Cugnoli. I libri di pietra di Nicodemo, Roberto e Ruggero.

Copertina: Moscufo, chiesa di Santa Maria del Lago, dettaglio del capitello scolpito da Nicodemo, XII sec. ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Tea le colline di Cugnoli, Moscufo, Alanno e Pietranico ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Introduzione

Viaggio nell’Abruzzo medievale

Il nostro viaggio alla ricerca delle impressioni d’occhio e di cuore tra arte, storia e paesaggio, oggi ci porta tra le colline pescaresi, a Cugnoli, dove il magister Nicodemo ci sta aspettando per invitarci a svelare l’ultimo dei suoi amboni e scoprire analogie e differenze con gli altri pulpiti che realizzò per l’abbazia di Santa Maria del Lago a Moscufo e per la chiesa abbaziale di Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo dei Marsi. Quest’ultimo scolpito insieme a Roberto e Ruggero, autori di uno dei monumenti più importanti del romanico abruzzese: il ciborio dell’abbazia di San Clemente al Vomano.

Abbiamo già visitato le due abbazie abruzzesi dedicate a San Clemente papa: a Castiglione a Casauria e a Guardia al Vomano, frazione di Notaresco (articolo: “Abbazie di San Clemente a Casauria e San Clemente al Vomano”), e siamo stati anche nella Marsica, nei pressi di Rosciolo, per ammirare tra i boschi del Monte Velino la chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, scrigno di capolavori romanici (articolo: “I gioielli del Velino”).

A una manciata di chilometri da Rosciolo, su uno dei tre colli che dominano l’antica colonia romana di Alba Fucens, abbiamo poi fatto un viaggio nel tempo, immersi nelle atmosfere medievali e nelle architetture cosmatesche della chiesa di San Pietro, a Massa d’Albe, un’altra regina del romanico abruzzese.

Dopo Rosciolo dei Marsi, Guardia al Vomano e Moscufo è tempo di fare bilanci. Qui a Cugnoli l’ultimo ambone del Romanico abruzzese completa il cerchio attorno a Nicodemo, Roberto e Ruggero, I tre magister che tra le colline e le montagne di questa regione hanno lasciato un’originale impronta nell’arte medievale italiana.

L’Abruzzo e il Regno di Sicilia

L’ambone di Cugnoli è custodito nella chiesa parrocchiale intitolata a Santo Stefano Primo Martire, nel cuore del centro storico medievale, oggetto di importanti interventi di restauro e valorizzazione da parte del Comune. Nicodemo lo scolpì nello stesso anno, il 1166, in cui Guglielmo II d’Altavilla salì sul trono del Regno di Sicilia, che dal 1130 comprendeva anche l’Abruzzo.

Nello stesso periodo, ci informa lo storico Anton Ludovico Antinori (L’Aquila, 1704 – 1778) negli Annali degli Abruzzi, si registrarono le prime notizie sulla storia di Cugnoli, quando le sue pertinenze territoriali furono discusse nella non lontana abbazia di San Clemente a Casauria, sotto il cui controllo ricadeva un vasto territorio.

Non senza problemi, in quanto alcune fonti attestano la presenza di un monastero cistercense intitolato a San Pietro, ubicato a un paio di chilometri dal centro storico di Cugnoli, i cui resti e l’esatta ubicazione non sono stati mai individuati con esattezza.

Mentre Nicodemo con stucco e scalpellino lavorava la pietra per creare l’ambone – forse destinato proprio al monastero cistercense, oppure per la stessa chiesa che oggi lo custodisce – da Cugnoli partirono alcuni cittadini diretti in Sicilia per prestare servizio, ricorda Antinori nei suoi scritti, come “cavalieri e servitori” alla corte del normanno Guglielmo II (Palermo, 1153 – 1189). Il “giusto re” di dantesca memoria, la cui immagine, non a caso, è scolpita su una delle formelle in bronzo che come un mosaico compongono i battenti del portale imperiale dell’abbazia casauriense.

