangular reliquary (sometimes in silver), in which “intimate hair” was kept.

Another gift was the aforementioned presentosa, made in the goldsmith shops of the region and widespread especially in the Valle Peligna, in the areas of Frentana and of L’Aquila. This filigree medallion was made in different designs as each goldsmith wanted to externalise their creativity: the centre of the composition could include only one little heart as in Pescocostanzo, or two; sometimes it would figure ships that were symbolically ready to sail in the sea on the adventure of emigration, that the youngster would undertake in order to finance the new family that was about to be formed. In the goldsmith workshops of Sulmona and Pescocostanzo, the processing of presentose in real filigree prevailed.

The origin of this jewel dates back to the eighteenth century. Two ancient deeds, related to dowry papers and drawn up in Guardiagrele in the early nineteenth century, list carefully the precious ornaments of the bride and amongst them they include a “coral presentosa and one of gold with rubies.”

The oldest goldsmith shops that produced the precious jewel were those of Agnone, Guardiagrele and Pescocostanzo, but over time Scanno, Sulmona and L’Aquila, as well. The production of the presentosa also spread from these areas in southern Italy, particularly in Campania and, above all, in Apulia.

The transhumance also contributed to the dissemination out of the region of this jewellery that was typical from Abruzzo-Molise, along with the migration of the shepherds of Abruzzo, who abandoned together with their cattle the Apennine mountains seasonally in order to reach the plains of Apulia.

The goldsmith art of Abruzzo was not intended only for women, but also for children and infants, both with ornamental features and with “condrammalucchie”, i.e., amulets able to ward off diseases, witches and the evil eye. In Scanno, the star was once again the mother of the groom, as a paternal grandmother, who used to give to her just-born grandchild a medallion in gold and silver that was composed of thirteen pendants each of which representing a specific symbol: bagpiper (for foresight); key (for love); dove (for peace); croissant (against the evil eye); rooster (for happiness); angel (as a guardian); Archangel Michael (for protection); Saint Antony (against temptation); Saint Lucia (for a good sight); shepherd (for work); star (for fate); Madonna (for purity); flower (for friendship and affection). Another jewel-amulet intended for children was the “tasciol’e”, which consisted of a silver cap that contained a tuft of badger hair.

The amulet, which was found mainly in Pescocostanzo, was considered to be a powerful talisman against witches. It was believed that the witch, during the “night visits” to the new-born, remained intrigued by this amulet and distracted in counting the tuft of hair, that would not notice the rising sun; therefore, as she had to go away, she had to leave the child unharmed, as well.

The old jewels of Abruzzo were part of a popular tradition of pathos, symbols and ancestral rites where the protagonist was a woman, both as the bride-to-be and future mother and as the mother of the groom; in both contexts, the figure of the woman was not reduced to be a simple “vanitas vanitatum“, but she expressed a definite style of Abruzzo, marrying tradition with female identity.

Leo De Rocco


Copyright © All rights reserved – This article and the pictures shown on this website are private. It is thus prohibited to retransmit, disseminate or otherwise use any part of this article without written authorisation – Acknowledgements: Adriana Gandolfi author of books “Ori e Argenti d’Abruzzo” (Gold and Silver of Abruzzo) – Carsa Edizioni (publisher), Pescara 1996 and “La Presentosa” 2015, available in English; “Abruzzo Cultura e Letteratura dal Medioevo all’Età Contemporanea” di Gianni Oliva e Carlo De Matteis, Edizioni Carabba 2020; Gino Di Paolo, photographer Pescara; Museum of People of Abruzzo Pescara; Ioannis Arzoumanidis, research fellow, for translating this article into English – Author/Blogger: Leo De Rocco / derocco.leo@gmail.com


3 commenti Aggiungi il tuo

  1. Leonardo Tilli ha detto:

    Leonardo Tilli : Complimenti e ringraziamenti a tutti quelli che con il lavoro di ricerca, di approfondimento, di scelta dei preziosi da mostrare e delle accurate descrizioni degli stessi, ci permettono di godere la bellezza degli antichi gioielli riproponendoli in questa sede. Il “ringraziamento” maggiore , ovviamente va agli artisti che li hanno creati con grande talento, maestria, pazienza e buon gusto. Alla loro bravura noi ci inchiniamo.

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