In copertina: Villa Migliori, Giulianova, dettaglio del pavimento del salone di rappresentanza, con decorazioni e inserti in polvere di corallo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Introduzione
In questo articolo faremo un viaggio nella storia dell’arte orafa abruzzese, un patrimonio di saperi, tecniche e simboli che attraversa i secoli. La prima parte è dedicata all’oreficeria sacra, con particolare attenzione a Nicola da Guardiagrele e ai maestri argentieri di Sulmona e L’Aquila; nella seconda esploreremo l’oreficeria artigianale diffusa nella regione, con un focus su Scanno, luogo simbolo dell’Oro d’Abruzzo, dove la tradizione s’intreccia con la fede e il folclore.
In Abruzzo ogni gioiello era più di un brillante ornamento, rappresentava un simbolo identitario, tramandato per generazioni. Tra questi il più emblematico è la Presentosa, monile in filigrana d’oro – spesso montato su una collana – che molti abruzzesi ricordano fin da bambini adornare il décolleté dalle madri e delle nonne.
Oggi questo gioiello continua a parlare alle nuove generazioni: nella vetrina di una bottega orafa di Guardiagrele, lungo il corso principale, la cui pavimentazione omaggia proprio l’iconica collana, ho visto esposti gioielli unisex, dalle linee moderne, con al centro una piccola Presentosa.
Non è dunque un caso che la Collana degli Abruzzi, menzionata anche da Gabriele d’Annunzio in un suo romanzo, sia stata donata alle first lady dei capi di Stato e di governo durante il G8 del 2009 a L’Aquila.
Ma la storia della oreficeria abruzzese non è riconducibile solo alla Presentosa. È una storia che attraversa antiche botteghe orafe, maestri artigiani e grandi artisti, che nel tempo hanno creato preziosi per l’arte, soprattutto quella sacra, e per la femminilità. La tradizione popolare, il costume e la consuetudine hanno poi legato a questi oggetti significati apotropaici, superstizioni e ritualità arcaiche.
Le mie ricerche mi hanno condotto in molte località della regione: Pescocostanzo, Guardiagrele, Scanno, Castelvecchio Subequo, L’Aquila, Lanciano, Chieti, Civitaretenga, Teramo, Sulmona, Celano, Pollutri, Francavilla al Mare, Pescara e Giulianova.
In particolare a Giulianova, consultando volumi e documenti presso la Biblioteca Bindi, ho scoperto che alla fine dell’Ottocento esisteva una fiorente tradizione orafa legata alla lavorazione del corallo. È stata una rivelazione decisiva, che mi ha spinto ad approfondire le ricerche e a ottenere l’accesso, in esclusiva per i lettori di questo blog, a un’antica dimora di Giulianova, ormai chiusa da tempo immemorabile: Villa Migliori, dove un tempo si lavorava il corallo.
L’articolo è diviso in cinque capitoli:
▪︎ Arte Orafa
▪︎ Antichi gioielli
▪︎ il mio sopralluogo a Villa Migliori
▪︎ L’Oro di Scanno
▪︎ Tradizione e riti popolari: i gioielli delle popolane
Prima parte
Arte Orafa
L’arte orafa abruzzese vanta una tradizione di straordinaria abilità e raffinatezza, documentata fin dal Medioevo. In particolare tra L’Aquila e Sulmona la lavorazione dei metalli preziosi, soprattutto l’argento, era profondamente radicata e riconoscibile sia nello stile sia nella punzonatura, identificata con le sigle AQI e SUL.
Molte opere sono oggi custodite in chiese e musei: dal Museo Nazionale d’Abruzzo – MuNDA l’Aquila al Museo del Duomo di Guardiagrele; dalla chiesa di Santa Maria Maggiore di Lanciano fino al Victoria & Albert Museum di Londra dove, come vedremo nella seconda parte, si conservano anche gioielli della tradizione popolare contadina.
Tra i capolavori spicca il Trittico di Alba Fucens, custodito nel Museo d’Arte Sacra della Marsica, all’interno del Castello Piccolomini di Celano. Realizzato in lamina d’argento dorato, perle, gemme e smalti, è datato tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV secolo ed è opera di maestri miniaturisti di formazione bizantina. Era originariamente custodito nella chiesa di San Pietro in Albe, uno dei più importanti monumenti d’Abruzzo (su questa chiesa rimando all’articolo “I gioielli del Velino”).
Un altro esemplare prezioso è il reliquario-cofanetto in argento dorato, smalti champlevès e cristallo di rocca, realizzato dal maestro Giovanni D’Angelo da Penne nella prima metà del XV secolo. L’opera, conservato al MuNDA L’Aquila, raffigura il Redentore, gli Evangelisti e due santi; sul coperchio esagonale appaiono l’Annunciazione, Maria Maddalena e due sante. Era destinato a contenere una reliquia particolare: le braghe di San Sebastiano (vedi l’articolo “I San Sebastiano abruzzesi”).
Merita attenzione anche il reliquiario di San Biagio, realizzato nel 1394 da Bartolomeo di sir Paolo da Teramo per il Duomo di San Flaviano a Giulianova. A forma di braccio, con mano benedicente, viene tradizionalmente esposto ogni 3 febbraio, festa di San Biagio, protettore della gola. In quella occasione la comunità giuliese partecipa alla benedizione della gola e alla distribuzione dei tradizionali Taralli di San Biagio, tipici dolci locali prodotti in diverse forme, ad esempio a forma di mano, e diffusi in tutto l’Abruzzo.
Preziose opere si trovano anche in piccoli musei, talvolta sconosciuti ai più. Come il gruppo scultoreo in argento dorato sbalzato e smalti del Museo di Arte Sacra a Castelvecchio Subequo. Raffigura la Madonna con Bambino tra due angeli, ed è chiamata Pasquarella, perché anticamente veniva portata in processione il giorno di Pasqua. Come ricorda al nostro blog lo storico castelvecchiese Giuseppe Cera (si veda l’articolo “Sulle tracce di San Francesco”), fu commissionata nel 1412 dal frate francescano Bartolomeo di Acciano, in memoria della contessa di Celano Margherita Prignani.
Ascanio da Tagliacozzo, orafo alla corte di Francia.
Nella storia dell’arte orafa abruzzese come non ricordare Ascanio de’ Mari, nato nel 1524 a Tagliacozzo. allievo prediletto del più grande orafo del Rinascimento: Benvenuto Cellini, L’artista fiorentino scoprì il suo precoce talento nel 1537, quando Ascanio era apprendista in una bottega orafa romana.
Ascanio lavorò nella bottega di Cellini per oltre un decennio, condividendo con il suo maestro diversi viaggi. In Francia fu nominato orafo ufficiale alle corti di Francesco I ed Enrico II. Tra i suoi committenti spicca il cardinale Ippolito d’Este, figlio di Lucrezia Borgia e del duca mecenate Alfonso I d’Este, che gli commissionò importanti lavori di argenteria.
Pochi sanno che Ascanio contribuì alla creazione di quello che è considerato il capolavoro dell’arte orafa mondiale: la Saliera di Francesco I, realizzata in oro, ebano e smalti tra il 1540 e il 1543 da Benvenuto Cellini. In particolare il tagliacozzano si occupò delle decorazioni che ornano la parte inferiore della saliera (vedi galleria fotografica), modellando le piccole figure delle fasi del giorno: l’aurora, il tramonto e la notte. La Saliera è custodita nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Per la storia completa si veda l’articolo “Ascanio da Tagliacozzo e Benvenuto Cellini”, in questo blog.
Nicola da Guardiagrele, primo orafo non toscano.
Con Nicola da Guardiagrele (Guardiagrele 1385 – 1462), l’arte orafa abruzzese raggiunse livelli eccelsi. Le sue croci processionali, il paliotto del Duomo di Teramo, gli ostensori – in particolare quello dell’Assunta, custodito a Francavilla al Mare, sua prima opera firmata (1413) – rappresentano le più raffinate creazioni del suo tempo. Il Filarete lo cita nel Trattato di Architettura (1464) come Mastro Nicola de argentis, primo orafo non toscano.
Dopo i contatti con Sulmona e Napoli, Nicola da Guardiagrele completò la sua formazione a Firenze, dove conobbe Lorenzo Ghiberti, probabilmente proprio mentre questi stava completando la porta in bronzo dorato del Battistero. A sostegno di questa ipotesi, il ritrovamento agli inizi del Novecento da parte del pittore abruzzese Teofilo Patini, di alcuni calchi in gesso corrispondenti alle formelle della Porta del Ghiberti, ritrovati nei pressi di Castel di Sangro
Orafo, scultore, pittore e miniaturista, una delle figure più luminose del gotico internazionale, Nicola da Guardiagrele testimonia il suo genio creativo anche al Museo degli Uffizi, dove si trova l’unico suo dipinto conosciuto: una tempera su tavola, realizzata tra il 1420 e il 1430. Sempre a Firenze, al Museo del Bargello, si trova un gruppo scultoreo, a lui attibuito, raffigurante l’Annunciazione, proveniente da Tocco da Casauria (l’opera, secondo studi recenti, è stata attribuita allo scultore tedesco Walter Monich). Infine nel Musèe Condé (Francia) è custodito un libro di preghiere con decorazioni miniate, realizzato dall’artista guardiese nel 1420.
La sua arte influenzò profondamente la produzione orafa sacra regionale, il cui stile, già forgiato dalle antiche botteghe e dagli argentieri sulmonesi, perdurerà nei decenni successivi. In occasione del Giubileo del 1575, in un momento cruciale nella storia della Chiesa – tra Concilio di Trento e istanze Protestanti – le croci processionali che sfilarono a Roma durante le celebrazioni, erano proprio quelle realizzate dai maestri abruzzesi.
L’Esposizione d’Arte di Chieti
La tradizione orafa regionale divenne nota a livello nazionale con l’Esposizione d’Arte di Chieti del 1905. In quella occasione fu esposta per la prima volta la Croce di Guardiagrele, realizzata da Nicola da Guardiagrele nel 1431 ispirandosi al Ghiberti, ma reiterpretata con originalità.
La Croce fu trafugata nel settembre del 1979, insieme a sette preziosi corali medievali, antifonari e graduali, del 1331. Da allora, grazie alle segnalazioni e alle autorità competenti, molte parti sono stati recuperati in aste e collezioni private tra Austria e Germania, tra cui a il Cristo in trono benedicente, Gesù crocefisso, San Giovanni, la Deposizione e le formelle in smalti champlevés.
Oggi la Croce, parzialmente ricomposta, è custodita nel Museo del Duomo di Guardiagrele, accanto a una pregevole collezione d’arte sacra, tra cui tre antichi antifonari e il gruppo scultoreo raffigurante l’Incoronazione della Vergine, scolpito da Nicola nel 1430 e collocato in origine nella lunetta del portale del Duomo (oggi c’è una copia). A mio avviso anche la lunetta, che richiama lo stile degli ornamenti gotici e dei girali vegetali presenti nella formelle della Croce di Lanciano, è opera del magister guardiese.
Galleria fotografica