I Normanni e l’albero della vita

Giunti al cospetto dell’ambone cugnolese, suscita curiosità la grande palma di pietra, sotto la quale un uomo è seduto e ascolta assorto, le Sacre Scritture lette dall’orante dall’alto della tribuna. Cosa ci fa una palma tra le colline abruzzesi a ridosso del massiccio montuoso della Maiella?

Questa palma-leggìo, scelta da Nicodemo qui a Cugnoli e ben esplicitata rispetto ai palmizi scolpiti sugli amboni di Moscufo e Rosciolo dei Marsi, rimanda sicuramente alla Terra Santa e alle Sacre Scritture ma, a mio avviso, è anche una citazione degli Altavilla, il casato del Normanni di Sicilia di cui faceva parte Guglielmo II e, prima di lui, Ruggero II, ilvittoriosissimo primo sovrano dell’isola dopo la dominazione araba.

Colui che, circa vent’anni prima dell’ambone cugnolese, fece costruire quello che è considerato uno dei simboli turistici della regione: il Castello di Rocca Calascio, oggi ad uso e consumo dei turisti, nonchè abitato da cavalieri, dame e castellane per esigenze di scena in alcuni film ivi girati, come il cult Ladyhawke (1985), ma all’epoca parte di un sistema di fortificazioni con funzioni difensive, probabilmente non ancora nella forma architettonica attuale.

La costruzione, o l’ampliamento di una fortificazione già esistente, fu voluta dal “Normanno” in concomitanza della sua visita in Abruzzo, nel 1140. Ruggero II desiderava avere contezza dei nuovi territori conquistati e rimarcare la sua autorità, e la tappa principale del suo tour abruzzese non poteva che essere la potente abbazia di Casauria.

All’arrivo del serenissimo e vittoriosissimo re Ruggero

Annotarono sulla finissima pergamena del Chronicon Casauriense – oggi conservato alla Bibliothèque National di Parigi – gli amanuensi Johannes Berardi e maestro Rusticus dal loro scriptorium sull’Insula Piscaria, quando l’abbazia di San Clemente a Casauria si trovava non sulla terraferma come la vediamo oggi, ma sopra un isolotto circondato dalle acque del fiume Pescara: il “Paradisi floridus hortis”. Per la storia completa si veda l’articolo “Abbazie di San Clemente a Casauria e San Clemente al Vomano”.

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, XII sec., dettaglio della palma-leggío ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Palme e leoni, simboli e iconografie nel Regno di Sicilia.

La palma è uno dei simboli più significativi del potere dei sovrani normanni, la si ritrova ovunque in Sicilia: ricamata nei tessuti, raffigurata nei mosaici, scolpita nei chiostri e nei palazzi reali della Trinacria, spesso insieme ai leoni, come nei mosaici realizzati da maestranze persiane per la Sala di re Ruggero e nel mantello indossato dal sovrano durante la cerimonia di incoronazione. Un manufatto di alta sartoria: in sciamito di seta rossa, perle e smalti cloisonné, foderato con lino rosa e ricami in fili d’oro che disegnano, appunto, l’albero della vita, la palma, simbolo di fertilità, longevità e vittoria, insieme a due leoni, simboli di forza e dominio, emblema del casato degli Altavilla.

Circa trent’anni prima dell’ambone di Cugnoli, il mantello fu realizzato dai maestri della Nobiles Officinae palermitana, i cosiddetti Tiraz, di ispirazione medio-orientale. A mio avviso è probabile che dalla stessa scuola sartoriale provenga anche la Casula di Lanciano, un paramento sacro risalente al XIII-XIV secolo, ritrovato qualche anno fa murato in una nicchia di una torre medievale del capoluogo frentano.

Anche la casula lancianese è assemblata in seta e lino, è ricamata con fili d’oro e, come il mantello di Ruggero II, presenta una citazione in lingua araba, in questo caso dedicata ad Allah. Per la storia completa si veda l’articolo “Lanciano da scoprire”, pubblicato in questo blog.

