La storia di un antico presepe

A ceppo si faceva un presepino con la sua brava stella inargentata, con i Magi, con i pastori, per benino, e la campagna tutta infarinata.

La sera io recitavo un sermoncino con una voce da messa cantata, e per quel mio garbetto birichino buscavo baci e pezzi di schiacciata.

Poi verso tardi tu m’accompagnavi dalla nonna con dir “stanotte l’angelo ti porterà chissà che bei regali!” e mentre i sogni m’arridean soavi, tu piano piano mi venivi a metter confetti e soldarelli fra i guanciali.

Con questa dolce poesia, scritta nel 1879 e intitolata “Il presepio alla nonna”, Gabriele d’Annunzio, all’epoca sedicenne, rievocava la stagione dell’infanzia quando a Natale nelle case abruzzesi era diffusa la tradizione di far recitare ai bambini una filastrocca dedicata alla famiglia.

Solitamente il rito popolare prevedeva che il bambino durante la cena o il pranzo di Natale saliva in piedi sopra una sedia e davanti alla platea composta dai numerosi familiari recitava, non senza cedere all’emozione, una filastrocca natalizia.

In alcune zone del chietino prima dell’inizio del pranzo di Natale i bambini usavano nascondere una busta contenente la “letterina di Natale”, composta da disegni, poesie e affettuose dediche natalizie, sotto il piatto del papà o del nonno i quali a loro volta, manifestando una complice sorpresa, ricambiavano l’affettuoso gesto ponendo nella stessa busta alcune monete in regalo.

In quei caldi momenti di unione e tradizione familiare nel focolare di casa veniva acceso il “ceppo”, citato da Gabriele d’Annunzio, talvolta detto in dialetto abruzzese “lu tecchie”. Si tratta di un pezzo di tronco d’albero o di un grosso ramo, un ciocco di legno che tradizionalmente veniva acceso nel focolare per ardere a lungo durante la notte di Natale e nei giorni seguenti. L’usanza risale al Medioevo.

In questo articolo natalizio viaggeremo a L’Aquila, a Lanciano, ad Assisi e a Napoli, per raccontare la storia della tradizione presepiale e la scoperta in Abruzzo di un originale e raro presepe seicentesco.

L’Aquila – Palazzo Antinori, XVIII sec. – Foto Leo De Rocco

Il Presepe Antinori

“Il baule di velluto sta in buono stato, e con tutto il piacere lo rimanderò alla v.ra sig.ra madre…” (1)  

Così, nel giugno del 1839, Maria Maddalena Cerulli, vedova di Giuseppe Antinori, scriveva al nipote Luigi. Cosa conteneva di così prezioso quel “baule di velluto” da ricevere attenzioni così premurose?

Giuseppe Antinori era il nipote di Anton Ludovico Antinori (L’Aquila 1704 – 1778), storico ed epigrafista, arcivescovo di Lanciano, nonché di Acerenza e Matera, autore di numerosi volumi di storia, soprattutto sull’Abruzzo, dall’epoca romana alla seconda metà del ‘700.

Testi consultati anche dal famoso storico tedesco Theodor Mommsen, Premio Nobel nel 1902, colui che per la prima volta menzionò nei suoi libri la “Dea di Rapino”, una enigmatica statuina in bronzo ritrovata in una grotta della Maiella e oggi esposta al Museo Archeologico Civitella a Chieti. Mommsen decifrò anche la “Tabula Rapinensis, oggi conservata in un museo di Mosca. (per un approfondimento vedi l’articolo “La Dea di Rapino”, in questo blog.)

Gli Antinori, una delle famiglie più antiche e notoriamente apprezzate per la storica produzione di vini pregiati, sono originari della Toscana. Marchesi del vino fin dal 1385, sono i produttori più antichi d’Italia. Oltre ad essere cultori del nettare di Bacco gli Antinori sono stati anche mecenati e committenti di opere d’arte nelle botteghe rinascimentali, in particolare in quelle dei della Robbia e di Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio.

