Un parco fiabesco, l’Abruzzo magico.

For the English version, please refer to the end of this page

In copertina: Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Tutto fu ambìto
e tutto fu tentato.
Quel che non fu fatto
io lo sognai;
e tanto era l’ardore
che il sogno eguagliò l’atto. (1)


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Immaginate un bosco, un vecchio mulino abbandonato, ponticelli, stagni, ruscelli, sorgenti nascoste tra cespugli che improvvisamente spuntano dal terreno formando laghetti e fiumi con colori che sfumano dal turchese all’azzurro, dall’indaco al verde smeraldo.

Penserete di sognare o di trovarvi nel bel mezzo di un racconto fiabesco, invece siamo ai piedi della Majella, la montagna che gli abruzzesi considerano la loro “madre”, in un parco naturale non molto conosciuto, nonostante sia un’area regionale protetta istituita nel 1987, ma non per questo meno bello: il Parco del Lavino.

Oggi mi trovo nell’entroterra pescarese, vicino Scafa, in una località chiamata Decontra, che facilmente trovate segnalata transitando sulla Tiburtina.


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Parco del Lavino, video aprile 2015 – Leo De Rocco


Il parco è attraversato dal Lavino, un fiume che nasce nel Vallone di Santo Spirito, dal nome dell’eremo fondato nel XIII da Pietro da Morrone, il famoso papa Celestino V che al trono papale preferì i luoghi solitari immersi nella natura della Majella.

Sono venuto qui per fotografare la particolare colorazione delle acque. Ma prima vi devo svelare un segreto, non si tratta di un incantesimo, non ci sono fate né gnomi ma querce, salici, pioppi, aceri e biancospino; eppoi volpi, usignoli, ricci, martin pescatore, faine e…un gatto.

I colori delle acque, combinati con la gamma dei verdi del bosco, formano una tavolozza cromatica che è una gioia per gli occhi e derivano dalla natura sulfurea delle sorgenti.

Durante la mia visita sono stato fortunato perché ho trovato una intensa colorazione e un simpatico gatto che mi seguiva ovunque, tanto da guadagnarsi la copertina di questo articolo. Certo, non è il “Person of the Year” dell’iconica copertina sul prestigioso Time, ma per me è il gatto dell’anno, qui nel magico Lavino tutto è possibile…


Parco del Lavino – foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


All’interno del parco scopro un vecchio mulino del ‘600, abbandonato, (attualmente in restauro), è chiamato il Mulino Farnese.

Il nome rimanda alla storia, ai Farnese, agli Stati Medicei e Farnesiani d’Abruzzo e ai possedimenti abruzzesi di Ottavio Farnese e soprattutto di sua moglie, Margherita d’Austria, figlia di Carlo V, la “madama”, come la chiamavano in Abruzzo, che diede il nome all’attuale palazzo del Senato italiano (Palazzo Madama appunto) in cui abitò dopo la morte del marito, Alessandro de’ Medici, detto Alessandro il Moro, duca di Firenze e in Abruzzo duca di Penne.

Margherita d’Austria visse i suoi ultimi anni nella sua amata Ortona (fino al 1586). Il Palazzo Farnese sulla passeggiata “Orientale” fu costruito per lei da Giacomo della Porta, famoso architetto allievo e amico di Michelangelo.


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Il Parco del Lavino in una suggestiva foto di Lisa Cipollone


L’atmosfera fiabesca di questo parco suscita la fantasia e fa pensare a storie fantastiche e antiche leggende abruzzesi.

Come la storia che fa risalire il nome dei massicci montuosi abruzzesi ad un racconto mitologico. Una leggenda nata dalle antiche religioni pagane dei primi popoli abruzzesi, i Pelasgi, i quali secondo alcuni erano popoli provenienti dalle isole greche dell’Egeo, tra Grecia e Turchia. In seguito, con lo stanziamento in Abruzzo delle popolazioni Italiche, gli antichi riti pagani legati alla venerazione degli dèi confluirono in nuove mitologie.

Ovidio, nativo di Sulmona, definì “Magna Mater” (Grande Madre) la dea Cibele, già venerata nell’antico Medio Oriente come la grande dea della Natura. Cibele diventò poi Maja nei racconti popolari-mitologici e da Maja deriverebbe il nome del massiccio montuoso abruzzese “Majella”.


Ermes mentre si allaccia i sandali – statua in marmo di epoca romana (da originale greco) Museo del Louvre, Parigi – Foto Leo De Rocco


La leggenda racconta la fuga in Abruzzo di Maja e di suo figlio Ermes. Maja era una delle sette figlie di Atlante, le ninfe delle Pleiadi, dalla sua unione con Zeus nacque Ermes.


Sulle dorate coste abruzzesi un giorno naufragarono Maia, figlia di Atlante e moglie di Zeus, e suo figlio Ermes, ferito in battaglia.