Sogni e apparizioni

Palme e leoni, elementi figurativi frequenti anche nel Romanico abruzzese, quasi un’ossessione per gli Altavilla. Come quelli che si affacciano sulla fontana del chiostrino del Duomo di Monreale, sulla cui sommità l’acqua sgorga dalle fauci di dodici leoni scolpiti sopra un fusto a forma di palma. Si racconta che Guglielmo II d’Altavilla durante la calura estiva, amasse rinfrescarsi in questa fontana, sorseggiando lo sherbet, antenato della granita siciliana.

A lui si deve l’edificazione nel 1172 del Duomo di Monreale, oggi Patrimonio UNESCO. In uno dei mosaici bizantini che decorano gli interni, il re è raffigurato mentre offre il modellino della chiesa alla Vergine Maria, iconografia che ritroviamo anche nella Basilica di Santa Sofia a Istanbul e sulla lunetta scolpita del portale dell’abbazia casauriense: con la donatio dell’abate Leonate, in abiti cardinalizi, a San Clemente papa in trono.

Una leggenda narra che Guglielmo II, detto “Il Buono”, si addormentò all’ombra di un albero di carrubo e sognò la Vergine Maria, rivelatrice di un grande tesoro di monete d’oro nascosto tra le radici dell’albero, da utilizzare per finanziare la costruzione di una chiesa in suo onore. Il re eseguì.

Anche in Abruzzo sogni e apparizioni mariane guidano la nascita di luoghi di culto: accade a Pietro Angelerio da Morrone, futuro papa Celestino V, che fonda la Basilica di Collemaggio dopo una visione, ma anche tra le colline non lontano da Cugnoli, tra Pietranico e Alanno, in questo caso, però, i destinatari dell’apparizione mariana non furono re e papi, ma umili e giovani contadini, disperati per la siccità che inaridiva i campi.

Nicodemo magister

Gli amboni di Nicodemo, così come i cibori realizzati da Roberto e Ruggero, sembrano libri rilegati in pietra, gesso e stucco, sulle cui pagine sono scolpiti i simboli degli Evangelisti, il Tetramorfo, santi, profeti, citazioni tratte dalle Sacre Scritture che annunciano la parola di Dio, ma anche disegni geometrici e simbologie talvolta misteriose ed enigmatiche.

Si fa notare, ad esempio, il serpente con la testa leonina mentre divora, anzi letteralmente ingoia, un uomo; nel mentre, sulle arcate, un lupo e un’aquila ne assediano un altro: il primo lo azzanna a un ginocchio e il rapace gli affonda il becco uncinato sul fianco, come la mostruosa Aithon inviata dal perfido Zeus per punire Prometeo.

E chissà da chi sta scappando l’omino che si arrampica nudo sul tronco di una palma-candelabro. Ma forse non è un fuggiasco, sta semplicemente andando ad accendere le candele collocate in alto per illuminare il leggìo, simbolicamente sorretto dall’angelo dell’evangelista Matteo, prima che l’orante srotoli dall’alto del pulpito il pergamenaceo Exultet.

Eppure, sembra suggerirci Nicodemo qui a Cugnoli, l’acrobata arrampicatore simboleggia l’ascensione verso la parola di Dio, che nella vita è lenta, faticosa e non senza peccati, e ai piedi della palma-candelabro quell’uomo seduto, colto mentre si toglie qualcosa dal piede, evoca lo “Spinario” di ellenistica memoria.

Per salvare l’anima, ci sta dicendo il nostro Nicodemo, basta seguire la parola dei quattro Evangelisti, che insieme a figure di angeli con le braccia alzate, disegni geometrici, intrecci a girali vegetali, scene bibliche e uomini che lottano per raggiungere il bene ma sono tentati dal male, piccoli mostri alati e animali fantastici che ricordano quelli sui tetti di Notre-Dame, completano i capitoli del suo ultimo libro di pietra scolpito a Cugnoli.

