▪︎ In copertina: dettaglio degli affreschi medievali nella chiesa abbaziale di San Pietro ad Oratorium ‐ Foto Abruzzo storie e passioni
▪︎ Sotto: un tappeto di papaveri primaverili ai piedi di Capestrano – Foto Lyon Corso Photography

Prima parte
Magiche atmosfere
Direzione Capestrano. Lasciata la Tiburtina Valeria alle porte di Bussi sul Tirino e imboccata la Statale 602, dopo un breve tratto in salita il paese dei santi e dei guerrieri si rivela all’improvviso, adagiato sopra un’altura, circondato da mandorli, uliveti e campi di grano, che si trasformano in primavera in un mare di papaveri.
Numerosi anche i vigneti, in particolare quelli autoctoni del Montepulciano d’Abruzzo, che da secoli trovano in questa zona condizioni climatiche favorevoli e terreni ideali. Non a caso, fino alla metà del Novecento Capestrano era conosciuta come la “Cantina d’Abruzzo”, una quota rilevante della produzione vinicola regionale proveniva proprio da queste terre.
Il profilo del paese è dominato dal castello, posto sul punto più elevato dell’abitato, e dalle case che ancora conservano sugli stipiti gli stemmi in pietra degli antichi blasoni. Nel corso dei secoli su questo territorio si sono avvicendate diverse famiglie feudatarie: gli Acquaviva (1284), poi i Conti dei Marsi e i Conti di Celano (1318), quindi i Piccolomini, (1463) e infine, nel 1579, i Medici, giunti da Firenze attratti dai fiorenti commerci di lana, seta e spezie. Con loro Capestrano divenne principato.
Il borgo sorge nella valle del Tirino, tra l’altopiano di Navelli e il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, un territorio in cui le straordinarie emergenze naturalistiche convivono con antiche testimonianze artistiche. Tra queste spicca la chiesa abbaziale di San Pietro ad Oratorium, discreta e misteriosa, nascosta tra i boschi lungo la riva di un fiume dalle acque limpidissime, quasi riluttante a farsi trovare.
Capestrano è universalmente nota per aver dato il nome all’opera più significativa dell’arte italica: il Guerriero di Capestrano, enigmatica statua in pietra calcarea, originariamente dipinta con cromie che andavano dal turchese al rosso, oggi conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti.
Molti turisti vengono anche qui proprio per conoscere il luogo di provenienza dell’opera. Lu mammocce – “il bambinone”, come affettuosamente lo chiamano i capestranesi – è un simbolo identitario del territorio, anche se il ritrovamento avvenne un realtà nei pressi di Ofena.
Altrettanto simbolica è la figura di Giovanni da Capestrano, soldato e frate francescano e santo, conosciuto quanto il guerriero di pietra ben oltre i confini abruzzesi: statue, monumenti e chiese a Budapest, Vienna e in Croazia, fino in Texas e in California, dove nel Settecento i frati francescani spagnoli fondarono due missioni dedicate a San Juan Capistrano.
Il guerriero misterioso
La statua del Guerriero di Capestrano risale al VI secolo a.C., ed è scolpita in pietra calcarea, supera i due metri di altezza e raffigura con ogni probabilità un principe-guerriero appartenente alle popolazioni italiche preromane stanziate nell’area dell’antica Aufinum, città dei Vestini situata nei pressi dell’odierna Ofena. Plinio il Vecchio ricorda che, dopo le fuerre sociali, Aufinum entrò a far parte della regione augustea del Samnium, estesa grosso modo tra l’Abruzzo centro-meridionale, il Molise e parte della Campania.
Il ritrovamento avvenne nel 1934, quando un contadino, Michele Castagna, mentre arava il proprio campo, vide emergere la statua tra le zolle. Compresa l’antichità del manufatto, la espose per alcuni giorni davanti alla sua abitazione, chiamandola in dialetto lu mammocce (il bambinone, il pupazzo). Poco dopo intervennero i Carabinieri che lo consegnarono alla Soprintendenza.
Il Guerriero è divenuto nel tempo uno dei simboli dell’Abruzzo. Colpiscono il copricapo, i ricchi i dettagli e l’armamento: spada, pugnale, ascia, oltre a collana, pendaglio, bracciali e una maschera che copre il volto. Una enigmatica iscrizione è inoltre incisa sul pilastrino laterale sinistro, da decenni un vero e proprio rompicapo per gli archeologi:
Di me fece bella immagine lo scultore Aninis per il Re Nevio
La firma dell’autore, Aninis, nel VI secolo a.C., costituisce un caso raro e fa sorgere diversi interrogativi. Il re Nevio era un sovrano dei Vestini? La dedicazione “Per il re Nevio”, significa per conto del re? Forse da parte di un suo soldato di rango, di un capo guerriero o di un principe? Oppure Nevio era proprio il nome del Guerriero? Anche il vistoso copricapo, che ricorda un sombrero, desta curiosità; secondo alcune interpretazioni è uno scudo. Nelle vicinanze del Guerriero furono rinvenuti i resti di un’altra statua, chiamata Dama di Capestrano, forse anch’essa una guerriera italica. Alcuni studiosi hanno persino ipotizzato che il Guerriero stesso possa essere una donna, osservando la conformità dei fianchi.
Le acque trasparenti