Inseguiti dal nemico, i due si inoltrarono nell’entroterra e trovarono riparo tra i monti del Gran Sasso.

Qui, stanchi e provati, caddero in un sonno profondo. Al risveglio Maja trovò Ermes morto e da quel momento non ebbe più pace: adagiò Ermes su una vetta, con il viso rivolto verso la costellazione delle Pleiadi, da allora il Gran Sasso ebbe il profilo di un gigante che dorme.

Tanta fu la disperazione per il figlio morto che, sconvolta e in preda ad un pianto disperato, cominciò a vagare sui monti senza trovare più pace. Il cordoglio e l’angoscia furono talmente grandi, da stringere il cuore della povera madre, fino a farla morire.

Imponenti cortei arrivarono per onorare la dea, portarono vasi d’oro e d’argento e pietre preziose insieme a ghirlande di fiori ed erbe aromatiche.

Da quel giorno, in sua memoria, quella maestosa montagna fu chiamata Majella. La montagna, prese così la forma di una donna impietrita dal dolore riversa su se stessa con lo sguardo fisso rivolto verso il mare.

Nelle giornate di vento e tempesta i pastori abruzzesi odono ancora i lamenti di Maia, quando i boschi e i valloni riproducono il lamento di una Madre in lacrime. (2)


Angizia, Dea Madre della Natura, III sec.a.C. – Museo Paludi Celano – Foto Leo De Rocco



Nel novero delle dee madri protettrici della natura abruzzese figura Angizia. Una dea enigmatica e sfuggente, di lei non si sa molto, forse era la sorella di Circe o di Medea, ma è certo che era venerata in quanto incantatrice dei serpenti velenosi e conoscitrice delle erbe mediche curative. Anche per questo il popolo dei Marsi è ricordato per la diffusa conoscenza tra le sue genti delle erbe curative.

Si racconta che Angizia insegnò alle sacerdotesse, custodi dei culti celebrati dai Marsi, una melodia cantata, accompagnata dal suono dei flauti, con cui venivano ipnotizzati i serpenti.

Sul suo trono in terracotta, risalente al III secolo avanti Cristo, sono raffigurate due meduse che richiamano al greco Mé-dousa, ossia protettrice o guardiana.

Angizia era venerata dai Marsi, l’antico popolo italico stanziato nella Marsica, in un tempio tra i boschi a ridosso del Lago Fucino: il “Lucus Angitiae”, l’attuale Luco dei Marsi.

Spostandoci nel chietino anche qui troviamo dee padrone della natura venerate dai popoli italici, in questo caso i marrucini: la Dea di Rapino, servita anticamente dalle sacerdotesse in una grotta nascosta tra i boschi della Majella, nella quale avveniva la “Prostituzione sacra”. (Per un approfondimento: “La Dea di Rapino”, in questo Blog).

Sulla scia del culto alla Dea Madre, tipica divinità femminile, soprattutto le donne abruzzesi erano le custodi delle antiche conoscenze legate alle erbe, sia curative legate alle prime arti mediche, che attinenti al mondo della magia per sconfiggere sortilegi e il “malocchio”, ma anche come rito propiziatorio di augurio e protezione.

Le mamme, le mogli e le nonne dei pastori, come testimonia lo scultore Costantino Barbella (Chieti, 1853 – Roma, 1925) usavano raccogliere erbe ritenute miracolose in piccoli sacchetti di tela o cuoio chiamato “lu breo“, che i pastori abruzzesi indossavano al collo durante le attività di pastorizia e nei lunghi viaggi effettuati a piedi durante la Transumanza, dai monti d’Abruzzo alle pianure delle Puglie, sulle antiche vie dei tratturi.


Costantino Barbella, il pastorello, terracotta, 1873 – Pinacoteca Barbella Chieti – Foto Leo De Rocco – Il bambino indossa al collo un sacchetto contenente erbe scaramantiche chiamato il “breo”.


Dettaglio – Foto Leo De Rocco


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Chieti – Museo Archeologico Civitella – Dea di Rapino, III a.C. – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Ancora la Majella è protagonista di un altro racconto popolare, una fiaba, un tempo diffusa tra le genti di montagna.

I pastori narravano da tempo immemorabile la storia di una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi, molto amata da un suo coetaneo. I due innamorati si incontravano di nascosto tra i boschi della montagna fino a quando il giovane perse interesse e improvvisamente mancò agli appuntamenti.

La ragazza disperata chiese consiglio alle anziane del paese le quali dissero di cercare tra quei boschi un fiore d’argento: se lo avesse trovato allora il suo amore sarebbe tornato.