L’ambone di Moscufo

In quei tempi senza tecnologia, senza immagini digitali né social, i bambini che si avvicinavano all’ambone di Nicodemo restavano incantati, cercando di scovare le figure di uomini, mostri e animali scolpiti nella pietra, che nell’ambone gemello di Santa Maria del Lago erano tutti colorati.

Le tenue tracce verdi, rosse e rosa – a parere di alcuni frutto di successivi interventi successivi – si intravedono ancora oggi nel libro di pietra, pubblicato circa sette anni prima dell’ambone cugnolese, da Nicodemo al suo debutto come magister a Moscufo, tra scene sacre e animali veri o fiabeschi, usciti dal bestiario medievale:

▪︎ Giona inghiottito dalla balena,

▪︎ Davide e il leone,

▪︎ Davide e l’orso,

▪︎ Uomini imbrigliati tra rami e rovi, assediati da animali feroci.

Entrambi gli amboni gli furono commissionati da Rainaldus di Colledimezzo (Aq), abate dell’abbazia di Montecassino.

Probabilmente all’abate piacque così tanto l’ambone di Moscufo che ne commissionò uno simile: “Nicodemus, fanne uno uguale a Cugnoli e non ti dimenticare la palma!”, deve avergli detto e scritto. E Nicodemo esegue, ma come nel gioco enigmistico trova le differenze, apporta qualche modifica.

Il mistero dell’uomo inghiottito dal mostro

Ad esempio l’uomo che sta per essere inghiottito dal mostro – che ricorda la terribile Tarasca, metà bestia e metà pesce, sconfitta in Provenza da Maria e Marta di Betania – a Moscufo Nicodemo non lo mette sull’ambone (come a Cugnoli) ma su uno dei capitelli, e lo scolpisce mentre si aggrappa alla colonna per cercare di salvarsi, chiedendo aiuto e tenendo saldamente tra le braccia il pilastro della casa di Dio, simbolo di salvezza.

Questo fa sospettare che sette anni dopo a Cugnoli, quell’uomo, nel frattempo raffigurato invecchiato e con il corpo ormai quasi interamente sparito tra le fauci del mostro, trovandosi sull’ambone e non su una colonna, non aveva appigli salvifici. Com’è possibile?

Invece li aveva eccome! A mio avviso questa figura tanto cara a Nicodemo non si trovava dove la vediamo oggi, ossia inserita sull’ambone (vedi galleria fotografica) ma, come a Moscufo, era scolpita nel capitello di una colonna, forse appartenuta alla diruta abbazia cistercense intitolata a San Pietro.

Mancando le braccia, perse nel tempo, probabilmente durante il trasporto dal cenobio cistercense alla parrocchiale di Cugnoli, o durante importanti lavori che interessarono la chiesa stessa, e con esse qualsiasi rilevante traccia dell’antico cenobio cugnolese, questo non lo sapremo mai con certezza.

Resta il fatto che se anche a Cugnoli l’uomo-Tarasca si trovava su una colonna, la chiesa di pertinenza non poteva essere l’odierna Santo Stefano, in quanto a navata unica, priva di colonne, a meno che anticamente la chiesa presentava una diversa struttura architettonica.

La storica dell’arte Simona Manzoli, cugnolese, ipotizza che l’ambone fu commissionato a Nicodemo per la chiesa di Santo Stefano e non per l’abbazia di San Pietro. Questa ipotesi è suffragata dalla presenza di materiali lapidei di reimpiego, di impronta romanica, collocati sulla facciata e alla base del campanile della chiesa, probabilmente pertinenti alla primaria edificazione dell’edificio di culto, ovvero elementi murari e decorativi precedenti i lavori eseguiti tra il XIV e il XVI secolo, che diedero alla parrocchiale di Cugnoli l’aspetto architettonico attuale.