Lunetta Antinori – terracotta invetriata policroma, 1520, Giovanni della Robbia – Brooklyn Museum New York

Questa lunetta un tempo era posta all’ingresso di una delle residenze fuori Firenze degli Antinori, chiamata Villa delle Rose, gli Antinori la commissionarono nel 1520 a Giovanni della Robbia, fratello di Girolamo la cui figlia Costanza andò in sposa al maestro orafo abruzzese Ascanio de’ Mari, allievo preferito di Benvenuto Cellini, diventato poi così bravo da ricoprire la carica di “orafo ufficiale” nelle corti di Francia dei re Francesco I ed Enrico II.  (per un approfondimento vedi in questo blog l’articolo “Ascanio da Tagliacozzo e Benvenuto Cellini”, link al termine di questo articolo)

Ma torniamo alla storia della famiglia Antinori e a quel misterioso baule.

Un ramo della famiglia si stabilì nel Regno di Napoli ed è qui che incrociamo il citato Anton Ludovico Antinori, fu lui a commissionare nel 1752 i lavori per la costruzione dell’elegante palazzo aquilano nel quale era custodito il baule foderato di velluto arancione citato nella lettera, così tanto caro alla famiglia. Grazie a un vecchio inventario ritrovato tra i documenti degli Antinori scopriamo finalmente cosa custodiva quel baule: c’erano centinaia di statuine, era un antico presepe.

Lanciano, il Presepe Antinori – Foto Copyright Gaetano de Crecchio, per gentile concessione.

La composizione, i materiali e le forme delle statuine, oltre cento, di questo originale presepe, come vedremo ritrovato a Lanciano, rappresentano una unicità nell’ambito della storia dell’arte presepiale italiana che tradizionalmente fa capo alle botteghe artigiane di Napoli (foto sotto). L’arte presepiale raggiunse livelli eccelsi nel ‘700, soprattutto a Napoli, non a caso San Gregorio Armeno è conosciuta in tutto il mondo per le sue antiche botteghe artigiane che creano ancora dalle abili mani degli artigiani locali le statuine del famoso presepe napoletano.

Ma l’origine del Presepe Antinori è ancora ignota. Non sembra provenire da una bottega napoletana, forse queste statuine scolpite con maestria furono realizzate in Toscana o in Liguria, oppure in Emilia, regione dove nacque il padre del citato Anton Ludovico Antinori.

Prima di raccontare la storia della riscoperta a Lanciano di questo raro presepe seicentesco, vediamo brevemente come nacque la tradizione presepiale in Abruzzo.

Dettaglio di un antico presepe napoletano – XVIII sec. Museo di Capodimonte Napoli – Foto Leo De Rocco

Presepe napoletano, sec. XVIII – Certosa di San Martino, Napoli – Foto Leo De Rocco

Presepe in terracotta policroma, 1545, opera dei fratelli abruzzesi Giacomo e Raffaele da Montereale, Oratorio di Sant’Antonio, Calvi, Umbria – Foto copyright Riccardo Garzarelli per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Un piccolo presepe a Santo Stefano di Sessanio – Foto Abruzzo storie e passioni

Suggestive piante di vischio tra le cime innevate delle montagne aquilane in una mattina tersa di dicembre – Foto Leo De Rocco

Il pastore Benino nel presepe allestito nella chiesa della Madonna dei Sette Dolori a Pescara Colli – Foto Abruzzo storie e passioni

Benino è il pastore più famoso del presepe. Secondo la tradizione popolare napoletana la magia del presepe inizia con il sogno di Benino, perciò nessuno deve svegliarlo. Per questo nell’allestimento del presepe Benino viene posto in primo piano oppure sopra un’altura.

Molti paesi abruzzesi innevati sembrano piccoli presepi, come Pietracamela (Te) in questo suggestivo scatto del fotografo Paolo Silvestri (paolosilvestriphoto Instagram)

Anticamente e fino ai primi decenni del ‘900 in Abruzzo l’inizio delle festività natalizie veniva annunciato dagli zampognari e dai pifferai i quali il giorno della Immacolata Concezione scendevano a valle dai paesini di montagna vestiti con i costumi tradizionali: una grande cappa nera e un cappello a punta come quello dei briganti.

Queste piccole orchestre popolari, formate in genere da due e fino a cinque elementi, nelle quali erano presenti anche ragazzini di 12-14 anni, si recavano fino a Roma per esibirsi con dolci melodie davanti alle immagini della Madonna poste nelle edicole votive molto diffuse in città.

I musicisti abruzzesi si esibivano anche nelle case di famiglie romane che per tradizione e da generazioni invitavano ogni anno gli zampognari e i pifferai. I romani li chiamavano i “Pifferari”.