Castelvecchio Subequo – Museo d’Arte Sacra – Madonna con Bambino tra due angeli, 1412, Botteghe orafe di Sulmona – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni






Trittico di Alba Fucens – Museo dell’Arte Sacra della Marsica, Castello Piccolomini, Celano – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


Croce astile, XVI secolo, argentiere ambito sulmonese, legno rivestito d’argento sbalzato e cesellato. Proveniente dalla Chiesa di San Nicola, Lettopalena – a destra: Antica bottega orafa aquilana, XVI sec. Croce in argento e rame dorato, dettaglio – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco





Giulianova, Duomo di San Flaviano, reliquiario di San Biagio, 1394, Bartolomeo di sir Paolo da Teramo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


Reliquiario cofanetto di San Sebastiano – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco


Calice in argento dorato e smalti, 1450 circa, incisioni con Gesù, Maria, Angeli e Santi, tra essi San Bernardino – Botteghe orafe dell’Aquila, punzonatura “AQI” – Galleria Arte Medievale e Rinascimentale, Victoria & Albert Museum , Londra – a destra: Piatto di questua, XVI secolo, in ottone, al centro è raffigurato a sbalzo il Leone di San Marco, Bottega abruzzese, probabilmente di ispirazione tedesca – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco



Vienna – Kunsthistorisches Museum – Saliera di Francesco I, 1543. La parte inferiore è quella lavorata da Ascanio de’ Mari da Tagliacozzo

Croce in argento e smalti di Nicola da Guardiagrele, 1422 – Chiesa di Santa Maria Maggiore, Lanciano – Foto Leo De Rocco


Dettaglio dell’ostensorio di Nicola da Guardiagrele, 1413 – Chiesa di San Franco – Francavilla al Mare – Foto Francesco Bini – a destra: Maria Maddalena scolpita da Nicola da Guardiagrele inginocchiata ai piedi di Gesù – Dettaglio della Croce Guardiese, 1431c – Foto BeWeB Beni Ecclesiastici Roma


Duomo di Teramo – dettaglio del paliotto d’argento dorato e smalti di Nicola da Guardiagrele, 1433 – 1448, Adorazione dei Magi – Foto Leo De Rocco

Madonna dell’Umiltà, 1420-1430, Nicola da Guardiagrele – Gallerie degli Uffizi, Firenze – Foto Ivan De Lucia per Abruzzo storie e passioni


Incoronazione di Maria Regina dei Cieli nel Duomo di Guardiagrele, 1430 circa, pietra bianca della Maiella, Nicola da Guardiagrele e bottega – Foto Leo De Rocco – a destra: Annunciazione, gruppo scultoreo proveniente da Tocco da Casauria, attribuito a Nicola da Guardiagrele, più recentemente a Walter Monich – Firenze, Museo del Bargello – Foto Catalogo Generale dei Beni Culturali


Dettaglio del Libro di Preghiere di Nicola da Guardiagrele – Musèe Condè Chantilly France – Foto Catalogue de manuscrits enluminès France – a destra: L’ultimo frammento della Croce processionale di Nicola da Guardiagrele ritrovato in Austria – Foto Leo De Rocco

Lanciano, i disegni geometrici che compongono la pavimentazione del Corso Trento e Trieste richiamano le forme della Presentosa – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