Questo alone di mistero accompagna il viaggio nei dintorni di Capestrano, tra boschi silenziosi che custodiscono autentici tesori: un’antica abbazia benedettina e un mulino medievale sommerso nelle acque trasparenti di un piccolo lago.
Lo specchio d’acqua è circondato da praterie assolate, apparentemente aride, punteggiate da sorgenti montane nascoste nella boscaglia, dalle acque gelide anche in piena estate. Considerato uno dei fiumi più belli d’Europa, il Tirino – dal greco Tritano, triplice sorgente – nasce infatti da tre polle principali. Non è improbabile che anche il toponimo Capestrano derivi da Caput trium amnium, ovvero “a capo di tre sorgenti”.
Le sue acque limpidissime, con una visibilità subacquea che raggiunge i cento metri, provengono dal Gran Sasso dopo aver attraversato complessi sistemi carsici, e confluiscono più a valle nel fiume Pescara. Su questo argomento si veda l’articolo: “Popoli Terme e le Sorgenti d’Abruzzo”, in questo blog,
San Pietro ad Oratorium
Celata tra i boschi segnati da sorgenti cristalline, non sembra facile trovare l’abbazia benedettina di San Pietro ad Oratorium. Ma questo posto apparentemente misterioso e impervio, raggiungibile percorrendo una stradina sterrata che taglia in due la selva, contribuisce a rendere l’escursione particolarmente suggestiva.
Secondo le fonti il toponimo Oratorium deriverebbe dal nome di un antico castello, Araturo, del quale però non restano tracce. La chiesa abbaziale in passato faceva parte di un complesso monastico benedettino legato alla potente abbazia di San Vincenzo al Volturno. Nel 1100 fu “renovata”, come recita l’iscrizione sul portale, e consacrata da papa Pasquale II che la dichiarò nullius diocesis, indipendente dall’autorità vescovile.
Situata su un punto strategico lungo gli antichi tratturi, fondamentali per l’economia pastorale e per i commerci di tessuti, lana e seta, secondo la tradizione San Pietro ad Oratorium fu fondata da re Desiderio, ultimo sovrano longobardo prima dell’arrivo di Carlo Magno e della nascita dell’impero carolingio. L’eredità longobarda sopravvisse a lungo nel Mezzogiorno, in particolare nel Ducato di Benevento, la Longobardia minor, teatro di scontri che vedrà tra i suoi protagonisti Ludovico II, pronipote di Carlo Magno, secondo la tradizione il fondatore dell’abbazia di San Clemente a Casauria.
Abbazie, papi e imperatori. Sempre in Abruzzo, il nome di Carlo Magno, Magnus, lo ritroveremo a Bominaco, fraziome di Caporciano, scolpito sulla facciata dell’Oratorio di San Pellegrino.
Sull’architrave del portale di San Pietro ad Oratorium si legge: A rege Desiderio fundata, anno milleno centeno renovata. L’archivolto e il portale sono decorati con raffinati motivi floreali, che ricordano i ricami del tombolo aquilano, e alludono alle simboliche lettere greche Alfa e Omega, principio e fine di ogni cosa.
Tra le decorazioni spicca un drago singolare, dalle sue fauci non sgorgano fiamme, bensì tralci di vite. Non è un caso isolato poiché un suo gemello compare anche all’interno della chiesa, sull’architrave del ciborio. L’iconografia del drago, che chiamerei sputatralci, è ben attestata in Abruzzo: la ritroviamo a San Clemente a Casauria (ambone); sul portale della chiesa abbaziale di Santa Maria del Lago a Moscufo; a Pianella, nella chiesa abbaziale di Santa Maria Maggiore. Un linguaggio simbolico condiviso: la vittoria del bene sul male.
Il ciborio, databile al XIII secolo, e sorretto da quattro colonne con relativi architravi ed è impreziosito da sedici colonnine alternate a inserti in maiolica, che sostengono la cupola a baldacchino la cui forma richiama stili arabi e bizantini.
Tra i boschi di Capestrano un messaggio dall’isola di Patmos
Nel catino dell’abside affreschi dai toni sabbiosi, ocra e rosso mattone, rivelano il cuore teologico del complesso: tra i boschi di Capestrano si cela una grandiosa visione ispirata all’Apocalisse di Giovanni.
Il Tetramorfo – toro, leone, angelo e aquila – circondano Cristo in trono mentre benedice “alla greca”. L’artista, tanto abile quanto anonimo, ci sta dicendo che il ciclo pittorico prende corpo dalle visioni apocalittiche che Giovanni racconta di aver ricevuto sull’isola greca di Patmos, dove si trovava esiliato nel 95 d.C.
Con l’altra mano Cristo regge il Libro sacro sul quale è inciso: Ego sum primus et ultimum – “Io sono Alfa e Omega, l’inizio e la fine, il primo e l’ultimo” – Qui a San Pietro ad Oratorium nulla è casuale: le decorazioni del portale, ispirate a quelle scolpite trent’anni prima sui portali dell’abbazia di San Liberatore a Maiella, rimandano alle due lettere rivelatrici dell’alfabeto greco.
Anche l’orientamento dell’edificio rivela un preciso simbolismo: la facciata è rivolta a Oriente, dove sorge il sole, la stessa direzione delle absidi dell’abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia. Scelte architettoniche, quelle dei benedettini, influenzate dal mondo bizantin. Non a caso la basilica di San Simeone Stilita, costruita nel 491 nei pressi di Aleppo, rappresenta un paradigma: oltre ai punti cardinali, la pianta ottagonale, le decorazioni a palmette e altri elementi influenzarono profondamente l’architettura sacra medievale.