In queste foto metto a confronto l’uomo inghiottito dal mostro nelle due versioni di Nicodemo: a Moscufo (sulla colonna) e a Cugnoli (sull’ambone), quest’ultimo, secondo il mio parere, in origine si trovava anch’esso su una colonna, successivamente, forse nel XVI secolo, è stata inserito sull’ambone – Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

La premiata ditta Nicodemo, Roberto e Ruggero

Mentre viaggio tra queste colline alla ricerca dei suoi tesori d’arte, cerco di immaginare Nicodemo, Roberto e Ruggero mentre, nel XII secolo, fanno i miei stessi passi sui millenari tratturi – solcati da pastori transumanti, pellegrini e viandanti – muniti di scalpelli, spatole e formelle di legno per il gesso da impastare nel finissimo marmo tritato, i vasi contenenti pigmenti e colori e le matite per i disegni preparatori.

Nicodemo e Roberto erano magister, titolari di bottega, con loro viaggiavano aiutanti e allievi, probabilmente alcuni provenienti dalla Puglia bizantina, dalla Sicilia normanna o dalla Spagna moresca, con il loro bagaglio stilistico arabeggiante, tra palme e leoni, tanto cari ai Normanni.

O forse, furono loro stessi a viaggiare in Sicilia, e uno di loro era originario del Sud, ad ogni modo i tre fondarono in Abruzzo una propria e originale scuola artistica che si distinse da quella prima esperienza plastica e figurativa inaugurata nel cantiere dell’abbazia di San Liberatore a Maiella, a Serramonacesca, caratterizzata da sculture ornamentali: fiori e girali vegetali, palmette, ornati e Nodi di San Benedetto. Su questo argomento rimando all’articolo: “Serramonacesca, l’abbazia benedettina di San Liberatore a Maiella e le sorgenti dell’Alento”.

Rosciolo dei Marsi

Come abbiamo visto, le prime opere dei tre maestri le abbiamo incontrate tra le montagne aquilane, nella splendida chiesa abbaziale di Santa Maria in Valle Porclaneta, a Rosciolo dei Marsi, dove ciborio e ambone furono realizzati principalmente da Roberto insieme a Nicodemo e con l’aiuto di Ruggero.

Sulla balaustra sono incisi i nomi degli autori, ma leggendo l’epigrafe appare chiaro chi dei tre era in quel momento il magister: “Robertus, dotato di grande e versatile ingegno, e Nicodemus, terminarono questo lavoro nell’anno mille centocinquanta, il sei ottobre”.

I tre fondarono una sorta di cooperativa ante litteram, potremmo chiamarla la Premiata ditta Ruggero & Figli, in quanto alcuni studiosi ipotizzano che anche Nicodemo – citato come “Nicodemus da Guardiagrele” – era figlio di Ruggero, ma la sua origine non è certa e non ci sono prove documentali, al contrario di Ruggero e Roberto, citati come padre e figlio nella epigrafe del ciborio di San Clemente al Vomano.

Guardia al Vomano

Il ciborio dell’abbazia di San Clemente al Vomano (1150 circa) è un altro libro di pietra scolpito da Roberto e Ruggero, sulle cui pagine si susseguono: uomini che scagliano frecce e altri che suonano il corno – scene probabilmente ispirate a iconografie celtiche o germaniche – umani dalle sembianze scimmiesche e i soliti animali che mordono orecchie e gambe ai malcapitati prigionieri di una specie di selva oscura.

Su questo straordinario ciborio – firmato da Roberto e Ruggero: pluribus expertus fvt iccum patre robertv … roggerio duras reddentes arte figvras, tradotto: Roberto era il figlio di Ruggero, ed entrambi erano esperti – studierà il giovane Nicodemo, impaziente di dimostrare la propria abilità.

E così Nicodemo dice la sua a Moscufo e a Cugnoli: la Salomé che danzando ancheggia davanti al re Erode, la sostituisce con le scene di Davide che affronta il leone e l’orso: “a Rosciolo Roberto ha scolpito Salomé, io a Moscufo e Cugnoli metterò Davide”, deve aver pensato il nostro Nicodemo, e l’abate Rainaldus da Montecassino approva.