A sinistra: Presentosa, Scanno, primi del Novecento, foto Gino Di Paolo, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni, archivio Museo delle Genti d’Abruzzo – a destra: Presentose in oro e argento nella vetrina di una bottega orafa di Guardiagrele.
Seconda parte
L’onestà fa bella la donna
Questa iscrizione è incisa (in latino) sul coperchio di un portagioielli trecentesco, appartenuto a una nobildonna di Guardiagrele, scolpito con scene cavalleresche e temi medievali dell’amor cortese. Il cofanetto, esposto nel Museo del Duomo di Guardiagrele, racchiude l’essenza dell’oreficeria abruzzese: non solo ornamento, ma specchio di virtù, status, sentimenti e ritualità. Come la Presentosa, medaglione arabescato in filigrana d’oro a forma di stella, con al centro simboli amorosi, pegno d’amore per le giovani coppie: il fidanzato abruzzese lo donava alla propria ragazza dichiarando fedeltà e impegno matrimoniale. Gabriele d’Annunzio farà conoscere attraverso i suoi romanzi questo gioiello popolare al pubblico colto. contribuendo a trasformarlo in un emblema identitario.
Prodotto soprattutto nelle botteghe orafe della Valle Peligna, del Frentano e dell’aquilano, la Presentosa raggiunge tra Ottocento e primo Novecento livelli raffinati di lavorazione. In particolare a Pescocostanzo, dove la filigrana veniva lavorata da maestri orafi che utilizzavano alte percentuali di oro.
Ogni bottega creava un proprio modello: al centro della composizione poteva figurare un solo cuoricino, come a Pescocostanzo, oppure due incrociati, talvolta addirittura una piccola nave, simbolo struggente dei giovani emigranti che partivano oltre oceano per costruire il futuro di una famiglia appena promessa.
Fonti notarili sette-ottocenteshi attestano l’origine e il valore sociale di questo gioiello: tra le doti di giovani spose di Guardiagrele compaiono “una Presentosa di corallo e una d’oro con rubini”, ricorda al nostro blog l’antropologa Adriana Gandolfi (vedi note e fonti).
Accanto a Pescocostanzo e Guardiagrele, anche le botteghe di Agnone, Scanno, Sulmona e L’Aquila svilupparono una tradizione solida, destinata a diffondersi nel meridione, tra Campania e Puglia in particolare, anche grazie alle vie tratturali della Transumanza. Su questo tema si veda l’articolo: “Autunno abruzzese, gli antichi tratturi”, in questo blog.
Antichi gioielli: Presentose, Sciacquajje, Cannatòre e Petto d’oro.
Le testimonianze pittoriche di Pasquale Celommi (Montepagano, 1851 – Roseto degli Abruzzi, 1928), restituiscono con immediatezza la dignità e la bellezza quotidiana di un Abruzzo rurale, dove il gioiello non era un vezzo, ma una dichiarazione di identità e un talismano. Le donne, ritratte durante le attività quotidiane, indossano le sciacquajje – orecchini formate da semilune in oro, arricchiti con pendenti oscillanti – e la vistosa cannatòre, una collana composta da sferette d’oro lavorate a sbalzo.
In un dettaglio del dipinto Sposalizio abruzzese, dello stesso Celommi, oltre agli ori dalla sposa, si nota l’orecchino indossato dallo sposo. Anche gli uomini indossavano gioielli, in particolare orecchini, anelli e spille, queste ultime usate a Scanno per unire i lembi del mantello di lana del tradizionale costume locale. Sempre a Scanno, località molto amata da celebri fotografi come Henri Cartier-Bresson, gli antichi gioielli vengono indossati ancora oggi in occasione della rievocazione annuale (in agosto) del corteo nuziale “Ju Catenacce” (traduzione: Il Catenaccio), quando, in passato, era consuetudine che gli sposi attraversassero le vie del paese il giorno delle nozze.
Le sciacquajje compaiono anche nel grande teatro visivo di Francesco Paolo Michetti (Tocco da Casauria, 1851 – Francavilla al Mare, 1929): da La Figlia di Iorio alle scene corali delle Serpi, dove i bambini di Cocullo partecipano alla processione di San Domenico, protettore contro i morsi di serpente, la rabbia e il mal di denti, letteralmente avvolti in monili d’oro, amuleti contro il male, contro la paura, contro gli invisibili capricci del destino.
Nel dipinto Il Voto (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma), Michetti raffigura un dettaglio rivelatore: il piattino delle offerte dei devoti miglianichesi, che dopo aver strisciato a terra leccando il pavimento in segno di ex voto donano a San Pantaleone gli ori, si riconoscono le Sciacquajje, per molte famiglie il tesoro più prezioso da donare al santo. Per un approfondimento si rimanda all’articolo “Miglianico, d’Annunzio, Michetti e San Pantaleone”, in questo blog.
Le stesse suggestioni emergono nelle tele degli artisti scandinavi a Civita d’Antino e nelle sculture di Costantino Barbella, a testimonianza che per le donne abruzzesi l’oro significava protezione e abbondanza. Non a caso, nella zona di Orsogna, la sposa indossava il magnifico Petto d’oro, un complesso apparato di catene e pendenti che ricopriva l’intero décolleté, una sorta di corazza luminosa che evocava prosperità e fertilità.
Le forme di questo gioiello, con le sue geometrie vagamente arabescate, riecheggiano in una originale e rara decorazione pavimentale, realizzata utilizzando polvere di corallo e nascosta per decenni in un salone nobile affacciato sul mare di Giulianova. Una porta chiusa da tempo, che si riaprirà per noi nel capitolo successivo.
Galleria fotografica



Pasquale Celommi, “La Lavandaia”, dettaglio, Pinacoteca Vincenzo Bindi, Giulianova – Pasquale Celommi, “Tornando a casa”, dettaglio – Sposalizio abruzzese, dettaglio, Pasquale Celommi, 1886 – Museo Civico Teramo – Foto Leo De Rocco

Presentosa, Agnone, metà ‘800 – Foto Gino Di Paolo, per gentile concessione Museo delle Genti d’Abruzzo

Cannatora, con cammeo in oro e corallo fine ‘800 – Pescocostanzo – Foto Gino Di Paolo Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo – per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Collane Cannatora e Presentosa, Museo delle Genti d’Abruzzo Pescara – Foto Leo De Rocco


In alto Sciacquajje, fine ‘800, indossate dalla modella nel dipinto di Celommi La Lavandaia; e le Sciacquajje di Orsogna, primi ‘800, originali indossate dalla modella ritratta da F. P. Michetti nella “Figlia di Iorio” – Foto Gino Di Paolo Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Sciacquajje, fine ‘800, Museo delle Genti d’Abruzzo Pescara – Foto Leo De Rocco

Francesco Paolo Michetti, La figlia di Iorio, 1894 – dettaglio, l’effigiata indossa orecchini “sciacquajje” – Pescara, Palazzo della Provincia – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni






Dettaglio de “Le Serpi”, Francesco Paolo Michetti, 1900 – Francavilla al Mare, Museo Michetti – Foto Leo De Rocco

Dettaglio de “Il Voto”, Francesco Paolo Michetti, 1881 – Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea Roma – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Donna della Sabina abruzzese – Peder Henrik Kristian Zahrtmann, 1877 – Imago Museum Pescara – Foto Leo De Rocco

Costantino Barbella, “Coro d’amore”, collezione F.P. d’Aloisio Pescara – foto Leo De Rocco – donne del popolo indossano le collane Presentosa e Cannatora e gli orecchini Sciacquajje.