Nell’800 le tipiche melodie dei “pifferari” abruzzesi, immortalati da alcuni artisti, disegnatori e pittori, furono attenzionate anche dal famoso compositore e direttore d’orchestra francese Hector Berlioz, in quel periodo in viaggio in Italia.

Tornato a Parigi nel 1834 Berlioz trascrisse le note musicali ascoltate a Roma in una sinfonia, dedicata a Niccolò Paganini, dal titolo “Sérénade de un montagnard de Abruzzes à sa maitresse” (Serenata di un montanaro abruzzese alla sua signora).

(Per un approfondimento vedi l’articolo “La Canzone popolare abruzzese”, in questo blog)

La sera tra il 7 e l’8 dicembre nei paesi abruzzesi era tradizione illuminare la notte accendendo grandi falò oppure grandi fasci di canne secche tenute unite da lacci vegetali. Questa tradizione, la cui origine si perde nella notte dei tempi, si ripeteva in diverse località, in particolare a Francavilla al Mare e Pescocostanzo (i falò) e ad Atri (i faugni), tradizioni che vengono celebrate ancora oggi. La Notte dei Faugni di Atri ad esempio richiama ogni anno la notte tra il 7 e l’8 dicembre migliaia di turisti. *

Sono riti arcaici che affondano le radici nelle antiche feste pagane durante le quali si contrapponeva al buio e al freddo delle lunghe notti invernali il calore e la luce del fuoco. Per tradizione sempre l’8 dicembre si allestisce nelle case il presepe.

* (per un approfondimento vedi in questo blog “Atri, la Notte dei Faugni”)

Statua raffigurante un suonatore di zampogna sulla facciata della chiesa di Santa Maria Maggiore a Caramanico (Pe) ‐ Foto Leo De Rocco

Pifferai abruzzesi – William Turner (1775 – 1851) – Kelvingrove Art Gallery Museum Glasgow – Questo dipinto raffigura un paesaggio idilliaco italiano, elemento chiave il gruppo di musicisti abruzzesi con zampogna e pifferi

Bartolomeo Pinelli – I Pifferari presso il Teatro Marcello, 1830 – Archivio Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Bartolomeo Pinelli, Zampognaro e suonatori di pifferi, 1834, collezione privata – Archivio Federico Zeri

Atri – La Notte dei Faugni – Foto Leo De Rocco

Sarà Tommaso da Celano (Celano, 1200 – Tagliacozzo, 1260) primo agiografo-biografo, discepolo e amico di San Francesco, a raccontare nelle “Vitae” il primo presepe della storia. San Francesco d’Assisi lo allestì la notte di Natale del 1223 a Greccio, vicino Rieti (la provincia di Rieti rientrava nei territori regionali di Umbria e Abruzzo fino al 1927)

In una grotta il “Poverello di Assisi” rappresentò la Natività con una mangiatoia riempita di paglia, con a fianco il bue e l’asinello. Un presepe vivente dunque, il primo della storia. La parola “presepe” deriva dal latino “praesepium”, ovvero mangiatoia.

Nella Basilica Superiore di Assisi una delle 28 scene affrescate da Giotto (o dalla sua scuola) che raccontano la vita di Francesco d’Assisi, rappresenta proprio l’episodio di Greccio citato da Tommaso da Celano (foto sotto). Sarà Bonaventura da Bagnoregio, il cardinale filosofo e teologo che scrisse la “Legenda maior” (1263) a descrivere l’episodio ispirandosi a Tommaso da Celano:

Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l’asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il vero Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato.

Da allora, seguendo l’esempio di San Francesco, ogni anno nelle umili case del popolo si rappresentava la Natività con una mangiatoia e alcune statuine scolpite nel legno, talvolta realizzate dai pastori durante le soste sulle vie degli antichi tratturi abruzzesi.

Assisi, Basilica Superiore, Il Presepe di Greccio, Giotto (o la sua scuola), 1295 circa – Foto Leo De Rocco

wp-1682577492445

Basilica di Assisi – Foto Leo De Rocco

Dettaglio del Trittico di Beffi – MuNDA L’Aquila – In primo piano la mangiatoia e il primo bagnetto di Gesù Bambino. In alto è raffigurato uno zampognaro – Leonardo Sabino da Teramo noto come Maestro di Beffi, inizi del XV secolo – Foto Abruzzo storie e passioni

Circa 70 anni dopo il presepe vivente di San Francesco, papa Niccolò IV, primo pontefice appartenente all’Ordine francescano, commissionò allo scultore toscano Arnolfo di Cambio la prima scultura presepiale in marmo per abbellire la Sacra Grotta, dove è custodita la culla di Gesù bambino, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. In quella occasione furono aggiunti i re Magi, era il 1290.

Fu solo nel Rinascimento, attorno al ‘500, che il presepe iniziò a fare la sua apparizione anche nei lussuosi saloni dei palazzi nobiliari, prima di allora allestire il presepe in casa era prerogativa solo delle classi popolari, contadini, pastori e piccoli artigiani.

Le famiglie nobili e aristocratiche possedevano statuine di ottima fattura che venivano tramandate per generazioni, così come avvenne dal ‘600 in poi nella famiglia Antinori con quel baule riempito di statuine presepiali. Inoltre gli ordini religiosi, ma anche i personaggi della nobiltà a titolo di ex voto o di donazione, iniziarono a commissionare a grandi artisti, come l’abruzzese Saturnino Gatti, presepi monumentali, destinati ad arricchire l’arredo sacro delle chiese.

In Abruzzo il primo presepe fu realizzato a Penne nel 1225 quando era provincia francescana “Pinnensis”. Probabilmente furono i discepoli di San Francesco presenti a Greccio durante l’allestimento del primo presepe (due anni prima) a voler ripetere l’evento anche in Abruzzo.

Nell’aquilano quello di Rivisondoli, famoso anche fuori regione, è invece il presepe vivente più antico d’Italia. Rivisondoli ospita anche un museo dedicato all’arte presiepale con opere artigianali create da artigiani e artisti locali.

Degno di nota è la tradizione presepiale nella Valle Peligna. Giuseppe Avolio (Pacentro, 1883 – 1962) “artista della terracotta”, creò preziose statuine, chiamate “mammoccije” (traduzione: pupazzi) per allestire presepi nelle chiese di Pacentro e in collezioni private.

“Maestro Peppino” aprì una bottega artigiana nei primi del ‘900 a Pacentro, nella quale lavoravano i giovani pacentrani intenti a dar prova della loro creatività sulla base degli insegnamenti ricevuti. Giuseppe Avolio iniziò a disegnare i modelli per i suoi “mammoccije” osservando da giovanissimo i contadini che arrivavano in Piazza Maggiore a Sulmona durante le giornate dedicate alle fiere e ai mercati.

Sulmona, piazza Maggiore – Foto Abruzzo storie e passioni

Presepe di Giuseppe Avolio – Foto Abruzzo storie e passioni – Museo delle Genti d’Abruzzo

Celano, San Giuseppe con Gesù Bambino – Ambito napoletano XVIII sec. – Foto Leo De Rocco

Il presepe cinquecentesco di Saturnino Gatti – Museo Nazionale d’Abruzzo MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco

Lanciano – Foto Leo De Rocco

Il presepe ritrovato

Ritrovato nella bella Lanciano, la città d’arte dell’Abruzzo “citra”, la città del “Miracolo Eucaristico”, con la originale Cattedrale poggiata su tre ponti, il bel Museo Diocesano che custodisce la rara casula medievale, le Croci d’argento e smalti di Nicola da Guardiagrele, le torri e i quartieri medievali (vedi l’articolo “Lanciano da scoprire”), l’antico Presepe Antinori è stato riscoperto – le ultime tracce risalgono agli anni ’70 del secolo scorso – grazie alle ricerche di due studiosi lancianesi: Giacomo de Crecchio e suo figlio Gaetano.

In una fredda mattina di dicembre, con un clima natalizio consono al tema di questo articolo, vado a incontrare a Lanciano Giacomo de Crecchio, studioso e scrittore, autore del volume, “I pastori che dormono. Il presepe Antinori in viaggio da L’Aquila a Lanciano”, (Casa Editrice Carabba), per chiedergli di raccontare ai lettori di questo blog come avvenne il ritrovamento.

listener

Presepe Antinori – Foto Copyright Gaetano de Crecchio, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Di epoca tardo seicentesca, la eccezionalità di questo presepe – racconta Giacomo de Crecchio – risiede nelle fattezze dei suoi figuranti. Non gente di popolo, storpi, vaiasse di umidi rioni, straccioni e servi, ma personaggi della ricca borghesia, finemente abbigliati, con capelli veri, occhi di cristallo, calzature e persino biancheria intima. Una riproduzione fedele – conclude de Crecchio – di ciò che le famiglie nobili di un tempo volevano rappresentare nella loro immagine di Natività.

I personaggi sono interamente scolpiti nel legno in ogni parte anatomica, per questo le affascinanti statuine possono muoversi e assumere la postura voluta, come se fossero dei manichini. Questa caratteristica, unica nel suo genere, mi fa pensare che la rappresentazione della Natività non era la sola “parte” recitata dai personaggi di questo tesoro ritrovato.

Chissà, forse queste statuine, alcune alte fino a 84 cm., adornate di damasco, armesino, seta, fili d’argento, drappi dorati, tutto cucito a mano e lavorato al tombolo, collanine in corallo e pietre dure, scarpine in cuoio amorevolmente infiocchettate e persino calzini e biancheria intima, come se non bastasse con i visi minuziosamente dipinti per farli sembrare ancora più reali, con i capelli veri e addirittura oggetti in argento, venivano utilizzate anche per piccole rappresentazioni teatrali che allietavano, come in uno spettacolo di marionette, le giornate dei nobles enfants della famiglia Antinori.

I de Crecchio ritrovarono il baule contenente le statue dell’antico presepe nel 2010, all’interno del convento di Sant’Angelo della Pace, non a caso dedicato a San Francesco d’Assisi. Dimenticato in un ripostiglio, tra un vecchio pianoforte e statue devozionali, il baule rivestito di velluto con borchie dorate rivelò dopo chissà quanto tempo il suo prezioso contenuto.

Occorreva ripulire il pavimento dell’enorme stanzone, fare spazio per allineare uomini, donne, bambini ed animali, infine numerarli (…) Le singole figure, tratte fuori dal chiuso, hanno provato le leggerezza del pennello per essere liberate dal velo della polvere, nell’attesa di essere studiate e fotografate e vi hanno svelato la provenienza da un tempo, più lontano di quello che ci aspettavamo. (2)

Come arrivò l’antico baule nella soffitta di un convento francescano di Lanciano?
La nobile famiglia Antinori, con tale Orazio capostipite, come accennato sopra, era originaria di Firenze; da qui suo figlio Giacinto Antinori si trasferì a Bologna tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700, (la stessa epoca del nostro presepe), e diede vita al ramo abruzzese della famiglia. A L’Aquila nacque il suo primogenito Anton Ludovico, il citato epigrafista e arcivescovo di Lanciano.

Le tracce del presepe le ritroviamo proprio nel palazzo Antinori a L’Aquila, dove nell’agosto del 1833 fu redatto da un notaio del luogo l’inventario, ritrovato dai de Crecchio, che cita per la prima volta il presepe:

In ultimo siamo passati nella camera del quarto inferiore (…) e da uno stipo sottoposto a suggello si sono rinvenuti 154 pezzi per uso di presepe, cioè 96 pastori diversi, compresi S.Giuseppe e la Madonna, e 48 pezzi di animali diversi. (3)

Dopo lunghe vicissitudini e avvicendamenti familiari il Presepe Antinori nel ‘700 giunse a L’Aquila, e da qui a Lanciano, nel Palazzo Maranca, nobile famiglia lancianese imparentata con gli Antinori, ultima nobile dimora prima di essere donato dalle sorelle Marianna e Maria Assunta Stella, ultime discendenti dei Maranca, ai Frati Minori di San Francesco nel convento lancianese.

Durante le mie ricerche per questo articolo ho trovato una suggestiva descrizione, che Ivo Palleri fa nel suo libro “Abruzzo in famiglia” (Pescara, edizioni Tracce, 1991), del palazzo lancianese dei Maranca e del presepe Antinori, ecco uno stralcio:

“Un’entrata luminosa, apparentemente spoglia in confronto con le stanze seguenti, introduceva nel salotto detto “delle conchiglie”, unico del suo genere, con quei mobili dalle stranissime forme marine, a riflessi argenteo-madreperlacei.

Si passava quindi nel salottino di velluto verde, dominato da un bellissimo pianoforte verticale (…) Ed ecco il primo salone, quello di peluche giallo, riccamente ornato di nappine, con poltrone e divani bassi e profondi; subito dopo l’ancor più sontuoso salone dorato, con la tappezzeria in damasco rosso e fiori d’oro ed il bellissimo lampadario di vetro commissionato a Murano dalla Regina Margherita, ma poi scartato perché troppo piccolo per le sale reali.

Questo si apriva in alto con una pioggia di scintille iridescenti, moltiplicate all’infinito dalle grandi specchiere alle pareti. Più in fondo ancora, la sala della musica in damasco azzurro, con poltrone e divani disposti ad anfiteatro intorno ad un monumentale pianoforte a coda da concerto.

Raccolti nel vano del suggestivo caminetto, alcuni pezzi pregiati di un artistico Presepio, degni del miglior Capodimonte.” (4)

Il Presepe Antinori in mostra a Lanciano – Foto Leo De Rocco

Il Presepe Antinori è ancora oggetto di un programma di restauro. Le statuine possono essere sottoposte ai delicati e lunghi processi di recupero solo poche per volta, non è quindi possibile per ora documentare l’intera composizione così come veniva allestita all’origine. Inoltre la statuina del Bambino Gesù risulta dispersa.

Questo tesoro ritrovato unisce alla propria originale bellezza artistica il fascino della storia legata al suo ritrovamento. Quel baule dimenticato è arrivato fino a noi come in un viaggio nel tempo, nel corso dei secoli ha attraversato paesi, città e regioni, è stato custodito in nobili dimore e infine riposto nella soffitta di un convento francescano. Come il Ceppo acceso, il suo prezioso contenuto ha riscaldato per tante notti di Natale il cuore di grandi e piccini.

Copyright © – Riproduzione Riservata – derocco.leo@gmail.com – All rights reserved, Pictures it is forbidden to use any part of this article without specific authorisation –

Fonti/Note: 1-2-3-4 dal volume I pastori che dormono. Il presepe Antinori in viaggio da L’Aquila a Lanciano, (Casa Editrice Carabba Lanciano) di Giacomo e Gaetano de Crecchio – Foto copertina: Presepe Antinori, foto di Gaetano de Crecchio/copyright – Traduzione a cura di Ioannis Arzoumanidis per Abruzzo storie e passioni 2016.

Articoli correlati

English version

The old chest of velvet


“The chest of velvet is in good conditions and I will send it to your lady mother with pleasure”…(1) this is how Maria Maddalena Cerulli, widow of Giuseppe Antinori, wrote in June 1893 to her nephew Luigi. Giuseppe Antinori was the grandson of Anton Ludovico (L’Aquila 1704-1778), an epigraphist and Bishop of L’Aquila for seventy years, owner of an enclosed treasure, as in a fairy tale, in an old orange velvet chest that remaine.d forgotten for who knows how many years in a sumptuous building in Abruzzo and that was recently rediscovered: the Antinori Nativity scene.

Besides the iconographic aspect associated with the representation of the Christian Nativity, this crib is a true artwork in terms of beauty and originality that even today only a few know. The precious Nativity of Antinori, which was found in the beautiful art city of Lanciano, the city “citra” of the Abruzzo region that Frederick II of Sweden named as a municipality back in 1212; today, we can admire this thanks to the research of two Frentani scholars, namely Giacomo de Crecchio and his son Gaetano.

On a cold December morning, in a Christmas atmosphere that is appropriate to the theme of this article, I met Giacomo de Crecchio in his own city, who is a scholar and writer, author of the meticulous book I pastori che dormono. Il presepe Antinori in viaggio da L’Aquila a Lanciano “The sleeping shepherds. The Nativity of the Antinori travelling from L’Aquila to Lanciano” (Carabba publishing), filled with fascinating photographs. Giacomo de Crecchio is one of those scholars I call old-fashioned, in a noble sense of the term. I was still excited when he told me how he and his son managed to discover the hidden treasure in the magical and dusty chest that the time had apparently erased from memory.

The Antinori Nativity is a rarity of its kind: being an artwork of the late seventeenth century, the exceptional nature of this crib lies in the features of its participants, as Giacomo de Crecchio tells me. There are no peasants, cripples, servants from humid districts and beggars, but rich and middle class characters, finely dressed, with real hair, glass eyes, shoes and even underwear. A faithful reproduction of what the noble families of the past wanted to represent in their image of the Nativity.

The characters are entirely carved in wood in every part of the body; for this reason, these fascinating statues can move and obtain the desired posture, as if they were dummies. This feature, which is unique of its kind, might suggest that the representation of the Nativity was not the only “part” recited by the characters of this treasure. Maybe those enigmatic figures, adorned with damask, silk, silver, golden drapes, coral necklaces and semiprecious stones, lovingly decorated leather shoes with bows and even socks and underwear, were also used for small theater representations, as in a puppet theater in the days of the nobles enfants of that era. The de Crecchios found the velvet chest in a former convent of Lanciano: It was necessary to clean the floor of the huge great room, make room for men, women, children and animals, and finally number them (…) The individual figures, which were taken out of indoors, have tried the lightness of the brush in order to be freed from the veil of dust, waiting to be studied and photographed and they revealed that they come from a time, further in the past than what we ever expected. (2)

The noble Antinori family, with Orazio as a founder, was originally from Florence. The Antinori then moved from the Tuscan city to Bologna. Giacinto Antinori, son of Orazio, gave birth to the Abruzzo side of the family in the late seventeen and early eighteen hundreds: his first son, Anton Ludovico, was born in L’Aquila, who was the aforementioned epigraphist and Archbishop of L’Aquila. In August 1833, in the building of the Antinoris in L’Aquila, the inventory that mentions for the first time our crib was drawn up by a notary of the place: Finally, we passed in the lower chamber of the fourth inferior floor (…) and 154 pieces for use of crib were found in a sealed pack, that is 96 different pastors, including St. Joseph and Our Lady, and 48 pieces of different animals (3). After long vicissitudes and family rotations, described minutely by de Crecchio in their precious book, the Antinori Nativity travelled between Florence and Bologna up to L’Aquila and from there to Lanciano, specifically in the Palazzo Maranca, (which was the building of a noble family of Lanciano that was related to the Antinoris). This was the latest “noble” dwelling before it was stored and forgotten in the attic of an old convent.

It is a striking description that Ivo Palleri makes in his book (Abruzzo in famiglia – Pescara, Tracce publishing, 1991) of the Maranca building: An entrance full of light, seemingly barren in comparison with the following rooms, introduced us in the so-called living room “of the shells”, which is unique of its kind, with those pieces of furniture with strange marine forms and silver-pearly reflections. Passing on into the greenish velvet sitting room, dominated by a beautiful upright piano (…) And there it was, the first salon, made of yellow plush and richly decorated with tassels, with armchairs and low and deep sofas; immediately after that, there was an even more sumptuous golden salon, with upholstery in red damask and golden flowers and beautiful Murano glass chandelier commissioned by Queen Margherita, but then rejected for being too small for the Royal rooms. This opened on top with a rain of iridescent sparks, multiplied up to infinity with the help of large mirrors on the walls. Moving more in the interior, one could find the music room in blue damask, with armchairs and sofas arranged like an amphitheater around a monumental concert piano. Collected in the compartment of the cozy fireplace there were some valuable pieces of an artistic Nativity scene, worthy of the best Capodimonte museum (4).

The Antinori Nativity brings together to its artistic beauty the charm of the story linked to its discovery. A finding that we can define as miraculous. Thanks to the obstinacy of the two researchers of Lanciano, today Abruzzo can boast of an authentic treasure of art that otherwise would have ended -like so many other Italian artworks- in a museum across the Alps, or even worse, into the hands of some unscrupulous collector. That mysterious orange velvet chest magically came to us like in a journey through time, came to know cities and noble buildings and filled with magic and wonder who knows how many eyes by exposing its treasure along the centuries, a treasure that Abruzzo must protect and enhance.

Copyright © All rights reserved – This article and the pictures shown on this website are private. It is thus prohibited to retransmit, disseminate or otherwise use any part of this article without any written authorisation –Acknowledgements: Giacomo de Crecchio, scholar and writer; Gaetano de Crecchio, photographer – Sources/Footnotes: 1-2-3-4 from the book I pastori che dormono. Il presepe Antinori in viaggio da L’Aquila a Lanciano, (Carabba publishing) by Giacomo and Gaetano de Creccio – Cover photo: the Antinori Nativity, photo by Gaetano de Crecchio/copyright – Translation by Ioannis Arzoumanidis, research fellow – Author/Blogger: Leo De Rocco / leo.derocco@virgilio.it

Lascia un commento