Ai lati del Cristo benedicente ci sono due angeli serafini privi della spada. Dopo il ritorno del Salvatore sulla Terra – ci ricorda Giovanni dall’isola di Patmos – tutto è compiuto, il male è sconfitto e Dio si appresta a regnare sul mondo.
Nel registro inferiore si dispiega una vasta assemblea: i monaci benedettini, ciascuno con la tonsura e racchiuso in una nicchia; e i ventiquattro Anziani dell’Apocalisse, seduti sui loro troni, stagliati su un fondo che un tempo era interamente dipinto di azzurro. Sono raffigurati con la barba bianca e la corona d’oro sul capo; davanti a loro sono disposti i ventiquattro calici d’oro.
La scena sembra sospesa nell’attesa solenne del compimento: non un banchetto terreno, ma un’offerta celeste nel giorno dell’Apocalisse, davanti al Re del cielo e della terra, del mondo visibile e invisibile, al cospetto di colui che Giovanni giura di aver visto a Patmos: “simile nell’aspetto al diaspro e alla cornalina”, dai riflessi di cristalli preziosi.
Le coppe dorate, tuttavia, non contengono vino, bensì profumi che simboleggiano le preghiere dei Santi, e uno degli anziani pare sul punto di alzarsi per indicare chi sarà degno di aprire il Libro dei Sette Sigilli.
Forse è l’Agnello di Dio, che sembra prendere forma nella sfera celeste appena visibile sopra il Cristo benedicente alla greca. Ma non lo sapremo mai: quella parte degli affreschi, la più alta e spesso ignorata dai visitatori, è andata perduta nel tempo. Ciò che resta, tuttavia, è sufficiente a rendere gli affreschi di San Pietro ad Oratorium una testimonianza iconografica straordinaria, unica in Abruzzo (1).
Il Quadrato Magico
Sulla facciata della chiesa appare una enigmatica incisione: un quadrato lapideo che racchiude un palindromo leggibile in ogni direzione. È il cosiddetto Quadrato del Sator, una struttura simbolica composta dalle cinque parole: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Il Sator è attestato in diversi contesti archeologici e architettonici, a Pompei come in Francia, ma quello di San Pietro ad Oratorium presenta una peculiarità: è mostrato al contrario.
Il termine Sator significa “colui che semina”; Arepo è di origine incerta, forse derivata dal greco e talvolta interpretata come “equilibrio”; Tenet, può essere tradotto con “tieni”; Opera con “cura”, infine Rotas significa “ruota”. Ognuno può cimentarsi a trovare una propria lettura simbolica; in questa prospettiva, Rotas potrebbe indicare una strada, una rotta da seguire. Propongo una soluzione: nel compiere (seminare) le proprie azioni (Sator), abbi sempre cura (Opera) di mantenere un equilibrio (Arepo) tenendo salda (Tenet) nella tua vita la rotta (Rotas) più giusta e saggia.
Il Sator di San Pietro ad Oratorium è senza dubbio l’enigma più richiesto dai visitatori e dalle guide turistiche, ma non è il solo enigma custodito dalla facciata della chiesa. Osservandola attentamente, si nota altre pietre scolpite con segni e figure apparentemente indecifrabili. Come il rilievo che raffigura un loggiato riempito di fiori e stelle, forse rappresenta la Via Lattea? Poco più in alto compaiono due mostri alati, con coda da scorpione, sembrano due manticore che fanno la guardia a una grande coppa sovrastata da un uccello, possibile simbolo liturgico di rinnovamento spirituale.
A differenza dei pacfici pavoni, simboli di immortalità – scolpiti sul Portale della Luna dell’abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia – qui a Capestrano l’avvertimento è chiaro: chi osi per profanare la coppa sacra, si troverebbe di fronte le manticore capaci di scagliare spine velenose. Su Fossacesia si rimanda all’articolo: “Fossacesia. Abbazia di San Giovanni in Venere. Il monachesimo in Abruzzo e San Nicola Greco”, in questo blog.
Altro elemento misterioso è il bassorilievo collocato a sinistra del portale, probabilmente anche in questo caso si tratta di materiale di reimpiego proveniente da un edificio più antico. Vi è raffigurato un uomo che indossa un mantello e sul capo una vistosa corona. Potrebbe trattarsi di re Desiderio. O forse è un profeta. La figura sembra indicare una incisione: Sculptor image apparuit ito insomnis hec, traducibile come “L’immagine dello scultore è apparsa in questo sogno” oppure “allo scultore apparse l’immagine nel sogno”. Tuttavia non è escluso che l’iscrizione sia stata aggiunta in un secondo momento, complicando ulteriormente l’interpretazione.
Se la chiesa fu effettivamente voluta da Desiderio, il riferimento onirico potrebbe alludere a una fondazione ispirata da una visione. Viene spontaneo il confronto al celebre sogno di frà Pietro da Morrone, il futuro papa Celestino V, al quale la Vergine apparve chiedendogli di edificare a Collemaggio una chiesa: la basilica che ancora oggi è un simbolo d’arte e di fede.
Galleria fotografica