Pettorali da sposa, Orsogna, inizi ‘900 – Foto Gino Di Paolo – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo – per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni
Il mio sopralluogo a Villa Migliori di Giulianova.
Le donne del teramano preferivano soprattutto gioielli in corallo, indossati nella forma di preziose e lunghe collane intrecciate tra loro, sia come ornamento e sia come protezione. Come ricorda al nostro blog l’etno-antropologa Adriana Gandolfi: “Questi monili erano considerati anche condrammalocchie, capaci di scacciare malocchio e invidia.”
La diffusione del corallo in questo territorio fu favorita, sul finire dell’Ottocento, dall’attività di una prestigiosa manifattura: quella dai fratelli Migliori di Giulianova. Il corallo qui veniva lavorato con una originale tecnica, detta “sfaccettato”, unica in Italia, tanto che persino gli abili orafi di Torre del Greco si recavano a Giulianova per acquistarlo.
Gli artigiani orafi della bottega Migliori utilizzavano un corallo di primissima qualità, importato dalle Isole di Capo Verde, patria di Gilda Lubrano (suo padre era livornese) moglie di Cesare Migliori, il capostipite della famiglia orafa giuliese. Il materiale giungeva nel porto di Livorno e da lì veniva trasportato a Giulianova, dove i Migliori creavano gioielli raffinati ed eleganti, richiesti anche fuori Abruzzo: Milano, Parigi e Londra.
La scoperta, durante le ricerche negli archivi della Biblioteca Bindi e sui testi di Adriana Gandolfi dedicati alla storia dell’arte orafa abruzzese, dell’esistenza di una bottega del corallo ha suscitato in me una curiosità profonda, rivelatasi la vera fonte di ispirazione per il presente articolo. Ma limitarsi al racconto archivistico mi sembrava riduttivo: cercavo qualcosa di inedito. Soprattutto perché sulla storia della villa abbandonata – famosa per il pavimento decorato con inserti in polvere di corallo – non esisteva una documentazione fotografica. Appurai inoltre che nella stessa villa aveva soggiornato Vittorio Emanuele II, in una stanza dalla volta affrescata, forse opera di Adolfo De Carolis o della sua scuola. Il re fu ospitato nell’ottobre del 1860, pochi giorni prima dello storico incontro a Teano con Garibaldi.
All’epoca la proprietà – dai giuliesi chiamata La Montagnola – apparteneva ai Duchi Acquaviva-d’Aragona. La contessa Alexandrovna Obreskov, moglie di Carlo Acquaviva d’Aragona, animava salotti letterari, feste e concerti. Tra gli ospiti: il noto compositore ortonese Francesco Paolo Tosti e il musicista giuliese Gaetano Braga.
Spinto da passione e curiosità, cercai dunque di rintracciare gli eredi della famiglia Migliori, con la speranza di ottenere il permesso per un sopralluogo nella villa e nell’antico laboratorio orafo. Nell’estate del 2016 riuscii a rintracciare a Roma gli eredi, in particolare contattai il signor Cesare Migliori, ancora oggi attivo nel settore settore dei gioielli nell’azienda di famiglia: la Sodo-Migliori gioielli Roma.
Il sig. Cesare mi raccontò alcuni aneddoti legati alla attività di gioiellieri della sua famiglia in Giulianova, in particolare la tecnica di lavorazione e il commercio derivante dalle importazioni da Capo Verde, poi gentilmente mi mise in contatto con il nipote, il dott. Giovanni Cerulli. Fu così che grazie a lui ebbi la possibilità di organizzare un sopralluogo all’interno di Villa Migliori.
La Villa del Corallo
Nel luglio 2016 finalmente varcai i cancelli della villa. Invitai con me Adriana Gandolfi e Sirio Pomante, direttore del Polo Musei Civici di Giulianova. La proprietà era ormai quasi completamente inghiottita dalla vegetazione: dovemmo aprirci un varco tra rovi ed erbacce per raggiungere l’ingresso del palazzo.
Quando giunsi al cospetto dell’antica dimora che domina il mare di Giulianova rimasi incantato. La bellezza, seppur decadente, e il rigoglioso parco che la avvolge quasi commuovono. I giuliesi raccontano che in passato, quando pioveva, i prati si tingevano di rosa per la polvere di corallo proveniente dal laboratorio orafo. Per questo la villa era nota come la Villa del Corallo. I bambini del paese vi entravano per giocare, alla ricerca di un leggendario passaggio segreto che – secondo loro – conduceva fino ad Atri, al Palazzo Ducale degli Acquaviva.
Nel salone d’ingresso trovai a terra documenti originali relativi alle attività di commercio dei preziosi, risalenti ai primi del Novecento: giacevano lì chissà da quanto tempo, li raccolsi e li affidai al direttore Pomante affinché fossero conservati nella Biblioteca di Palazzo Bindi, punto di origine delle mie ricerche.
Salendo la grande scalinata raggiunsi il piano superiore, dove potei finalmente osservare – e fotografare – il bellissimo pavimento decorato, simbolo dell’antica lavorazione artigianale del corallo e, a mio avviso, un chiaro rimando stilistico alle forme della collana Petto d’oro. Su una parete del salone si può ancora leggere un verso poetico che i Migliori dedicarono alla loro arte: Giù, nel mare profondo, per mani operose, vai corallo pe’l mondo ad adornar le spose.
L’elegante rosone centrale del pavimento era celato da strati di polvere, rimuoverli richese tempo e pazienza, ma la soddisfazione fu grande. Sentivo di restituire alla memoria collettiva un tassello della storia di Giulianova e dell’oreficeria abruzzese.
La lavorazione del corallo a Giulianova fu abbandonata con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. È auspicabile che Villa Migliori, l’annesso antico ex laboratorio di oreficeria e il parco diventino, attraverso un adeguato progetto di recupero e di valorizzazione, attraverso l’interesse attivo delle istituzioni, un luogo che testimonia la memoria storica e identitaria del luogo, rendendolo fruibile alla comunità.
Il corallo, tra tradizione e fede.
L’uso del corallo in Abruzzo ha dunque rappresentato una vera e propria peculiarità rispetto al resto d’Italia. Viaggiatori, intellettuali e letterati ne testimoniano l’ampia diffusione, descrivendo donne ornate da “collane avvolte fino a sei giri di corallo” (1).
Non solo intellettuali, anche artisti, pittori e fotografi rimasero affascinati dai monili rossi. Tra essi Dante Gabriel Rossetti, fondatore dei Preraffaelliti, le cui origini familiari affondano nell’Abruzzo, suo padre nacque a Vasto. Rossetti ritrae più volte la modella Alexa Wilding, abbigliata come una dama rinascimentale: abito sontuoso, preziosi gioielli, due ammoniti in perle e argento tra i capelli e una lunga collana di corallo rosso, che la modella intreccia tra le dita. Per un approfondimento sui Rossetti, si veda in questo blog l’articolo: “Vasto: mare, arte e cultura. La storia dei Rossetti”.
Una piccolissima collana in corallo appare persino al collo di una delle statuine seicentesche che compongono il Presepe Antinori, si tratta di una popolana. Sulla storia di questo antico presepe riscoperto a Lanciano e sull’arte presepiale abruzzese rimando all’articolo “La storia di un antico presepe”.
Il corallo è protagonista anche nell’arte sacra, sovente appare nei dipinti e negli affreschi nella forma di un rametto appeso al collo di Gesù Bambino. Nella iconografia sacra il corallo simboleggia il sangue della Passione di Gesù. Anche per questo – ricorda Adriana Gandolfi – in passato si usava donare collanine di corallo ai neonati “per proteggerli dal male”.
Nella mitologia, il corallo nasce dalla storia di Perseo e Medusa. Come narra Ovidio, nativo di Sulmona, nelle Metamorfosi, furono le ninfe del mare a diffonderlo negli abissi: le alghe toccate dal sangue del mostro si pietrificarono, tingendosi di rosso, nacque così il corallo.
La seguente galleria fotografica comprende alcune immagini relative alla “missione” Villa Migliori di Giulianova, che scattai nella estate del 2016.