E così fece, la ragazza trovò il prezioso e magico fiorellino d’argento e lo mise nella scollatura del suo vestito, vicino al cuore, così come raccomandarono le anziane. Ma un uomo malvagio la vide e la rapì, portandola in una grotta. Quando il ragazzo tornò per cercare la sua amata venne ucciso dall’uomo, la povera ragazza disperata morì di crepacuore.

I pastori raccontano che da allora sul luogo dove morirono i due giovani innamorati, ai piedi del Monte Amaro, la cima più alta del massiccio della Majella, ogni primavera nasce un bellissimo fiore d’argento, ma può essere visto solo da chi ha un’anima buona e prova un amore sincero per qualcuno.


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Flora, dea dei fiori e della Primavera – affresco proveniente da Villa Arianna, I sec.d.C., Stabiae (odierna Castellammare di Stabia) – Museo Archeologico Nazionale Napoli – Foto Leo De Rocco


Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


L’Abruzzo è una terra ricca di racconti mitologici, favole, storie fantastiche e credenze popolari. Come la storia, a quanto pare confermata da numerose testimonianze, di una sinistra figura spettrale, chiamata “Pantafica”, una specie di strega arcigna, che agirebbe nel buio delle camere da letto cercando di rubare il respiro ai dormienti i quali, risvegliati improvvisamente dal peso della strega-pantafica, percepita seduta o distesa sul letto a fianco della vittima, rimarrebbero per alcuni istanti incapaci di muoversi perché immobilizzati.

La strega-pantafica, conosciuta anche nelle vicine regioni delle Marche, del Molise e del Lazio, andrebbe a far visita anche ai bambini, per “rubare loro il respiro”, per questo un tempo ai neonati veniva regalato un rametto di corallo, un prezioso che secondo la credenza popolare protegge i bambini da streghe, malefici e invidia. (Per un approfondimento: “Abruzzo e antichi gioielli, il corallo di Giulianova”, in questo Blog).

Nella zona di Pescocostanzo invece per tenere lontano le streghe veniva posizionato vicino al bambino un amuleto in argento contenente peli di tasso.

Secondo la credenza popolare la furbizia della strega finisce laddove ci sia qualcosa da contare, come appunto i peli del tasso. E, contando contando arriva l’alba, i primi raggi del sole priverebbero così la strega dei poteri malefici.

In altre zone dell’Abruzzo veniva posizionata una scopa di saggina dietro la porta di casa in modo che la strega, distratta a contare uno a uno i fili di paglia della scopa, veniva sorpresa dalle prime luci dell’alba e così svaniva nel nulla.


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David Teniers – Strega all’opera, 1635 – Collezione privata


Un altro racconto narra che anticamente l’Abruzzo era abitato da giganti, precisamente nella zona sud dell’Abruzzo, vicino al Monte Pallano, dove abitavano anche fate e folletti, e nelle cui grotte erano nascosti grandi tesori.

I giganti abruzzesi lasciarono sul luogo la testimonianza della loro presenza: le mura ciclopiche (Mura Megalitiche di Pallanum) oggi all’interno del Parco Archeologico Naturale Monte Pallano, dal nome dell’antica città italica Pallanum.

Si racconta che i giganti del Monte Pallano nei momenti d’ira scagliavano in ogni direzione enormi massi, ancora oggi visibili, come la grande roccia detta la “Murgia” a Gessopalena e quella di Pietranico detta “Pietra di Castello”.


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Pietranico – Pietra di Castello, al centro del paese – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


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Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco


Il Parco del Lavino è uno dei luoghi più suggestivi d’Abuzzo, ideale per trascorrere una giornata rilassante, immersi nel verde e circondati da un bosco che sembra incantato.

Ma ricordate, i colori dell’acqua variano ogni giorno, anche nel corso della giornata. Del resto non poteva essere altrimenti, questo è un parco magico…

Leo De Rocco

Dedicato alla mia cara mamma.


Copyright Testo/VideoTesto – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com


Pictures, it is forbidden to use any part of this article without specific authorisation – Note: 1) Brano tratto dalle Laudi (Maia), di Gabriele d’Annunzio, ed. il Vittoriale, 1939; 2) Dalla traduzione del poeta aquilano Mario Lolli – Foto: (compreso copertina) Leo De Rocco: Parco delle Sorgenti Sulfuree del Fiume Lavino, febbraio e novembre 2015; Celano, aprile 2015; foto Museo del Louvre, Parigi, agosto 2009 – Blogger: Leo De Rocco, per Abruzzo storie e passioni.


English version

The fairytale park

Everything was coveted and everything was attempted. I dreamed about what it was not made; and such was the heat that the dream equaled the act. (1)

Imagine a forest, an old abandoned mill, ponds, springs and small lakes with colours that blend from turquoise to blue, and from grey to emerald green. You will be expecting to stand in the middle of a fairy tale. We are rather at the feet of the Majella, the “mother” mountain of the people of Abruzzo, in a not well-known -but by no means less beautiful- natural park: the Park of the Lavino River.