Capestrano – Giovanni da Capestrano guida L’Assedio di Belgrado, Chiesa di San Francesco – Foto Abruzzo storie e passioni

Tra Capestrano e Navelli, in lontananza il Castello di Calascio (in alto a sx) – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni














Guerriero di Capestrano, Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo Chieti – Foto e video Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Dama di Capestrano – Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo Chieti – Foto Abruzzo storie e passioni







Dintorni di Capestrano – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


Capestrano – Antichi mulini sommersi nel Lago di Capodacqua, foto Roberto Furlone, e i mulini medievali sommersi, foto Franco Banfi – per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni








Dintorni di Capestrano – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

La Croce di Desiderio, Museo di Santa Giulia, Brescia. Donata da re Desiderio all’allora monastero bresciano di San Salvatore. La Croce veniva esposta dalla badessa il Venerdì Santo

Corona Ferrea, IV-V secolo, Duomo di Monza – Secondo la tradizione la corona, voluta dalla regina longobarda Teodolinda, sarebbe stata realizzata utilizzando un chiodo della Croce di Gesù.







Capestrano, chiesa abbaziale di San Pietro ad Oratorium – Foto Abruzzo storie e passioni – dettaglio del portale: probabile immagine di un prelato (forse un abate) tratta da una lapide prelevata dall’antica cripta pertinente alla precedente chiesa




Capestrano, chiesa di San Pietro ad Oratorium, navata centrale, ciborio e dettaglio dei 24 Anziani dell’Apocalisse – Foto Abruzzo storie e passioni

Capestrano – Cristo in trono benedicente “alla greca”, Chiesa San Pietro ad Oratorium – Foto Abruzzo storie e passioni




Capestrano, San Pietro ad Oratorium, dettaglio capitello, ciborio, dettaglio del sottarco con i monaci benedettini – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Capestrano, il “quadrato magico” – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni




Capestrano, dettaglio del portale e della facciata di San Pietro ad Oratorium – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Seconda parte
Il Castello
Riprendo il viaggio in direzione del centro del centro storico di Capestrano. In un’atmosfera vagamente fiabesca, non poteva mancare il castello, con tanto di torri merlate e mura possenti.
Ed eccolo infatti svettare come ogni castello che si rispetti sul punto più alto del paese: il Castello Piccolomini, un tempo protetto dal ponte levatoio e da un fossato, ricoperto nel 1924. Il nome deriva dai feudatari che lo edificarono nel Quattrocento sui resti di una precedente fortificazione medievale.
Nel 1463 Ferdinando d’Aragona, con l’appoggio di papa Pio II, donò il castello ai Piccolomini, sottraendolo alla contessa Covella, che perse anche il castello di Celano. I Piccolomini discendevano da Antonio, nato Todeschini nel 1435, che adottò il più conveniente cognome dello zio materno, papa Pio II, al secolo Enea Silvio Bartolomeo Piccolomini.
Il sostegno del papa alla causa aragonese, preferita a quella angioina, fu determinante: in cambio Ferdinando d’Aragona assegnò le terre di Capestrano al nipote del pontefice. La contessa Covella di Celano, tuttavia, aveva già donato a Giovanni , suo amico e confidente, un colle nei pressi del paese, destinati alla costruzione di un complesso monastico francescano.
Nel Seicento il Castello Piccolomini fu ristrutturato, quando Capestrano entrò nei possedimenti medicei: Cosimo I de’ Medici, primo granduca della Toscana, assunse anche il titolo di Principe di Capestrano. Il principato dei Medici rimase in vigore, almeno formalmente, fino alla metà del Settecento, con l’ultima granduchessa fiorentina Anna Maria Luisa de’ Medici.
Passeggiare tra le possenti mura del castello – antica sede del potere feudale e ,in parte, oggi sede del potere civile, un’ala ospita il Municipio – significa attraversare secoli di storia: scale in pietra, pozzi quattrocenteschi e alte torri a guardia di massicci corridoi che si aprono su affacci panoramici e ventosi.
Da queste terrazze, dove oggi si affacciano i turisti armati di fotocamere, i marchesi Piccolomini e gli ambasciatori dei Medici controllavano la valle sottostante, fulcro dei loro affari basati sulla transumanza e sui fiorenti commerci di lana, seta e spezie.
Il Santo soldato
Sia avanzando che retrocedendo, sia colpendo che colpiti, invocate il nome di Gesù, il Lui solo è la salvezza.
Nel convento di Capestrano, il motto del santo campeggia nella didascalia del dipinto che raffigura l’Assedio di Belgrado. In una terra che custodisce storie antiche e suggestive non poteva mancare una figura iconica, un santo-guerriero: Giovanni da Capestrano (1386 – 1456).
Proveniva da una famiglia benestante, proprietaria di terreni coltivati a grano oggi trasformati in vigneti, visibili dalle piccole finestre della sua casa natale. Si trova in posizione panoramica, accanto a una grande piazza terrazzata che domina la valle. Spinto dalla curiosità, visito l’abitazione, mi accoglie la gentile signora Lidia, volontaria che accompagna i visitatori. È disposta su due piani, conserva ancora l’antico caminetto e il pavimento in pietra; in una stanza si intravede un affresco appena accennato di una Madonna con bambino, chissà, forse tracciato dallo stesso Giovanni.
Oltre al saio francescano, indossato dopo la sua attività di giurista e gli studi a Perugia, Giovanni, che era figlio di un nobile tedesco e di una gentil donna di Capestrano, non esitò a indossare pure la corazza: guidò come comandante le truppe cristiane durante l’Assedio di Belgrado, opponendosi vittoriosamente contro l’avanzata ottomana nei Balcani.
Il complesso di San Francesco – con il convento quattrocentesco, il chiostro seicentesco, la chiesa in stile tardo barocco e il prezioso museo (attualmente chiuso per lavori), che conserva pergamene antiche e una bolla papale del XIII secolo – rappresenta una delle più significative eredità lasciate a Capestrano dal santo-soldato. L’edificio sorge sui terreni donati dalla contessa Covella da Celano, uno dei personaggi più intriganti e affascinanti del Quattrocento abruzzese, la cui storia è narrata nell’articolo Celano, tra storia e leggenda. Covella, l’ultima contessa. Covella era legata da profonda amicizia a Giovanni da Capestrano e ad altri celebri francescani del tempo, come Giacomo della Marca. Alla morte del santo, la contessa organizzò esequie degne di un sovrano.