Giulianova – Duomo di San Flaviano e scorcio della marina da piazza della Libertà – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni




Nell’ordine: Villa Migliori in una foto d’epoca e come si presenta oggi; dettaglio di un vecchio registro vendite della bottega orafa Migliori, che ho ritrovato durante il sopralluogo; facciata del laboratorio orafo nei pressi della villa – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni



Giulianova. sopralluogo a Villa Migliori, luglio 2016, dettaglio del pavimento con decorazioni e inserti in corallo. Si noti la somiglianza con le forme della collana Pettorale da Sposa – foto Leo De Rocco




Giulianova – Villa Migliori, ingresso, luglio 2016, il dott. Giovanni Cerulli apre il cancello della villa – Foto Leo De Rocco








Giulianova – Villa Migliori, esterni della villa e interni con affreschi nella stanza dove dormì il re Vittorio Emanuele – Foto Leo De Rocco

Durante le mie ricerche nella Biblioteca Bindi di Giulianova ho trovato questa foto che ritrae il laboratorio orafo della famiglia Migliori durante il turno di lavoro delle operaie addette alla lavorazione del corallo – Giulianova, inizi ‘900 – Annuario Storico Madonna dello Splendore, articolo “Il Corallo di Giulianova” di Renata Magazzeni

Collanina in corallo al collo di una statuina del prezioso Presepe Antinori, XVII sec., a Lanciano – Foto Leo De Rocco


In alto la bella Vinca Delfico, la nobildonna teramana che fece girare la testa a molti uomini, D’Annunzio compreso, ritratta da Francesco Paolo Michetti nel 1882, tra fiori e una collana con ben cinque giri di corallo, in mano un ventaglio di raso – Archivio De Filippis-Delfico – in basso: Monna Vanna, 1866, Dante Gabriel Rossetti – Tate Gallery – Londra


Collana e orecchini in oro e corallo lavorati con la tecnica dello “sfaccettato” ‐ Collezione privata, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni


Andrea De Litio, 1470 circa, dettaglio della Madonna con Bambino nella chiesa della Madonna del Lago a Moscufo (Pe) – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collanina di corallo – a destra: Affresco primi del ‘500 – Chiesa di Santa Maria Valleverde – Celano – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collana con rametto di corallo

Dettaglio degli affreschi del ‘500 nella chiesa di San Silvestro papa, Mutignano – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa anche un bracciale, sempre in corallo

Piero della Francesca, 1475 circa, dettaglio della Madonna di Senigallia, Urbino Palazzo Ducale – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collana con un vistoso rametto di corallo

Madonna con Bambino, Pietro Vannucci detto Perugino, 1470 circa – Istituto di Francia Parigi – Foto Leo De Rocco – il Bambino indossa una collanina in corallo


Gioiello bracciale e ramwtto amuleto in oro e corallo – Tesoro della Madonna del Ponte – Lanciano – Foto Gino Di Paolo, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni – il piedistallo della statua della Madonna del Ponte di Lanciano, a forma di ponte, oggi è in oro ma anticamente era in corallo.

Gioielli in corallo, tesoro della Madonna del Ponte, Lanciano – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
L’Oro di Scanno
In questo capitolo visiteremo alcune botteghe orafe di Scanno, luoghi rivelatrici di tecniche tradizionali e di innovazioni rivolte al contemporaneo.
Le botteghe orafe del borgo conservano ancora oggi l’atmosfera di un secolo fa: le stesse macchine e gli stessi attrezzi utilizzati per la lavorazione dei gioielli, con i banconi consumati dal lavoro quotidiano. Una preziosa testimonianza di un sapere tramandato per generazioni, che arricchisce la storia, l’arte e l’artigianato di un paese iconico, già immortalato da celebri fotografi internazionali, tra cui Henri Cartier-Bresson. Sul tema si veda l’articolo “L’Abruzzo di Henri Cartier-Bresson”.
▪︎ Bottega Orafa Di Rienzo
Anche a Scanno ritroviamo il corallo protagonista, insieme ad altre pietre preziose, in uno dei gioielli-simbolo dell’arte orafa locale: L’Amorino. Nel 1926 l’orafo Armando Di Rienzo rielaborò un semplice fermaglio passafilo, utilizzato dalle donne durante il lavoro ai ferri. Nacque così un elegante medaglione nuziale, ornato da corallo, perle, rubini e turchesi. Il gioiello riscosse un immediato successo e, nel 1958, fu premiato alla Mostra mondiale dell’Artigianato di New York.
L’Amorino di Scanno, talismano e pegno d’amore che il fidanzato scannese donava alla sua futura sposa, presenta un delicato intreccio floreale in oro, impreziosito da pietre preziose che incorniciano una piccola corona regale. Alla base della corona si trova un amorino bendato nell’atto di scoccare la freccia dell’amore.
La prima bottega storica che visitiamo è proprio quella dei Di Rienzo: un laboratorio pluripremiato risalente al 1850. Il sig. Eugenio Di Rienzo, discendente della famiglia di orafi, mi accoglie raccontando la storia dell’attività e mostrandomi il celebre Amorino, molto richiesto dai turisti.
Il legame tra la bottega e la cultura del territorio si estende anche al costume tradizionale scannese. I Di Rienzo crearono i preziosi accessori che adornano il corpetto femminile: bottoni d’argento e decorazioni con soggetti sacri, floreali e mitologici. Anche per gli uomini la bottega realizzò manufatti tipici, come le Grappe, fibbie metalliche che servivano per agganciare i lembi del mantello di lana.
▪︎ Bottega Orafa Rotolo
Altrettanto antica e rinomata è la Bottega Orafa della Rotolo, in via Abrami, nel cuore del borgo. Il sig. Francesco Rotolo mi racconta la lunga tradizione familiare, risalente al 1884 grazie a Diomede Rotolo, tra i primi orafi scannesi a promuovere un’identità artigianale locale, inizialmente legata proprio al costume tradizionale femminile.
I bottoni d’argento del costume necessitavano di una chiusura particolare, una soluzione originale ideata dai Rotolo. Il tipico giacchetto era confezionato con la lana che i pastori transumanti portavano nelle filande o nelle case, dove le donne del posto realizzavano tessuti su antichi telai in legno d’ulivo.
Aurelio Rotolo – racconta Francesco al nostro blog – altro componente fondamentale della famiglia, negli anni Quaranta del secolo scorso realizzò alcuni preziosi calici in oro destinati a una chiesa del quartiere di Brooklyn, oggetti sacri ancora oggi utilizzati durante le cerimonie religiose.
Per la creazione della Presentosa di Scanno, precisa Francesco, “seguiamo l’antica lavorazione artigianale, che consiste nell’usare l’osso di seppia come stampo per la colata del metallo prezioso fuso, oro o argento”. Una tecnica unica nel suo genere, tipicamente scannese e diversa dalla tradizionale filigrana.
La bottega ha inoltre brevettato una innovativa tecnica di lavorazione dei gioielli, che utilizza il tombolo, simbolo dell’arte del ricamo diffusa un tempo in Abruzzo, soprattutto nell’aquilano. Con il tombolo, Federica Silvani, moglie di Francesco, crea con grande maestria gioielli delicatissimi, ispirati a geometrie arabescate e talvolta ai profili montuosi di Scanno.
Galleria fotografica
▪︎ Bottega Orafa Di Rienzo


Scanno, Bottega Orafa Di Rienzo, gli originali gioielli “Amorini” del 1926 – Eugenio Di Rienzo, nella sua bottega orafa – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni








Laboratorio orafo Di Rienzo, Scanno – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
▪︎ Bottega Orafa Rotolo

Scanno, Francesco Rotolo nella sua bottega orafa – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Orecchini “Circeje”, Scanno, seconda metà dell’800, realizzati dal maestro orafo Diomede Rotolo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
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Tradizioni e riti popolari
Nella tradizione popolare abruzzese non era sempre la donna ad acquistare i gioielli, spesso gli ornamenti preziosi venivano tramandati di madre in figlia per generazioni, oppure erano donati dal fidanzato – futuro marito – e dalla sua famiglia alla giovane promessa sposa. La sposa li avrebbe indossati il giorno delle nozze, ostentando eleganza, benessere e fertilità.
All’interno di questa antica consuetudine, autentico rito popolare, la famiglia dello sposo poco prima del matrimonio invitava la famiglia della sposa a recarsi assieme nella bottega dell’orafo per la scegliere i gioielli destinati alla cerimonia.
“Il giorno del matrimonio” – scrive Adriana Gandolfi nella sua storia dei gioielli d’Abruzzo – “solo alla madre dello sposo era concesso di adornare la futura nuora con il coordinato di orecchini, collane e spille. Questo rito ricco di pathos appariva come una incoronazione: la sposa rappresentava la garanzia della continuità per la stirpe familiare.”
A Scanno, durante la prima visita ufficiale della famiglia del pretendente alla casa della ragazza prescelta, la madre del fidanzato ornava la giovane con grandi orecchini in lamina traforata a forma di navicella, con tre o sette pendenti, chiamati Circeje. Se il futuro sposo partiva militare o per la transumanza – ricorda ancora Gandolfi – “i giovani si scambiavano una medaglietta apribile chiamata teca, una sorta di piccolo reliquiario rettangolare, talvolta in argento, in cui si conservavano capelli o peli intimi”.
Ad Agnone, in Molise, e a Orsogna, la futura sposa riceveva anche un ciondolino a forma di bussola, che alludeva – cito testualmente Gandolfi – “alla retta via da seguire da quel momento: fedele e devota al proprio marito, pronta per essere madre.”
I gioielli delle popolane
Accanto alle tradizionali sciacquajje e circeje, le donne abruzzesi indossavano anche altri modelli di orecchini sfarzosi, diffusi soprattutto tra le contadine abruzzesi e dell’Italia meridionale. Erano realizzati in filigrana, lamine d’oro giallo e rosso, con motivi floreali e stellati. Talvolta riprendevano stili tipici del Sud, in particolare della Sicilia.
Questi orecchini pendenti, spesso di dimensioni sorprendenti, sembrerebbero troppo pesanti per per essere indossati, ma l’oro sottilissimo con cui erano lavorati assicurava leggerezza e confort, senza rinunciare alla sontuosità cui aspiravano le donne del popolo.
La galleria fotografica che segue presenta una selezione di questi modelli, parte della Collezione Castellani, acquistati a Parigi nel 1867, durante l’Esposizione Internazionale dei Gioielli Contadini, e conservati al Victoria & Albert Museum di Londra, insieme a una vistosa collana in corallo.
L’oreficeria abruzzese non era destinata solo alle donne, ma anche ai bambini e ai neonati. Come abbiamo visto, la tradizione popolare attribuiva agli ori virtù apotropaiche: amuleti capaci di allontanare malattie, malocchio e streghe.
A Scanno, la protagonista era ancora una volta la madre dello sposo che, diventando nonna, donava al nipote appena nato una medaglietta in oro e argento con tredici pendenti, ciascuno simbolo di una benedizione: zampognaro (accortezza); chiavi (amore); colomba (pace); cornetto (contro il malocchio); gallo (allegria); angelo (il custode); Arcangelo Michele (protezione); Sant’Antonio (contro le tentazioni); Santa Lucia (protezione della vista); pastore (il lavoro); stella (il destino); Madonna (purezza); fiore (amicizia e affetto.
Un altro amuleto destinato ai bambini era la “tasciol’e”, un piccolo cappuccio d’argento che conteneva un ciuffo di peli di tasso. Diffuso soprattutto a Pescocostanzo, era considerato un potente talismano contro le streghe. Si credeva che la fattucchiera, durante la visita notturna al neonato, si distraesse nel contare i peli contenuti nell’amuleto e non si accorgesse del sorgere del sole, momento in cui doveva svanire, lasciando così indenne il bimbo.
L’uso dei gioielli-amuleti risale a millenni fa: come ho potuto constatare nel Museo Nazionale Archeologico d’Abruzzo, le popolazioni italiche che abitavano la regione indossavano collane con pendenti in ambra e grani colorati in pasta vitrea a forma di occhi, simboli di protezione e buon auspicio. Le immagini che seguono documentato questi arcaici gioielli.
Oro e zafferano
Concludo questo viaggio nella storia degli antichi gioielli, con un altro tipo di oro: quello “rosso”. Lo zafferano aquilano, da secoli prodotto sull’altopiano di Navelli, era un tempo merce preziosa. Durante le fiere che si tenevano nei paesi attraversati dai tratturi, le donne di Navelli usavano barattare piccoli sacchetti di zafferano profumato con orafi e gioiellieri, ottenendo in cambio gioielli tradizionali da donare alle figlie prossime alle nozze, o da conservare come ori di famiglia.
Conclusioni
Gli antichi gioielli abruzzesi sono parte integrante di una tradizione popolare densa di simbooli, pathos e di riti ancestrali.
La protagonista di questo mondo era la donna: promessa sposa, futura madre e come madre dello sposo. Il suo ruolo, segnato da gesti codificati e preziose consuetudini, non si esauriva in un semplice vanitas vanitatum, e gli ornamenti indossati esprimevano un preciso stile, tutto abruzzese, capace di unire identità, appartenenza e femminilità.
Leo Domenico De Rocco – Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo – derocco.leo@gmail.com – Copyright © Riproduzione Riservata – Tutte le foto pubblicate in questo articolo sono protette da copyright – Note, fonti e ringraziamenti dopo la galleria fotografica.
Galleria fotografica


A sinistra: Orecchino in filigrana d’oro, bottega orafa abruzzese, XIX sec. – Victoria & Albert Museum Londra – Costituito da un elaborato disegno in filigrana di filo d’oro giallo, con sagome in lamina di oro rosso e fiori stilizzati, comprendeva anche un pendente, qui mancante – a destra: Orecchino pendente in lamina d’oro incisa e sfaccettata – Botteghe orafe abruzzesi, XIX sec. – Vittoria & Albert Museum Londra


Orecchino floreale in lamina d’oro incisa e sfaccettata – Botteghe artigiane abruzzesi, XIX sec. – Victoria & Albert Museum Londra – a destra: Orecchino pendente in oro giallo e rosso, filigrana, smalto e strisce pendenti – Botteghe orafe sud Italia – Victoria & Albert Museum Londra


Orecchino in oro con pendente e perline blu e bianco, XIX sec., Bottega orafa abruzzese – Victoria & Albert Museum Londra – a destra: Collana in corallo con terminali in argento e nastri di seta rossa, composta da 16 file graduate di perline di corallo a forma di barilotto, Italia 1820-1867, proveniente da una collezione privata abruzzese – Victoria & Albert Museum Londra



Antica bottega orafa di Pollutri, tavolo da lavoro; cassaforte portatile; arnese da lavoro – Foto Leo De Rocco