Appena varcato l’ingresso dell’abbazia di San Clemente al Vomano, lo sguardo corre subito verso l’arredo sacro più distante lungo la navata: il ciborio, che troneggia nel presbiterio.

Come per magia sembra sospeso nell’aria, non solo perché è collocato in cima a una scalinata, come a Casauria e a Rosciolo, stile Nike al Louvre, ma soprattutto perché il geniale Roberto fa poggiare la grande cupola moresca a forma ottagonale – che rimanda all’ottavo giorno, l’avvento di Cristo – su otto piccolissime teste di animali, due per lato. Non a caso anche questi animali sono leoni, come quello che sbuca tra le solite palme per agguantare l’uomo che si tira la barba.

Per chi ama l’arte romanica abruzzese è difficile non restare incantati di fronte a questo capolavoro.

La chiesa di Santo Stefano Primo Martire 

Quando Nicodemo scolpì l’ambone di Cugnoli, non poteva immaginare che nella prima metà del Cinquecento la sua opera sarebbe stata smontata, caricata su un carro e ricomposta nella chiesa di Santo Stefano Primo Martire. Un montaggio che, come abbiamo visto, non sembra restituire la disposizione originaria e desta qualche sospetto.

Nonostante ad oggi non ci sono prove documentali che attestino la provenienza dell’ambone da un’abbazia cistercense locale o che fosse stato realizzato dall’origine per la chiesa di Santo Stefano, è importante che l’ambone sia ancora qui a Cugnoli e non perso o volato via, come l’ambone che Nicodemo realizzò nel 1150 per la chiesa abbaziale di San Cristinziano a San Martino sulla Marrucina, polverizzato da una tromba d’aria (e dall’incuria) nel 1919, o il ciborio che forse sempre lui realizzò per l’abbazia di San Clemente a Casauria, distrutto da un terremoto.

L’ambone nascosto e murato

Lo stesso ambone cugnolese era nascosto sotto strati di stucchi e intonaci fino agli inizi del Novecento, quando i fratelli Domenico e Stefano Tinozzi lo scoprirono e lo liberarono, riportandolo alla luce nel 1905.

La notizia, in quell’epoca contraddistinta dagli ultimi viaggi dei cosiddetti Grand Tour, richiamò a Cugnoli Johan Ludvig Heiberg (1854-1928), storico danese, professore di filologia all’università di Copenaghen, inviato in Abruzzo dall’imperatore Guglielmo II per cercare di approfondire gli studi sull’arte normanna.

Heiberg, ricorda la studiosa Simona Manzoli nel suo saggio Presenze confraternali e inediti cinquecenteschi. Nuove evidenze per una rilettura della Chiesa di Santo Stefano Primo Martire a Cugnoli, è stato “il primo a riscontrare l’esistenza del gruppo di tre pulpiti pertinenti ad un’unica bottega.”

La vicenda dell’ambone nascosto sotto l’intonaco a mio avviso merita un approfondimento di studio, in quanto nella stessa chiesa, durante alcuni lavori, fu rinvenuto murato dentro una parete della sagrestia, una statua risalente al XII secolo raffigurante il Cristo Pantocratore (vedi galleria fotografica).

Questo ritrovamento, rafforza l’ipotesi avanzata dalla Manzoli circa la primaria edificazione di Santo Stefano, risalente al XII secolo, in forme architettoniche diverse da quelle odierne e induce a ipotizzare un intervento di restauro, forse realizzato tra la fine del XVI secolo e il corso del secolo successivo, volto a celare, alla luce di nuove preferenze stilistiche. gli arredi sacri medievali, compreso l’ambone di Nicodemo.

Una chiesa “poliedrica”

Se il nostro Nicodemo fosse realmente qui con noi nella chiesa di Santo Stefano Primo Martire, la prima cosa che noterebbe è che il suo ambone non ha più la scala, che lui costruì per far salire i lettori oranti, modellando nello stucco le balaustre sulle quali, probabilmente, firmò l’opera. Ma dove sarà finita?