Il convento, situato su un colle poco distante al paese e raggiungibile anche a piedi dal centro, conserva nel chiostro affrescato scene della vita del Santo. Tra queste compare lo stemma di Alessandro Tassoni (1565-1635), autore del poema La secchia rapita, un dettaglio che ricorda il periodo in cui, nel Seicento, il poeta e la sua famiglia amministravano su queste terre gli interessi per conto dei Medici.
Giovanni da Capestrano e il francescanesimo nel mondo
San Giovanni da Capestrano, patrono del paese e dei cappellani militari, è una figura venerata in gran parte d’Europa e oltreoceano. In Texas, dal Settecento, è attiva una missione francescana a lui dedicata; mentre in California i frati spagnoli fondarono la missione di San Juan da Capistran. Proprio nel chiostro di questo complesso francescano, nell’estate del 1946, André de Dienes fotografò una giovanissima Marilyn Monroe, mentre in Europa si discuteva di pace alla Conferenza di Parigi.
La missione, oggi trasformata in una cittadina di trentamila abitanti, celebra ogni anno a fine aprile il miracolo delle rondini, che dall’Argentina tornano a primavera, dopo un viaggio di circa diecimila chilometri. Secondo un racconto popolare tramandato dai suonatori delle campane di San Juan Capistrano, le rondini prima di ritornare in Argentina, farebbero un lungo viaggio: attraversano l’Atlantico trasportando un ramoscello di ulivo, sul quale sostare tra le onde del mare di tanto in tanto. Giunte sul continente europeo farebbero poi sosta in Abruzzo, proprio a Capestrano, per raggiungere infine la città santa di Gerusalemme.
Il convento francescano di San Juan Capistrano è l’edificio più antico ancora in uso della California ed è considerato un simbolo multiculturale degli Stati Uniti. Sull’altare maggiore, in stile barocco coloniale spagnolo, campeggia la statua del santo capestranese.
Ancora una curiosità. Lo storico americano Chris Jepsen ha recentemente scoperto che Al Capone, il gangster americano mitizzato dai media e dalla letteratura, fonte di ispirazione per diversi film celebri, tentò di comprare la tenuta della Missione californiana. La sua firma è stata rinvenuta nel libro dei visitatori.
La missione californiana di San Giovanni da Capestrano ispirò anche lo scrittore americano Johnston McCulley, che nel 1919 pubblicò con successo The Curse of Capistrano, creando così l’eroe mascherato don Diego Vega, alias “Zorro ”, ambientando le sue avventure proprio tra questi chiostri.
Nella galleria fotografica che segue propongo alcune opere legate alla iconografia di San Giovanni da Capestrano:
▪︎ Polittico di Giacomo da Campli, Madonna in trono con Bambino e i santi Francesco, Berardino, Antonio e Giovanni da Capestrano, 1482, destinato alla chiesa di San Francesco presso il convento di Capestrano.
▪︎ San Giovanni da Capestrano e storie della sua vita, 1480, tempera su tavola realizzata da un artista ignoto, il “Maestro di San Giovanni da Capestrano”. Al centro il santo sorregge il vessillo crociato di rosso con il monogramma di San Bernardino. Attorno sono dipinte le scene della sua vita: messa al campo; predica dell’Aquila; Battaglia di Belgrado; morte del Santo.
▪︎ Una affresco dalla iconografia inusuale: il Santo di Capestrano nel Duomo di Atri e raffigurato da Andrea de Litio senza saio, ma con l’uniforme da soldato, spada, scudo e vessillo.
▪︎ Infine una terracotta smaltata, di Santi Buglioni (1550), conservata al County Museum of Art di Los Angeles.
Per la storia del ritratto di San Giovanni da Capestrano, custodito al Louvre, commissionato dalla contessa Covella di Celano al pittore veneziano Bartolomeo Vivarini, rimando all’articolo “Celano, tra storia e leggenda. Covella l’ultima contessa.
I capestranesi