Chieti, l’attuale Via Pollione anticamente era chiamata la “Via degli Orefici” in quanto un tempo erano numerose le botteghe orafe distribuite lungo questa strada – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni



Collane in pasta vitrea e ambra, VII-V sec.a.C. Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo Chieti ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni






Raccolta dei fiori crocus e produzione dello Zafferano aquilano – Altopiano di Navelli – Civitaretenga – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


Tasciola, campanella e ciambella, fine ‘800 – Foto Gino Di Paolo – A destra: Donna di Orsogna, adornata di gioielli abruzzesi, inizi ‘900, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni dall’Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo







Gioielli della tradizione orafa abruzzese – Museo delle Genti d’Abruzzo – Foto Leo De Rocco

Ragazza di Francavilla al Mare con “sciacquajje” in oro fotografata da Francesco Paolo Michetti – dettaglio della copertina del catalogo “Il Cenacolo delle Arti” 1999 Electa Napoli


Donna abruzzese – Francesco Paolo Michetti, 1889 – foto Gino Di Paolo – a destra: Coro di Orsogna a Venezia, vincitore di una rassegna nel 1929 (le orsognesi erano famose per l’ostentazione dei loro vistosi ornamenti) – Archivio Museo delle Genti d’Abruzzo


Ragazza con canestro, Pasquale Celommi, 1887 – Collezione privata – a destra: Ritratto di una giovane moglie di Civita d’Antino, Robert Charles Fiebirger, 1900 – Imago Museum Pescara – Foto Leo De Rocco
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Copyright © – Riproduzione Riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici – Tutte le immagini pubblicate in questo articolo sono protette da Copyright – Foto: Gino Di Paolo per il Museo delle Genti d’Abruzzo – Leo De Rocco, per Abruzzo storie e passioni – Articolo aggiornato a novembre 2023. Desidero rivolgere un particolare ringraziamento al Dott. Cesare Sodo-Migliori e al Dott. Giovanni Cerulli Irelli, per la gentile concessione (in esclusiva) del sopralluogo a Villa Migliori di Giulianova. Ringrazio Adriana Gandolfi per la gentile collaborazione. Il materiale fotografico, concesso per questo articolo è solo una piccola parte dell’archivio pubblicato nei testi: “La Presentosa” (italiano-inglese, ultima edizione aggiornata e auto-prodotta dall’autrice, dic.2015); “Ori e Argenti d’Abruzzo” (con E.Mattiocco, per le Edizioni Carsa, 1996) – adrianagandolfi2014@libero.it – Ringrazio inoltre: Sirio Pomante, responsabile della Biblioteca Bindi di Giulianova per la disponibilità della sala per la consultazione dei documenti storici custodi nella Biblioteca.
Note/Fonti: 1) E.Canziani, “Through the Appenines and Lands of the Abruzzi”, “Attraverso l’Appennino e le Terre d’Abruzzo” Cambridge, 1928 in “Ori e Argenti d’Abruzzo”, Carsa Edizioni, Pescara 1996; “Abruzzo Cultura e Letteratura dal Medioevo all’Età Contemporanea” di Gianni Oliva e Carlo De Matteis, Edizioni Carabba 2020; “Castelvecchio Subequo” di Giuseppe Cera, Edizione Eta Beta srl, 2019.
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English version
Abruzzo and ancient jewellery, Giulianova’s coral
The goldsmiths of Abruzzo have shown great skill, creativity and craftsmanship ever since the Middle Ages. The tradition of working precious metals (silver in particular) was well rooted especially between L’Aquila and Sulmona.
The priceless artefacts that were produced in Sulmona were recognised by the punching forming of the word “sul” and they were present in almost all of central-southern Italy. Today we can still admire them in some churches, but also in prestigious international museums: from the Vatican Museums to the Victoria and Albert Museum in London.
In the history of the goldsmith art of Abruzzo it is impossible to forget Ascanio de Mari, a great goldsmith born in Tagliacozzo (province of L’Aquila), who was strongly desired by Benvenuto Cellini to become his student.
The famous Florentine goldsmith discovered the precocious talent of the young man from Abruzzo and hired him immediately as an apprentice in his workshop, which at the time was one of the landmarks in the beautiful Rome of the sixteenth century.
Ascanio Mari will become in France the official silversmith of King Henry II. Furthermore, according to some scholars, one of the masterpieces of the world of goldsmith art, the famous Cellini Salt Cellar of Francis I, which is now in the Kunsthistorisches Museum in Vienna, would have even witnessed the skilled hands of our Ascanio.
But it is with Nicola da Guardiagrele that the goldsmith art of Abruzzo reached lofty levels: its processional crosses, the altar frontals, the monstrances, are all works of art that are admired all over the world and they testify to the significant contribution made by artisans and artists from Abruzzo to the history of art between the Middle Ages and Renaissance.
Around the second half of the nineteenth century, it was the historian Vincenzo Bindi from Giulianova to raise the awareness of Nicola da Guardiagrele to art historians, while the artistic and artisan tradition of Abruzzo started to become known and appreciated on a large scale only after the prestigious art exhibition that was held in Chieti in 1905.
The famous poet and writer Gabriele d’Annunzio from Pescara made known to the public one of the goldsmith symbols of Abruzzo: the “presentosa”, a star-shaped arabesque medallion in golden filigree, with love symbols in its centre, which the poet mentions in one of his most famous novels, “Il Trionfo della Morte” (the Triumph of Death – 1894). The women of Abruzzo and Molise had to pledge publicly to become “brides-to-be” in order to receive the precious gift from their suitors.
At the turn of the nineteenth and early twentieth century, Pescocostanzo is one of the most important centres of the goldsmith art in Abruzzo. Its workshops were distinguished by the refinement of filigree jewellery, which was made even more precious by the high percentage of gold used in the processing. The traditional jewellery was a source of pride and prestige for the local ladies. The “cannatòre” was a necklace formed by a set of small cantilevered golden spheres, which was often worn together with the “sciacquajje”. These were half-moon ship-shaped earrings in gold that were enriched with oscillating ear-drops, always in gold.
As evidenced by some photographs taken at the end of the nineteenth century by the painter Francesco Paolo Michetti, the women of Abruzzo never gave up to earrings, necklaces and other accessories, even during the tiresome works in the fields. They used to wear necklaces, brooches and showy crescents “sciacquajje” even for everyday activities since they also attributed to the jewel a superstitious meaning: propitiatory of abundance and prosperity.
In the area of Orsogna, in the same places where the aforementioned artist of Abruzzo, Francesco Paolo Michetti, used to seek for inspiration in order to make the famous painting “La figlia di Jorio” (“The daughter of Jorio”) and where he found the interpreter model of the scene depicted in the artwork, there was a gorgeous necklace in use called “petto d’oro” (golden chest). This was composed of several chains, medallions and pendants connected together that adorned the entire chest of the bride on her wedding day. She was practically covered with gold and thus represented abundance and fertility, in addition to an elegant femininity.
On the other hand, in the province of Teramo women used to favour the coral, as they always wore long necklaces entwined with each other both as ornament and as “condrammalocchie”, (superstitions) that was useful to ward off the harmful influences of the evil eye and envy. In the late nineteenth century, the Migliori brothers put in place in Giulianova (province of Teramo) a prestigious manufacturing for the processing of this precious material.
The coral, which was wrought with the typical technique called “sfaccettato” (multifaceted), was unique in Italy and even the craftsmen of the famous Torre del Greco used to go to Giulianova in order to buy it.
The coral, which was worked by skilful workers in the workshop of the Migliori brothers, was of the highest quality and the jewellery products, which were refined and elegant, were in demand even outside Abruzzo: Milan, Paris and, especially, London.