E noterebbe che il suo ambone cerca un improbabile dialogo stilistico con due raffinate sculture lignee policrome realizzate nel Quattrocento. Rappresentano l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, ma quei panneggi e quelle dorature annunciano anche il Rinascimento.

Per non essere da meno, in questo gioco di somiglianze e differenze, pure l’ambone gemello (o quasi) di Moscufo dialoga con un’opera rinascimentale o tardo gotica. Si tratta di una tavola dipinta da Andrea de Litio nel 1465, raffigura la Madonna con Bambino. Sulla storia di Andrea de Litio si veda l’articolo: “Atri, tra Adriano e Andrea de Litio”.

Il gentile don Augusto qui a Cugnoli è come una istituzione, è parroco della chiesa di Santo Stefano da quasi mezzo secolo. Mi racconta che anni fa in pieno inverno e nel cuore della notte fu svegliato dai Carabinieri: il gruppo scultoreo dell’Annunciazione era stato appena rubato.

Un furto per fortuna maldestro: la statua della Vergine fu subito ritrovata nei pressi del paese, mentre l’angelo annunciante prese il volo per il vicino paese di Pescosansonesco, ma fu ritrovato qualche giorno dopo sotto la neve, “vicino a un biancospino” – precisa don Augusto – il cui fiore bianco, secondo la tradizione, rappresenta la purezza di Maria, mentre le bacche rosse il sangue di Gesù.

Oggi il gruppo scultoreo è protetto da un sofisticato sistema di allarme e dalla vigilanza. Fu scoperto quasi per caso nella cantoria della chiesa, e fu oggetto di un restauro discutibile: il braccio annunciante mancante fu ricostruito da un falegname del posto, mentre un imbianchino ridipinse le ali.

Più difficile il dialogo dell’ambone con la vicina statua tardo rinascimentale che raffigura la Madonna con Bambino, e con una pala d’altare, il cui stile barocco, insieme alla sovrastante finta finestra in tromp-l’oeil, tanto di moda nel barocco sei-settecentesco, fa diventare il romanico del nostro Nicodemo un lontanissimo ricordo. Finte finestre e finti marmi, come quelli che abbiamo visto tra le decorazioni degli oratori di Santa Maria della Croce e Santa Maria delle Grazie, due gioiellini del Barocco abruzzese nei vicini paesi di Pietranico e Alanno,

Ma al di là dei dialoghi stilistici, entrando nella chiesa di Santo Stefano a Cugnoli sembra di entrare in un museo, in cui le opere esposte, di stili e datazione diversi, accompagnano il visitatore in un affascinante viaggio nella storia dell’arte, che don Augusto, accogliendomi, lo riassume così: “vedi, questa è una chiesa poliedrica”.

Conclusioni

La firma nella pietra che diventa capolavoro

Nel giro di poco più di vent’anni, tra il 1140 (circa) e il 1166, la bottega di Roberto, Ruggero e Nicodemo realizzò alcuni dei più raffinati arredi sacri del Romanico italiano.

La sequenza delle opere permette di seguirne l’evoluzione: dai primi esperimenti plastici del ciborio dell’abbazia di San Clemente al Vomano (ca. 1140-1150), alla maturità dell’ambone e del ciborio di Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo (ca. 1150), fino alla libertà creativa dei due amboni firmati da Nicodemo: quello di Moscufo, del 1159 (o 1157), e quello di Cugnoli, del 1166, sua ultima opera documentata.

L’immaginario biblico e le simbologie medievali scolpiti in questi libri di pietra non hanno configurato semplici elementi liturgici, ma manifesti artistici, che raccontano la storia di una straordinaria scuola scultorea abruzzese.