Durante questo viaggio in uno degli angoli più suggestivi d’Abruzzo, l’incontro con la comunità locale si è rivelato fondamentale. Ogni volto racconta la storia del profondo legame con il territorio. Dall’ex insegnante di storia dell’arte, che mi ha svelato aneddoti sul convento, a Giorgio, custode volontario del castello, che da bambino conobbe Michele Castagna, il contadino che scoprì il Guerriero di Capestrano; fino alla signora Lidia, che insieme ad Ada, anch’essa volontaria, custodisce la casa natale di Giovanni da Capestrano; e all’insegnante incontrata lungo la strada per il convento, che mi ha raccontato la storia dei palazzi nobiliari di Capestrano. Infine Ian, architetto paesaggista inglese, innamorato di Capestrano al punto da acquistare qui una casa in pietra e un piccolo vigneto.
Ho percepito Capestrano come un paese dinamico, animato anche da iniziative culturali promosse delle nuove generazioni. Tra queste lo Strano Film Festival, rassegna internazionale di cortometraggi dedicata al tema della “Terra”, ideata dal capestranese Gianluca Fratantonio con l’obiettivo di: Unire chi in questi territori è rimasto, e chi da questi territori è partito, e chi in questi territori è tornato a viverci.
Recentemente è stato inaugurato il polo culturale Dama di Capestrano, curato dall’associazione Maks, un moderno spazio di sperimentazione artistica dedicato alla creatività dei giovani emergenti nell’arte contemporanea, con lo scopo di creare nuove forme di comunicazione, senza voltare le spalle al passato e alla storia di questa terra.
Il viaggio continua, tra storie e leggende
Da Capestrano l’itinerario prosegue verso altri borghi affascinanti: Navelli, Civitaretenga, San Benedetto in Perillis, San Pio delle Camere e Bominaco di Caporciano, con gli straordinari affreschi medievali nell’Oratorio di San Pellegrino; fino a salire in direzione di Campo Imperatore per scoprire Castel del Monte, Santo Stefano di Sessanio e Rocca Calascio con il suo celebre castello.
Scopriremo questi luoghi nei prossimi articoli, intanto vi invito a visitare Capestrano e il suo magico territorio: pianori, boschi, limpide e gelide sorgenti, enigmatiche statue italiche di principi e principesse guerrieri, laghetti che celano mulini medievali, castelli che sembrano labirinti di pietra, conventi fondati da santi-soldati e antiche abbazie che sembrano invitare il visitatore a decifrare simboli e interpretare sogni.
Con un po’ di immaginazione si potrebbe persino cercare da queste parti anche il Sacro Graal, i presupposti ci sono. Una leggenda popolare racconta che Longino, il soldato romano che trafisse il costato di Gesù, era originario di Lanciano e che l’attuale chiesa lancianese di San Francesco, celebre per il Miracolo Eucaristico, anticamente era un convento intitolato a San Legoziano, ovvero Longino.
Quando da Gerusalemme fece ritorno a Lanciano, prosegue il racconto, Longino pentito e convertitosi al cristianesimo predicò la parola di Gesù, e forse portò con sé il Sacro Graal. per nasconderlo tra le montagne, in un’abbazia celata tra boschi e sorgenti cristalline: un luogo che in questo viaggio non appare più così lontano.
Del resto, sempre restando nel solco della leggenda, nell’albero genealogico dei Conti dei Marsi figurerebbe Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’Ordine dei Cavalieri Templari. E proprio in Abruzzo, nell’abbazia di San Giovanni in Venere, sarebbe sepolto l’unico maestro Templare italiano. Sulla facciata dell’abbazia appare un cantharos, con due pavoni reali, simbolo della fonte di vita e di rinascita spirituale, quindi dell’immortalità (2).
La ricerca del Sacro Graal in terra d’Abruzzo continua. Forse la leggendaria coppa non si trova come raccontano alcune leggende medievali sotto la Basilica di Collemaggio a L’Aquila, ma è nascosta da queste parti, indicata anche sulla facciata di San Pietro ad Oratorium. Ma se decideste di seguire questa traccia, fate attenzione alle terribili manticore.
Leo Domenico De Rocco – Tecnico della valorizzazione dei Beni culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo – derocco.leo@gmail.com – Copyright – Riproduzione riservata – Note e fonti dopo la galleria fotografica