In Giulianova, the ancient art of corals manufacturing was abandoned with the outbreak of World War II and, with it, the beautiful villa-workshop was also abandoned, where the Italian King Vittorio Emanuele II stayed during his journey to Teano.
The use of the coral in Abruzzo represented for centuries a really unique feature compared to the rest of Italy. Travelers, intellectuals and writers who crossed the region, testified in their writings the wide use (compared to the rest of Italy) of jewellery and amulets made from this material, describing women who wore “necklaces wrapped up with six laps of coral” (in “Ori e Argenti d’Abruzzo” -Gold and Silver of Abruzzo- Carsa Edizioni -publisher-, Pescara 1996).
In addition to the intellectuals, local artists were fascinated by it, as well: indeed, between the nineteenth and twentieth centuries, Francesco Paolo Michetti, Costantino Barbella, Pasquale Celommi, and Basilio Cascella immortalised women with their large pendants, necklaces, and brooches (in gold and coral).
The coral is always the protagonist, along with other precious stones, also when it comes to the emblem jewel of the goldsmith art of Scanno: the Cupid. Armando Di Rienzo, a goldsmith from Scanno, reworked on it in the 1920s, turning it into an elegant wedding medallion, a grommet clip used by women whilst knitting. My father got the idea for the Cupid from a “crown” that women used to wear once, along with other ornaments, when they were getting adorned for the marriage; he thought to give some movement to the rigid pin and he embellished it with stones, corals, turquoise, pearls and rubies. Therefore, around the 1920s it became a valuable brooch, so much as that it won an exhibition in New York. (Nunziato Di Rienzo, Goldsmith of Scanno – in “Ori e Argenti d’Abruzzo” (Gold and Silver of Abruzzo) – Carsa Edizioni (publisher), Pescara 1996, p.87). The cupid of Scanno is made with a delicate gold floral weave, on which some precious stones are embedded that frame a royal crown. At the base of the crown there is a blindfolded cupid ready to launch the arrow of love.
In the folk tradition of Abruzzo, it was not the woman to buy the jewellery directly. Sometimes, they were the precious objects to be handed down from woman to woman for generations. However, above all they were donated by the aspiring husband and his family to the young “bride-to-be”, who should be adorned for the wedding with flaunting elegance, prosperity and fertility.
The ancient custom wanted the family of the groom to invite the bride’s family to travel together at the goldsmith’s shop for the selection of jewellery. In the wedding day, it was only the groom’s mother who was allowed to adorn the future daughter-in-law with matching earrings, necklaces and brooches.
This ritual, full of pathos, seemed to be a kind of coronation: the bride was the guarantee of continuity for the family lineage. In Agnone and Orsogna the future bride used to receive also a small pendant shaped like a compass that alluded to the “right way” to be followed by that time onwards. She thus had to be faithful and devoted to her husband and ready to become a mother. In Scanno, on the occasion of the first visit of the family of the suitor made to the family of the chosen girl, the mother of the male fiancé used to decorate the girl with big ship-shaped earrings in perforated foil with three or seven pendants, called “circeje”. In the case in which the future husband was about to join the army or the transhumance, the youngsters exchanged an opening medallion called the “teca”, a sort of a small rectangular reliquary (sometimes in silver), in which “intimate hair” was kept.
Another gift was the aforementioned presentosa, made in the goldsmith shops of the region and widespread especially in the Valle Peligna, in the areas of Frentana and of L’Aquila. This filigree medallion was made in different designs as each goldsmith wanted to externalise their creativity: the centre of the composition could include only one little heart as in Pescocostanzo, or two; sometimes it would figure ships that were symbolically ready to sail in the sea on the adventure of emigration, that the youngster would undertake in order to finance the new family that was about to be formed. In the goldsmith workshops of Sulmona and Pescocostanzo, the processing of presentose in real filigree prevailed.
The origin of this jewel dates back to the eighteenth century. Two ancient deeds, related to dowry papers and drawn up in Guardiagrele in the early nineteenth century, list carefully the precious ornaments of the bride and amongst them they include a “coral presentosa and one of gold with rubies.”
The oldest goldsmith shops that produced the precious jewel were those of Agnone, Guardiagrele and Pescocostanzo, but over time Scanno, Sulmona and L’Aquila, as well. The production of the presentosa also spread from these areas in southern Italy, particularly in Campania and, above all, in Apulia.
The transhumance also contributed to the dissemination out of the region of this jewellery that was typical from Abruzzo-Molise, along with the migration of the shepherds of Abruzzo, who abandoned together with their cattle the Apennine mountains seasonally in order to reach the plains of Apulia.
The goldsmith art of Abruzzo was not intended only for women, but also for children and infants, both with ornamental features and with “condrammalucchie”, i.e., amulets able to ward off diseases, witches and the evil eye. In Scanno, the star was once again the mother of the groom, as a paternal grandmother, who used to give to her just-born grandchild a medallion in gold and silver that was composed of thirteen pendants each of which representing a specific symbol: bagpiper (for foresight); key (for love); dove (for peace); croissant (against the evil eye); rooster (for happiness); angel (as a guardian); Archangel Michael (for protection); Saint Antony (against temptation); Saint Lucia (for a good sight); shepherd (for work); star (for fate); Madonna (for purity); flower (for friendship and affection). Another jewel-amulet intended for children was the “tasciol’e”, which consisted of a silver cap that contained a tuft of badger hair.
The amulet, which was found mainly in Pescocostanzo, was considered to be a powerful talisman against witches. It was believed that the witch, during the “night visits” to the new-born, remained intrigued by this amulet and distracted in counting the tuft of hair, that would not notice the rising sun; therefore, as she had to go away, she had to leave the child unharmed, as well.
The old jewels of Abruzzo were part of a popular tradition of pathos, symbols and ancestral rites where the protagonist was a woman, both as the bride-to-be and future mother and as the mother of the groom; in both contexts, the figure of the woman was not reduced to be a simple “vanitas vanitatum“, but she expressed a definite style of Abruzzo, marrying tradition with female identity.
Leo De Rocco
Copyright © All rights reserved – This article and the pictures shown on this website are private. It is thus prohibited to retransmit, disseminate or otherwise use any part of this article without written authorisation – Acknowledgements: Adriana Gandolfi author of books “Ori e Argenti d’Abruzzo” (Gold and Silver of Abruzzo) – Carsa Edizioni (publisher), Pescara 1996 and “La Presentosa” 2015, available in English; “Abruzzo Cultura e Letteratura dal Medioevo all’Età Contemporanea” di Gianni Oliva e Carlo De Matteis, Edizioni Carabba 2020; Gino Di Paolo, photographer Pescara; Museum of People of Abruzzo Pescara; Ioannis Arzoumanidis, research fellow, for translating this article into English – Author/Blogger: Leo De Rocco / derocco.leo@gmail.com

Leonardo Tilli : Complimenti e ringraziamenti a tutti quelli che con il lavoro di ricerca, di approfondimento, di scelta dei preziosi da mostrare e delle accurate descrizioni degli stessi, ci permettono di godere la bellezza degli antichi gioielli riproponendoli in questa sede. Il “ringraziamento” maggiore , ovviamente va agli artisti che li hanno creati con grande talento, maestria, pazienza e buon gusto. Alla loro bravura noi ci inchiniamo.
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