Leo Domenico De Rocco

Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo ‐ Note e fonti dopo la galleria fotografica

Galleria fotografica

Cugnoli

Cugnoli, centro storico, chiesa di Santo Stefano Martire, sec. XIII e ambone di Nicodemo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, ambone di Nicodemo, 1166 – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Abbazia di San Clemente a Casauria, dettaglio dei battenti con l’immagine del re di Sicilia Guglielmo II d’Altavilla – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Castello di Rocca Calascio – Foto Franco Nicolli – a destra,  in versione estiva, il dettaglio di una torre – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Mantello di re Ruggero II – Kunsthistorisches Museum Vienna, dettaglio: palma e leone, simbolo del casato degli Altavilla – A destra: dettaglio della Casula di Lanciano, custodita nel Museo Diocesano – Foto Leo De Rocco – Si noti il clipeo arabo (in basso a sinistra) con la scritta “Allah” riportata sul tessuto originario, in seta e lino; le figure sono invece toppe aggiunte successivamente, a mio avviso probabilmente nel ‘300 in Germania.

Chiostro del Duomo di Monreale, fontana a forma di palma nel “chiostrino” – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Duomo di Monreale – Facciata, interno, tomba di Guglielmo II d’Altavilla, portale bronzeo realizzato nel 1185 da Bonanno Pisano, formato da 46 pannelli che narrano episodi dell’Antico e Nuovo Testamento – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

A sinistra: Palermo, Palazzo dei Normanni – A destra: Istanbul, Basilica di Santa Sofia, Costantino e Giustiniano donano il modellino della città e della Basilica alla Vergine Maria – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Moscufo

Moscufo, abbazia di Santa Maria del Lago, ambone di Nicodemo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Guardia al Vomano

Guardia Vomano, Abbazia di San Clemente al Vomano – Ciborio di Roberto e Ruggero – Foto e video Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Guardia Vomano, Abbazia di San Clemente al Vomano, dettaglio dei capitelli – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Rosciolo dei Marsi

Rosciolo dei Marsi, l’ambone e il ciborio di Santa Maria in Valle Porclaneta, dettaglio – Foto e video Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, Annunciazione, legno scolpito policromato e dorato, XV sec. – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Moscufo, Abbazia Madonna del Lago, Madonna con Bambino, XV sec. Andrea de’ Litio – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, Madonna con Bambino, XVI sec. – pala d’altare. Madonna con bambino tra San Pietro e Sant’Andrea – Madonna addolorata tra i santi Stefano e Paolo – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano, don Augusto mi mostra il Cristo Pantocratore, XII sec. – Foto Leo De Rocco

Cugnoli, chiesa di Santo Stefano Protomartire – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Cronologia:

▪︎ 1140-1150, ciborio, abbazia di San Clemente al Vomano, Roberto e Ruggero.

▪︎ 1150-1152, ciborio e ambone, chiesa abbaziale di Santa Maria in Valle Porclaneta: Roberto, Nicodemo e Ruggero.

▪︎ 1159, ambone, chiesa abbaziale di Santa Maria al Lago: Nicodemo.

▪︎ 1166: ambone, chiesa di Santo Stefano Primo Martire: Nicodemo.

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Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici – Fonti: “Ruggero II, il conquistatore normanno che conquistò il Regno di Sicilia” di Glauco Maria Cantarella, Salerno Editrice, 2020 – “Presenze confraternali e inediti cinquecenteschi. Nuove evidenze per una rilettura della Chiesa di Santo Stefano Primo Martire a Cugnoli”, pubblicazione di Simona Manzoli in Predella 2024 n.55. Note: 1) Il Castello di Rocca Calascio è stato la location per numerosi film, tra questi: “Amici miei” (1982); “Ladyhawke” (1985) e “The American” (2010). Ringrazio: don Augusto, parroco della chiesa di Santo Stefano Protomartire di Cugnoli; don Adriano, vice parroco dell’abbazia di San Clemente al Vomano e Simona Manzoli, storica dell’arte, per la organizzazione dei sopralluoghi a Cugnoli.

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