Lavino Park – Scafa – Abruzzo – Italy – ph Leo De Rocco


The unusual colours of the water of this park are due to the nature of its sulphur springs that generate each day a different colour scenario and a charming atmosphere. Inside the park, one can find an old abandoned mill of the 17th century (currently under restoration). This is the Farnese Mill, the name of which refers to the Farnese family, to the so-called Farnesian states of Abruzzo and to the possessions of Ottavio Farnese and of his wife Margaret of Austria, daughter of Charles V, who lived in Ortona until the year 1586. The park is located near Scafa in the province of Pescara.

The fairy-tale atmosphere of this park arouses the imagination of the visitor and brings to mind fantastic stories, such as old legends, like the one that traces the name of the mountain ranges of Abruzzo back to a mythological tale. A legend born from the ancient pagan religions of the first people of Abruzzo, the Pelasgians, who according to some historians originated from the Aegean islands and Greek mainland. Subsequently, with the arrival in Abruzzo of Italic populations, the ancient rites linked to the veneration of the gods converged in new mythologies. Ovidius of Abruzzo defined the goddess Cybele as “Magna Mater” (=Great Mother), who was already venerated in the ancient Middle East as the great goddess of Nature. Cybele later became Maia in folk and mythological tales. Thus, the name of the Majella mountain derives from Maia.


Hermes while lacing his sandals – marble statue of the Roman era (copy of a Greek statue) – Louvre Museum Paris – ph Leo De Rocco


The legend tells that Maia and her son Hermes fled to Abruzzo. Maia was one of the seven daughters of Atlas, the nymphs of the Pleiades. Hermes was born from her union with Zeus.

One day, Maia, daughter of Atlas and wife of Zeus, and her son Hermes, who was wounded in battle, shipwrecked on the golden coasts of Abruzzo. Pursued by the enemy, they both departed towards inland and found shelter in the mountains of the Gran Sasso. Here, since they were tired, they fell into a deep sleep. Upon awakening, Maia found Hermes dead and by that time, she found no peace: she settled Hermes on a mountaintop, with his face towards the constellation of the Pleiades. By that time, the Gran Sasso has had the profile of a sleeping giant. The desperation for her son’s death was so great, that shocked and suffering from a desperate crying, she began to wander the mountains without finding any more peace. The sorrow and distress were so great, that tightened the heart of the poor mother until bringing herself to death.


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Cybele, pottery statue, Roman era – Marsica Museum, Celano (Abruzzo) – ph Leo De Rocco


Impressive processions came to honour the goddess, bringing her vessels of gold and silver and precious stones along with wreaths of flowers and herbs. From that day and in her memory, that majestic mountain was called Majella. The mountain, thus took the shape of a petrified by grief woman, downed on herself and staring towards the sea. On windy and stormy days, the shepherds of Abruzzo will still hear the cries of Maia, when the woods and dales reproduce the lament of a mother in tears. (2)

Another ancient fantasy tale has the Majella as protagonist. The shepherds who brought their flocks to the heights of the “mother mountain” (Majella) told of a beautiful girl with long blond hair, much loved by one boy of same age. The two lovers met secretly in the mountain woods until the young man lost interest and suddenly missed appointments. The disperate girl asked the old women of the village for advice, and who told her to look for a silver flower in those woods: if she find it her love would come back. And so he did, she found the little silver flower and put it in neckline of her dress, near her heart, as the old women said. But an evil man saw her and kidnapped her and taking her to a cave. When the boy returned to look for his beloved he was killed by the man, the poor desperate girl died of a broken heart. The shepherds say that since then on the place where the two young lovers died, at the foot of Monte Amaro, a beautiful silver flower is born every spring, but it can be seen only by who have a good soul and feel sincere love for someone.

If you want to spend a relaxing day, immersed in greenery, and surrounded by turquoise waters, this place is ideal, but remember: the color of the water is not always the same, but it varies every day and even throughout the day, the rest could not be otherwise, this is a magical park…

Leo De Rocco

Abruzzo storie e passioni 2015


Copyright – All rights reserved – This article and the pictures shown on this website are private. It is thus prohibited to retransmit, disseminate or otherwise use any part of this article without written authorisation. – Footnotes: 1) Excerpt from Laudi (Maia), Gabriele d’Annunzio, Vittoriale publisher, 1939; 2) from a translation of the poet of L’Aquila, Mario Lolli – Photos (including cover): Park of the Sulphur springs of the Lavino River, February and November 2015; Celano, April 2015; photo Louvre Museum, Paris, August 2009, author Leo De Rocco – Blogger: Leo De Rocco / derocco.leo@gmail.com

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