Capestrano, Castello Piccolomini – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni







Capestrano – Casa natale di San Giovanni da Capestrano – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni













Capestrano – Chiesa-Convento di San Francesco – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni







Missione Saint John of Capestrano, California – “L’altare d’oro” in stile barocco coloniale spagnolo con la statua di San Giovanni da Capestrano nella Missione Saint John of Capestrano – Marilyn Monroe, foto di André de Dienes, 1946c.











Capestrano – Foto Leo De Rocco – la chiesa di Santa Maria della Pace è ancora chiusa per restauri dopo il sisma del 2009 – Affresco sulla facciata di un edificio: Madonna con Bambino tra San Vito vestito da paggio e San Cetteo Vescovo di Amiternum, con casula arabescata, 1447.
Il cristallino fiume Tirino nei pressi di San Pietro ad Oratorium – video Leo De Rocco



Bomicaco, frazione di Caporciano – Affreschi medievali (1267) Oratorio San Pellegrino – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Sacro Graal – opera preraffaelita di Dante Gabriele Rossetti, 1874 – Andrew Lloyd Webber Collection, Londra – Dante Gabriel Rossetti era uno dei 4 figli (tutti famosi in Inghilterra) di Gabriele Rossetti, originario di Vasto. Sui Rossetti in questo blog: “Vasto: mare, arte e cultura. La storia dei Rossetti, i Preraffaelliti”.
Sostieni Abruzzo Storie e Passioni
Cari lettori,
portare avanti Abruzzo Storie e Passioni è per me un impegno fatto di passione, ricerca e tempo dedicato a raccontare il nostro territorio nel modo più autentico possibile. Ogni articolo nasce da giorni di studio, dall’acquisto di libri e testi di riferimento, da sopralluoghi fotografici in giro per l’Abruzzo e dai costi di gestione della pagina WordPress che ospita il blog.
Se apprezzi il lavoro che svolgo e desideri aiutarmi a mantenerlo vivo e a farlo crescere, puoi sostenermi anche con una piccola offerta tramite PayPal all’indirizzo email leo.derocco@virgilio.it
Ogni contributo, anche minimo, è un gesto prezioso che permette di continuare a raccontare storie, tradizioni, luoghi e personaggi della nostra splendida regione.
Grazie di cuore per il tuo sostegno e per far parte di questa comunità di appassionati dell’Abruzzo.
Continuiamo insieme questo viaggio tra storia, cultura e bellezza.
Support Abruzzo Storie e Passioni
Dear readers,
carrying on Abruzzo Storie e Passioni is a commitment driven by passion, research, and the desire to share the most authentic side of our region. Each article is the result of hours spent studying, purchasing books and reference materials, conducting photographic surveys across Abruzzo, and covering the costs of maintaining the WordPress page that hosts the blog.
If you appreciate my work and would like to help me keep it alive and growing, you can support me with even a small donation via PayPal using the email address leo.derocco@virgilio.it
Every contribution, no matter how small, is truly valuable and helps me continue telling the stories, traditions, places, and characters of our wonderful region.
Thank you from the bottom of my heart for your support and for being part of this community of Abruzzo enthusiasts.
Let’s continue this journey together through history, culture, and beauty.
Copyright Testo/Foto/Video – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici – Articolo aggiornato a giugno 2023
Fonti: Museo Archeologico Nazionale Chieti; Comune di Capestrano, Pro Loco Capestrano – Note: 1) Dal Libro dell’Apocalisse: “Ed ecco c’era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. Attorno al trono c’erano ventiquattro seggi e sui seggi sedevano ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni e ardevano sette fiaccole accese, che sono i sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile al cristallo. Attorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e dietro. Il primo era simile a un leone; il secondo era simile a un vitello; il terzo aveva l’ aspetto come di un uomo; il quarto vivente era simile a un’aquila che vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere: Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente.” 2) La raffigurazione di due pavoni reali, o due volatili, oppure due animali fantastici, davanti a una coppa (cantharos) rientra in una diffusa iconografia medievale, simboleggia il rinnovamento spirituale e la Resurrezione.
Articoli correlati, in questo blog:
