In copertina: San Vito Chietino, Natale 1943, pranzo dei soldati canadesi ‐ Foto scattata dal fotografo canadese Terry Rowe ‐ Dipartimento di Difesa Nazionale Archivi Nazionali del Canada ‐ Sotto: pontile di Francavilla al Mare ‐ Foto Abruzzo storie e passioni

Introduzione
“Ricordi di guerra” è un viaggio nella memoria dell’Abruzzo attraverso le storie di Francavilla e Ortona, luoghi simbolo del fronte adriatico durante la Seconda guerra mondiale. Tra testimonianze familiari, archivi storici e riflessioni, l’articolo si propone di dare voce a chi visse quegli anni difficili, ricordando le distruzioni, il coraggio e la rinascita. Un racconto di emozione e storia, un ponte generazionale tra passato e presente.
L’articolo è diviso in quattro parti, ognuna corredata da una ricca galleria fotografica:
▪︎ Le Sirene di Francavilla
▪︎ La guerra
▪︎ La testimonianza
▪︎ Museo della Battaglia di Ortona
Prima parte
Le Sirene di Francavilla
Com’era Francavilla al Mare prima della Seconda guerra mondiale? Era un piccolo paese collinare affacciato sull’Adriatico, abitato soprattutto da contadini e pescatori. La costruzione della linea ferroviaria adriatica – iniziata subito dopo l’Unità d’Italia ad opera di una società privata finanziata da un banchiere amico di Giuseppe Mazzini – segnò l’inizio dell’urbanizzazione del litorale e la progressiva trasformazione dell’antico paese di Francavilla in una località di villeggiatura. Nasceva così un turismo riservato alle classi medio-alte, la nuova borghesia e la nobiltà.
Mentre il giovane Francesco Paolo Tosti, il celebre musicista di Ortona, muoveva i primi passi della sua carriera tenendo concerti per i lavoratori e i dirigenti della costruenda tratta ferroviaria Francavilla–Ortona, i segni del cambiamento si evidenziarono nel paesaggio urbano: nuove case signorili, villini sul mare e alberghi eleganti sorsero su un viale costruito a ridosso del litorale che prese il nome dal dio del mare: Viale Nettuno.
In quello stesso periodo fu edificato anche un palazzo pubblico, progettato dall’architetto Antonino Liberi, cognato di Gabriele d’Annunzio e fautore della “Città Giardino” a Pescara. L’edificio, in stile Liberty e richiami neoclassici, divenne presto un simbolo identitario della nuova Francavilla. In armonia con il viale, fu chiamato Palazzo Sirena, e decorato con tritoni – i mitici figli di Poseidone – e sirene scolpite sulla facciata, tra colonne corinzie e motivi floreali in stile Noveau. Le decorazioni interne dell’ampio salone furono affidate a Gaetano Paloscia (Terlizzi, 1871 – Pescara, 1942).
Il Sirena fu inaugurato nel 1888 con una grande festa da ballo. Gabriele d’Annunzio affascinato da quell’atmosfera mondana, le dedicò un articolo sul giornale romano La Tribuna, dove intrecciò cronaca e leggenda in una delle sue tipiche invenzioni poetiche. Raccontò l’arrivo del monaco calabrese Franco, giunto in Abruzzo con i suoi confratelli basiliani per sfuggire ai Saraceni. Un giorno, però, il monaco fu tentato da una sirena venuta dal mare di Francavilla. Stava per cedere, quando apparve Santa Liberata, accompagnata da un esercito di angeli che incatenarono la sirena a una galea. Il monaco mantenne il voto di castità e fu proclamato santo; a Santa Liberata venne dedicata una chiesa presso il mare e il paese prese il nome di Franca-villa in suo onore.
Com’era Francavilla ce lo racconta lo stesso d’Annunzio, che in quel 1888 lasciò Roma per trasferirsi dall’amico Francesco Paolo Michetti, dividendosi tra lo studio-atelier che il pittore fece costruire in tufo sulla spiaggia e la casa-convento, comprata da Michetti sulla collina francavillese.
La mia stanza dà su una grande terrazza che si protende sul mare e ha una finestra lunga e ampia che si apre su un quadro meraviglioso di colli e di paesi biancheggianti per la salita. Fra le tende verdi sbattute dal vento appare il mare azzurro popolato di vele rosse. Francavilla è tutta bianca su la collina, fra grandi alberi, fa pensare ad una città moresca. (1)
La Sirena e la “bianca città moresca” saranno completamente distrutte circa cinquant’anni anni dopo, durante la Seconda guerra mondiale. Il palazzo – ricostruito nel dopoguerra insieme alla chiesa parrocchiale di San Franco, in stile tardo razionalista su progetto di Vittorio Ricci – divenne il simbolo della rinascita della cittadina, ma nel 2017 venne demolito per “ragioni architettoniche”. Oggi resta l’ampliamento progettato alla fine degli anni ’90 dagli architetti Ricci, Conte e Moccia, che ospita l’attuale auditorium, una Sirena moderna, sorta dalle onde della memoria.
Tra fine Ottocento e primi del Novecento: Francavilla, crocevia di talenti.
Tra ville e giardini fioriti, signore con ombrellini di pizzo passeggiavano su viale Nettuno, mentre le orchestre suonavano nei caffè all’aperto. Le contadine passavano lente, con sul capo canestri riempiti con i prodotti dell’orto e conche di rame colme d’acqua; poco più in là, il gelataio spingeva il suo carretto, pronto a vendere gelati e granite.
Era il tempo della Belle Époque abruzzese: di pittori e poeti, di Gabriele d’Annunzio e Francesco Paolo Michetti, di intellettuali e artisti che animavano il “Cenacolo Michettiano”, quando Francavilla era un centro di arte, mondanità e bellezza. Come vedremo, il Convento Michetti fu uno dei pochissimi edifici storici che si salvarono dalla distruzione della guerra, insieme al monastero di San Domenico – oggi sede del Museo Michetti MuMi – e a una torre medievale, ormai rudere, detta torre Ciarrapico. Tra le opere d’arte si salvò dalle razzie tedesche il prezioso Ostensorio dell’Assunta, opera datata 1413 di Nicola da Guardiagrele, custodita nella chiesa parrocchiale.
In quegli anni Francavilla era dunque un crocevia di talenti, un piccolo mondo dove pittura, scultura, letteratura e musica sembravano parlare tra loro. Qui era di casa anche un giovanissimo Alessandro Cicognini, nato nella vicina Pescara nel 1906 ma frequentatore di Francavilla fin dall’infanzia. Quel ragazzino talentuoso diventerà uno dei più importanti compositori musicali del nascente cinema neorealista italiano. Colonne sonore di film come Don Camillo e l’onorevole Peppone – nel cui cast appare un altro francavillese, Guido Celano, uno degli attori più prolifici della storia del cinema italiano – Orchidea nera, fino ai premi Oscar Ladri di biciclette e Sciuscià, portano la sua firma. Quando nel 1965 Cicognini decise per motivi personali di abbandonare il cinema, gettò le sue partiture nel fiume Aniene e tornò nella sua Francavilla al Mare.
Un altro compositore abruzzese, già molto famoso in Inghilterra e amico stretto della famiglia Windsor, al punto da essere nominato sir, il citato Francesco Paolo Tosti, spesso sorseggiava una bibita fresca seduto tra i tavolini del Palazzo Sirena. A volte lo si incontrava mentre faceva visita, in compagnia del giornalista Edoardo Scarfoglio e di Matilde Serao, prima donna direttrice di un quotidiano in Italia (Il Mattino), all’amico Gabriele d’Annunzio, che invece amava fare lunghe passeggiate a cavallo sulla spiaggia. All’amante romana, la bella, intelligente e colta Barbara Leoni, con la quale passerà un’estate di passione a San Vito Chietino, il Vate scrive lettere passionali da Francavilla (2):
Il cavallo andava quasi sempre al passo, sbuffando di tratto in tratto e scuotendo il collo. Io mi perdevo nei sogni, nelle speranze, nelle visioni. Dalle siepi saliva un profumo singolare di fiori che non si vedevano. Le colline diventavano violette e trasparenti nell’ombra, sul cielo di perla. Il mare appariva d’un verde chiarissimo, ancor luminoso, come sazio di luce. Lungo i fossati scintillavano le lucciole. Gli stagni qua e là riflettevano il cielo, come specchi pallidi, con un non so che di roseo fluttuante sopra, come un velo vago.Quando ho attraversato la pineta mi sono sentito inebriare dal profumo resinoso. I pini erano immobili; si moltiplicavano intorno agili ed eretti come canne d’un organo.
Gabriele d’Annunzio abitò alcuni anni sul viale Nettuno, in un villino non lontano dal Sirena e dalla residenza estiva della famiglia Pomilio. All’ultimo piano di quest’ultimo edificio c’era un loggiato circondato da alcune colonne corinzie. Anche questi palazzi furono distrutti durante la Seconda guerra mondiale. Alcune colonne appartenute a quel loggiato – elementi dell’architettura neoclassica in voga in quel periodo – le ho ritrovate in un giardino, mentre cercavo i luoghi dove sorgevano gli edifici mostrati nella galleria fotografica. Quelle colonne, silenziose testimoni di un passato elegante ma ormai lontano, sembrano custodire ancora l’eco di una Francavilla perduta, sospesa tra mare e memoria.
Galleria fotografica ‐ prima parte

Francavilla al Mare, resti delle colonne appartenute a un edificio signorile di Viale Nettuno, rimaste in giardino dal dopoguerra – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Un di sportivi della domenica con la moderna versione della bicicletta appena uscita sul mercato, posano davanti al Palazzo Sirena – Archivio storico Giuseppe Iacone

Il salone del Palazzo Sirena – Archivio storico Giuseppe Iacone

Il maestro Francesco Paolo Tosti (il primo a sinistra), seduto davanti al Palazzo Sirena – Archivio storico Giuseppe Iacone

Il Palazzo Sirena, ricostruito nel 1951, durante la demolizione del 2017 ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Francavilla al Mare, agli inizi del Novecento, descritta da Gabrieled’Annunzio: ” la bianca città moresca” – Archivio storico Giuseppe Iacone



Gabriele d’Annunzio nella sua casa di Francavilla al Mare e a cavallo sulla spiaggia, in compagnia di sua moglie Maria Gravina Cruyllas e dalla figlia Renata ‐ Archivio storico Giuseppe Iacone


Viale Nettuno – Archivio storico Giuseppe Iacone

Eleganti signore sulla spiaggia di Francavilla al Mare, inizi ‘900 – Archivio storico Giuseppe Iacone


Francavilla al Mare, una delle prime automobili apparse in paese fa la sua comparsa su Piazza Sirena. Francesco Paolo Michetti è stato uno dei primi cittadini di Francavilla a possederne una – In basso: l’Hotel Minerva e il carretto dei gelati, tra viale Nettuno e il Palazzo Sirena – Archivio storico Giuseppe Iacone


Francavilla al Mare – Hotel des Bains sul Viale Nettuno – a destra: Hotel dei Bagni

Il Convento Michetti (a dx) e la chiesa di Santa Maria delle Grazie – Archivio storico Giuseppe Iacone


Francavilla al Mare – Il centro storico, con elementi architettonici di epoca medievale – Foto in basso: inizi ‘900, maggio, Festa della Madonna delle Grazie, le donne del posto sfilano in processione scalze, sul capo grandi conche di rame e canestri pieni di fiori, pane, dolci e frutta. La processione fu descritta da Gabriele d’Annunzio sul giornale romano La Tribuna – Archivio storico Giuseppe Iacone


Una famiglia borghese in campagna, sul fondo il fiume Alento, si noti la mancanza di edifici sul litorale. La ferrovia era stata costruita, come dimostra il ponte a sinistra – a destra: Le soste durante l’estate di unità della Marina Militare nelle acque di Francavilla, offrivano occasioni di feste mondane e gite in mare. I villeggianti erano invitati a bordo dagli ufficiali – Archivio storico Giuseppe Iacone
Seconda parte
La guerra
L’atmosfera spensierata e colta che aveva animato Francavilla tra fine Ottocento e inizio Novecento cominciò a incrinarsi con il mutare degli eventi politici italiani ed europei. Le tensioni che precedettero la Seconda guerra mondiale trascinarono nuovamente, dopo il primo conflitto mondiale, l’Italia e l’Europa nell’abisso. Com’è noto la guerra iniziò con l’invasione della Polonia da parte della Germania hitleriana il 1° settembre 1939. L’anno prima morì a Gardone Riviera, nel suo lussuoso rifugio del Vittoriale, Gabriele d’Annunzio.
La guerra colpì duramente tutto l’Abruzzo, dal mare alla montagna, da Pescara a Roccaraso, ma fu particolarmente violenta tra Ortona – definita “la piccola Stalingrado” – e Francavilla al Mare. Questi centri, insieme a Orsogna, Lanciano, Gessopalena, Taranta Peligna, Lama dei Peligni, Colledimacine, Castel Frentano, Palena e altri paesi vicini, si trovavano a ridosso della Linea Gustav, la grande linea difensiva che tagliava l’Italia da ovest a est.
La Gustav fu ideata dall’esercito tedesco sul fronte italiano, comandato dal generale feldmaresciallo Kesserling, dopo lo sbarco alleato un Sicilia del luglio 1943 e la successiva avanzata alleata: gli americani, guidati dal generale Patton, risalirono lungo il Tirreno, mentre inglesi e canadesi (insieme ai soldati del Commonwealth), agli ordini del generale Montgomery, avanzavano lungo l’Adriatico. Giunto a Campobasso nel novembre 1943, Montgomery decise di puntare su Roma, attraversando il fiume Sangro per conquistare la dorsale settentrionale del fiume Moro e poi liberare Pescara.
La presa di Casa Berardi
Casa Berardi era una masseria fortificata, situata nelle vicinanze di Ortona, in una posizione strategica sopra un’altura, dominanava il territorio circostante ed era difesa dai tedeschi della Prima Divisione paracadutisti, che opponevano una durissima resistenza contro l’avanzata alleata.
Il 14 dicembre 1943 il Royal Canadian Regiment “Van Doos”, con l’appoggio dei carri armati del Three Rivers Regiment, tutti al comando del maggiore canadese Paul Triquet, decisero di avanzare verso la roccaforte tedesca, sotto il fuoco nemico, in condizioni di fango e gelo. All’alba del giorno seguente, i rinforzi raggiungono gli alleati, Casa Berardi era conquistata e la strada verso Ortona era aperta. “Il nemico è davanti a noi. Detro di noi non c’è nulla” dichiarò ai suoi soldati Paul Triquet, che sarà insignito con la Victoria Cross, la più alta onorificenza britannica.
Dopo la presa di Casa Berardi, la Linea Gustav – in particolare il baluardo ortonese – nell’inverno del 1943 divenne un’ossessione per Hitler, come dimostrano i dispacci militari ritrovati nel dopoguerra: “Die festung Ortona ist bis zum letzen Mann zu alten” – “La fortezza di Ortona dev’essere difesa fino all’ultimo uomo” – recitava un dispaccio del dicembre 1943 firmato “Adolf Hitler”. Fu anche per questo che la Battaglia di Ortona attirò l’attenzione di Stalin e Churchill; quest’ultimo affermò: “Ortona fu la prima grande battaglia per le vie, e da essa imparammo molto.”
“Una piccola Stalingrado“
La celebre definizione, divenuta patrimonio di libri di storia, conferenze e documentari, fu coniata il 22 dicembre 1943 da un corrispondente sul fronte occidentale dell’Associated Press, subito ripresa da altri organi di stampa dell’epoca, come il New York Times:
“The Germans are trying for some obscure reason to repeat a little Stalingrad in the unfortunate Ortona” – I tedeschi stanno ripetendendo per qualche oscura ragione una piccola Stalingrado nella sfortunata Ortona”.
Sulla base alle mie ricerche svolte nell’archivio digitale del New York Times, riporto di seguito l’articolo del 25 dicembre 1943 che riguarda il fronte abruzzese: “In Italia, con l’esercito britannico – 22 dicembre (differito), da Associated Press ‐ Per qualche ragione sconosciuta i tedeschi stanno cercando di mettere in scena una Stalingrado in miniatura nella sfortunata Ortona, una cittadina costiera di 9.000 abitanti. Le truppe canadesi sono impegnate a sparare sui tedeschi dalle finestre, abbattendo le loro barricate, per cacciarli dalle cantine e dalle fogne.”
Due giorni dopo, lo stesso giornale scrisse: “Algeri, 27 dicembre 1943 – Ieri la battaglia di Ortona infuriava ancora sotto la pioggia, mentre i carri armati alleati respingevano gradualmente, uno a uno, gli ultimi difensori tedeschi. A due miglia e mezzo nell’entroterra, unità indiane dell’Ottava Armata britannica strapparono ai tedeschi il villaggio di Villa Grande. A parte gli aspri combattimenti in questo settore del fronte italiano, il maltempo limitò l’attività fino alla costa tirrenica […]
A Ortona, i tedeschi ormai disperati, cercarono di infiltrarsi nell’angolo sud-occidentale da nord-ovest, ma i canadesi li intercettarono e li schiacciarono. Sotto il guscio di roccia su cui è costruita la città, le banchine erano ancora in fiamme. Dalle cantine disseminate di detriti, i cannonieri tedeschi lanciavano ancora una sfida disperata agli implacabili attaccanti.
Villa Grande si trova a circa due chilometri e mezzo sopra la strada trasversale Ortona-Orsogna, su una strada secondaria parallela alla costa che conduce a Miglianico. I soldati alleati che conquistarono il villaggio e catturarono ventotto prigionieri, tra cui tre ufficiali. Sorpresero anche due colonne nemiche supportate da carri armati e le dispersero prima che potesse essere sferrato un contrattacco, mettendo fuori combattimento alcuni carri armati.
Un’azione furiosa si sviluppò attorno a un piccolo incrocio tra Villa Grande e Tollo, che si trova a poco meno di tre chilometri più avanti lungo la strada per Miglianico. Da Tollo, riccioli di fumo indicavano ancora una volta che i tedeschi stavano bruciando prima di fuggire. Sia l’Ottava Armata che la Quinta Armata continuarono a combattere con l’artiglieria e i mortai contro i tedeschi.
Durante il giorno fu annunciato che il Tenente Generale Sir Bernard C. Freyberg, probabilmente il soldato neozelandese più noto, era al comando della Seconda Divisione Neozelandese dell’Ottava Armata. I neozelandesi stavano combattendo nella parte più interna del fianco Ortona-Orsogna.”
A Ortona si consumò dunque una delle battaglie più dure del fronte italiano. Le distruzioni, le vittime civili e i cimiteri con migliaia di soldati – molti dei quali appena ragazzi – restano ancora oggi una memoria viva nel tempo.
Visitando il Moro River Canadian War Cementery, sul promontorio ortonese dell’Acquabella (contrada San Donato), e il Sangro River War Cementery, tra i boschi della Riserva Naturale della Lecceta di Torino di Sangro, capita di leggere nomi e date di soldati poco più che adolescenti. Sono luoghi che esprimono un dolore universale, che il tempo non ha cancellato.
L’iconico scatto del pranzo di Natale del 25 dicembre 1943: Ortona o San Vito Chietino?
In mezzo al dramma e alla disperazione, una fotografia, divenuta nel tempo iconica in Abruzzo e in Canada, restituisce un raro momento di umanità. Lo scatto, realizzato dal soldato canadese Terry Rowe il 25 dicembre 1943 (vedi galleria fotografica), riprende i commilitoni riuniti attorno a tavoli improvvisati in occasione del pranzo di Natale. Una immagine destinata a diventare uno dei simboli più riconoscibili della guerra in Abruzzo. Per decenni la foto di Rowe fu indicata come il “Pranzo di Natale dei Seaforth Highlanders of Canada a Ortona”. Ricerche successive hanno però rivelato che quella scena non si svolse a Ortona, come a lungo si è creduto, ma a San Vito Chietino, su una terrazza vicino al mare.
Anche la testimonianza dell’ufficiale canadese Borden Cameron, addetto al vettovagliamento dei Seaforth e organizzatore, quello stesso giorno, del pranzo di Natale a Ortona, lo conferma. Cameron ricordava come nella cittadina distrutta si fosse pranzato “nella penombra e nell’assenza di energia elettrica; gli uomini erano stanchi e sporchi, consumarono il pasto a lume di candela, ma a tavoli imbanditi con tovaglie preziose, piatti di porcellana e posate d’argento, tutto recuperato nelle case abbandonate dagli ortonesi.” La foto di San Vito Chietino, invece, racconta tutt’altro scenario: tavoli improvvisati con assi di legno, volti sorridenti e barbe appena rasate. Tra la devastazione un frammento di serenità.
Il soldato fotografo Terry Rowe, tragicamente morto nel 1944 durante il conflitto a Nettuno, è stato anche l’autore di un’altra foto simbolica, che ritrae una ragazza di Ortona mentre, affiancata dai suoi fratelli più piccoli, stende i panni tra le macerie della sua casa. Un simbolo di resilienza e di rinascita.
Francavilla al Mare minata dai tedeschi
Tra il 1943 e il 1944, i tedeschi in ritirata minarono ogni angolo di Francavilla al Mare. Case, ville, chiese, palazzi: nulla fu risparmiato. Furono ridotti in macerie il Palazzo Sirena, il Duomo di San Franco con le sue due cupole, l’antica chiesa della Madonna delle Grazie – dichiarata monumento nazionale e meta del tradizionale pellegrinaggio dei vacresi – l’intero viale Nettuno con i suoi villini e gli alberghi, e tutto il centro storico, che conservava ancora alcune tracce architettoniche di epoca medievale. Quelle stesse donne che prima della guerra sfilavano con le conche e i canestri colmi di fiori, pane e frutta in onore della Madonna delle Grazie – le “canefori ateniesi”, evocate da d’Annunzio in un suo scritto – camminavano smarrite tra le macerie delle loro case.
La decisione dei comandanti nazisti di attuare quella crudele “terra bruciata”, rimane ancora oggi un enigma. Forse, come scrisse nel dicembre 1943 un cronista del New York Times, si trattò davvero di una “oscura ragione”. Quale logica strategia poteva giustificare la distruzione totale di un paese privo di obiettivi militari? Non furono colpiti solo ponti e ferrovie, ma deliberatamente minati edifici civili e religiosi, simboli d’arte e cultura, come l’atelier costruito sulla spiaggia dal pittore Michetti.
Forse i tedeschi non volevano ripetere a Francavilla lo scenario di guerra che si configurò nella vicina Ortona, dove la battaglia fu combattuta casa per casa, quindi decisero di radere al suolo il paese. Oppure, carichi d’odio per il cedimento del baluardo di Ortona – la Linea Gustav cadrà definitivamente nel maggio 1944, dopo lo sfondamento alleato a Cassino, cui seguirà a giugno la liberazione di Roma – riversarono la loro rabbia su Francavilla al Mare. Resta il fatto che dal paese “alto” a piazza Sirena e da qui fino al confine con il fiume Alento, in direzione di Pescara, il colpo d’occhio era una triste distesa di cumuli di macerie. L’antico paese di pescatori che si stava trasformando in una moderna località di villeggiatura non esisteva più.
Galleria fotografica ‐ seconda parte

San Vito Chietino, Natale 1943, pranzo dei soldati canadesi ‐ Foto scattata dal fotografo Terry Rowe ‐ Dipartimento di Difesa Nazionale Archivi Nazionali del Canada

Una ragazza stende i panni tra le macerie di Ortona ‐ Foto di Terry Rowe ‐ Dipartimento di Difesa Nazionale Archivi Nazionali del Canada

Dicembre 1943, il Royal Canadian Regiment attraversa Punta dell’Acquabella, sulla Linea Gustav, in direzione di Ortona – Foto Dipartimento di Difesa Nazionale Archivi Nazionali del Canada

“Le Forze armate canadesi attraversano Ortona”, opera di Charles Fraser Comfort, 1944.


Ortona, dicembre 1943 – Foto Dipartimento di Difesa Nazionale Archivi Nazionali del Canada colorizzata a cura della pagina social “Ortona com’era”


1944, donne camminano tra le macerie di Ortona e Francavilla al Mare ‐ Archivio storico Giuseppe Iacone

Francavilla al Mare,, maggio 1944, i Pellegrini di Vacri davanti ai resti della Chiesa della Madonna delle Grazie, meta del loro secolare pellegrinaggio – Archivio storico Giuseppe Iacone



La Brigata Maiella, unica formazione partigiana italiana decorata di Medaglia d’oro al valor militare e alla Bandiera. La Brigata si formò tra i cittadini dei comuni a ridosso della Linea Gustav rasi al suolo dai tedeschi.

Due paracadutisti inglesi della 8^Armata camminano tra le rovine di Gessopalena ‐ Foto Rocolor – A Gessopalena nacque Domenico Troilo, patriota e partigiano, comandante del Corpo Patrioti della Maiella, formazione nata nel 1943 su iniziativa volontaria dei cittadini-Patrioti dei paesi abruzzesi occupati dai tedeschi lungo la Linea Gustav. La formazione confluì nella Brigata Maiella di Ettore Troilo nativo di Torricella Peligna.

Gennaio 1944, un soldato canadese appostato in un edificio di Orsogna – Foto Library and Archives Canada

Ortona: “Il coprifuoco per tutte le truppe alleate inizia alle 21.00” – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Ortona, resti di un palazzo bombardato nel 1943 – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni






Ortona, Moro River Canadian War Cemetery e il Sangro River War Cemetery a Torino di Sangro ‐ Foto Abruzzo storie e passioni

“Dormi sepolto in un campo di grano, non è la rosa, non è il tulipano, che ti fan veglia all’ombra dei fossi, ma son mille papaveri rossi.” Fabrizio De André, dal brano “La guerra di Piero”, un testo contro la guerra.
Terza parte
La testimonianza
Ho scelto queste foto e le storie che le accompagnano per introdurre la voce di chi quegli anni li ha vissuti sulla propria pelle: una cittadina di Francavilla, all’epoca bambina e oggi anziana, che continua ad amare profondamente il suo paese. Si tratta di mia nonna. La testimonianza riguarda un episodio avvenuto a Francavilla al Mare nella primavera-estate del 1944. Cercando nelle fonti locali non ho trovato racconti simili, credo quindi che questo racconto sia inedito. Lo condivido con voi così come mi è stata raccontato:
“Nell’estate del 1944 Francavilla al Mare era ormai distrutta, a causa delle mine tedesche. Un mare di macerie prese il posto di quello che fino ad allora era stato un borgo bellissimo. Prima della guerra venivano qui anche i cadetti dell’Accademia militare, mi sembra quelli di Modena, per trascorrere le vacanze estive. Io ero una bambina, li ricordo passeggiare su Viale Nettuno in uniforme, o ascoltare le orchestrine che suonavano nel tardo pomeriggio.
Tornai a Francavilla con la mia famiglia, dopo dopo lo sfollamento in Toscana. Durante la rimozione delle macerie presso l’istituto scolastico delle suore, sulla parte alta del paese, furono scoperti i resti di due giovani, abbracciati tra loro. I lavori si interruppero subito e grande fu l’apprensione, chi di noi francavillesi mancava all’appello?
Poco dopo, nelle tasche di uno dei due corpi furono trovate alcune lettere: uno scambio epistolare con la famiglia pugliese. Erano le risposte a un giovane soldato che sperava di ritornare a casa.”
Così termina il racconto di mia nonna. I corpi ritrovati appartenevano dunque a due giovani soldati. Durante le concitate vicende seguite all’8 settembre del 1943, i due soldati in viaggio verso sud furono bloccati sul difficile fronte di Ortona. Trovarono così rifugio nell’istituto delle suore, ma quando fu diffuso l’ordine di sfollamento, i due non poterono allontanarsi come gli altri, in quanto indossavano ancora la divisa dell’esercito italiano ed erano considerati dai tedeschi “nemici traditori”. Rimasero così nascosti, sperando di salvarsi, ma la paura e il caos presero il sopravvento. Forse si abbracciarono in un ultimo gesto di conforto, oppure furono scoperti e uccisi sul posto.
I Savoia arrivarono alla salvezza, quei due giovani soldati insieme a migliaia di italiani no. L’8 settembre 1943 fu ufficializzato l’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre. All’alba del 9 settembre 1943 alle ore 5:10 il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il principe Umberto, lo Stato Maggiore, Badoglio e il governo abbandonarono precipitosamente Roma (e l’Italia) al proprio destino.
Fuggirono da Roma con un corteo di sette automobili imboccando la Tiburtina Valeria, direzione Pescara. A Crecchio, piccolo paese in provincia di Chieti, la famiglia reale pernottò una notte nel Castello Ducale, mentre Badoglio e lo Stato Maggiore furono ospitati nel palazzo Mezzanotte di Chieti.
Chissà se il re e la corte dei Savoia transitarono anche davanti alle grotte sparse nei dintorni di Crecchio, dove, da lì a qualche giorno a causa della invasione tedesca trovarono rifugio tante famiglie di Ortona, di Crecchio e di altri paesi limitrofi. Quelle povere famiglie di sfollati rimasero in quelle grotte fin dopo Natale, al freddo e con pochissimo cibo.
La notte tra il 9 e il 10 settembre del ’43, Badoglio e lo Stato Maggiore si imbarcarono sulla corvetta Baionetta dal porto di Pescara; mentre il re e la famiglia reale giunsero al porto di Ortona con automobili “a fari spenti”, come ricordano i pescatori ortonesi, all’epoca giovanissimi, testimoni di quello storico giorno.
Il corteo reale salì quindi sui pescherecci ortonesi per il trasporto fino alla corvetta Baionetta, che attendeva ancorata a largo per la navigazione fino a Brindisi. I testimoni raccontano che sul molo qualcuno gridò più volte “Non più di 100!”, riferendosi al numero massimo di autorità e loro famigliari autorizzati a salpare insieme al re. Si sfiorò la rissa. In effetti non si trovò posto per tutti sulla Baionetta e molti rimasero a terra. Quello sul molo ortonese fu il primo episodio di caos e sbandamento lasciato in eredità all’Italia dai Savoia. Una targa posta sul molo di Ortona (vedi galleria fotografica) ricorda lo storico episodio.
“Da questo porto l’8 settembre del 1943 l’ultimo re d’Italia fuggì con la corte e Badoglio consegnando la martoriata Patria alla tedesca rabbia”
Per comprendere al meglio quei tragici eventi di Francavilla al Mare durante il Secondo conflitto mondiale, riporto di seguito ancora una testimonianza secondo me particolarmente significativa, anche perché si tratta della testimonianza di una suora e si ricollega quindi al citato racconto, i cui fatti si svolsero in una scuola gestita da suore.
Dal diario di una suora di Francavilla, appartenente all’ordine delle Francescane di Gesù Bambino, scritto tra il 1943 e il 1944 tratto dal libro “Kaputt! Francavilla dal Fascismo alla Resistenza” dello storico abruzzese Giuseppe Iacone, edizione a cura di Emidio Luciani:
19 Dicembre 1943. “Lo scoppio delle prime mine ci giunge all’orecchio, dopo aver rincasato dall’essere andate a fare la Comunione. Dopo mezz’ora si seppe che erano state minate la stazione, con il mulino, la Sirena. Ci rianimammo un po’ sperando che passasse il fronte presto. Ma invece incominciò la distruzione della bella Francavilla.”
20 Dicembre 1943. “Questa notte non abbiamo dormito per niente, causa le continue cannonate e il grande fuoco del fronte, che ci faceva vedere come se fosse mezzogiorno. Ci siamo raccomandata l’anima parecchio, a volte sembrava proprio un inferno aperto, ciò nonostante sfidammo il pericolo e andammo ad assistere alla S. Messa, prima della quale ci confessammo, ci prendemmo la Comunione come viatico, mentre gli apparecchi mitragliavano senza sosta. Terminato il forte pericolo, facemmo quasi un km sempre correndo fino a raggiungere le prime case. Verso mezzogiorno arrivammo a casa.”
Galleria fotografica ‐ terza parte

Chieti, Palazzo Mezzanotte – Foto Leo De Rocco

Crecchio, Castello Ducale – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


Porto di Ortona, una targa ricorda il luogo da dove il re e la corte si imbarcarono per fuggire – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni



Francavilla al Mare, estate 1944: i francavillesi ritornati al paese dopo lo sfollamento, alle loro spalle i resti dell’Istituto delle suore dove furono ritrovati i corpi di due giovani soldati – Archivio storico Giuseppe Iacone – nella foto a colori: l’Istituto delle Suore F.Padovano come si presenta oggi – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Francavilla al Mare, 1943-44, quello che rimase del paese alto – Archivio storico Giuseppe Iacone
Quarta parte
Il Museo della Battaglia di Ortona
La memoria non vive soltanto nei ricordi di chi ha vissuto la guerra, ma anche nei luoghi che la custodiscono. A Ortona, città martire della costa adriatica, la storia ha lasciato segni profondi, nel Museo della Battaglia il passato torna a farsi voce e monito, un invito universale alla pace. Nelle sue silenziose sale, tra cimeli, fotografie in bianco e nero, uniformi consunte dal tempo e lettere ingiallite, si respira quel dicembre del 1943, che segnò per sempre la città.
Allestito nell’ex convento di Sant’Anna, il museo ripercorre con precisione le fasi della Battaglia di Ortona combattuta in città dal 20 al 28 dicembre 1943. Fu una lotta casa per casa, che valse alla cittadina la Medaglia d’Oro al Valor civile. Articolato in tre sezioni, sono esposti i reperti bellici raccolti nei dintorni della città, fotografie, gigantografie, riproduzioni di documenti e giornali dell’epoca.
Il Museo di Ortona non è solo un luogo espositivo, ma anche di narrazione. Conserva storie di vita vissuta, piccoli frammenti di umanità emersi dall’orrore della guerra. Tra questi, la vicenda di un gruppo di sfollati che, nell’inverno del 1943, mentre cercava rifugio, fu fermato a un posto di blocco tedesco. Alla vista di una fisarmonica che una giovane portava a tracolla, i soldati le chiesero di suonare qualche nota di Lili Marleen. Tremante, la ragazza acconsentì: suonò poche battute, cercando di seguire il motivo musicale fischiettato dal soldato tedesco. Riuscì così a ottenere il lasciapassare per sé e per i compagni. Quella fisarmonica è esposta nel Museo.
L’importanza della Memoria storica
Ho dedicato uno dei primi articoli di questo blog – fatto di storie e passioni, di impressioni d’occhio e di cuore dell’Abruzzo di ieri e di oggi – alle storie di Ortona e Francavilla al Mare, per rievocare alcune tristi vicende legate alla guerra e tenere viva la memoria di questi paesi che pagarono un prezzo altissimo. Ricordiamo tutte le vittime e i venti cittadini francavillesi trucidati per rappresaglia dai nazisti in contrada Santa Cecilia nel dicembre del 1943.
Narrando la testimonianza inedita, ho voluto onorare quel patrimonio prezioso che è la memoria storica degli anziani. Quando ero bambino trascorrevo le vacanze nella casa dei nonni, nel paese “alto”, chiamato così per distinguerlo dalla “marina”. Furono vacanze spensierate. Ricordo con affetto mio nonno quando, com’era tradizione per chi nasceva nei paesi marini, mi insegnò a nuotare facendomi tuffare dal pontile per guidarmi a nuoto fino a raggiungere le “secche, di fronte al “nuovo” Palazzo Sirena. Mia nonna, invece, mi raccontava quella Francavilla incantata e incantevole che non c’è più; e la mia bisnonna raccontava aneddoti su Francesco Paolo Michetti: “Si ni jev’ spass’ a cavall’ e accimentava le uaglione” – “Andava a spasso a cavallo e corteggiava le ragazze.”
Ma i racconti di famiglia erano spesso velati di tristezza, segnati dalle ferite della guerra. Mia nonna porta ancora dentro di sé il dolore per la perdita della sorella dodicenne, morta a seguito di un bombardamento nei dintorni di Firenze mentre la famiglia era sfollata con altri francavillesi. Quel giorno di primavera del 1944, mia nonna e sua sorella, insieme ad altri bambini, giocavano nel cortile di un monastero quando cominciò l’attacco aereo: una scheggia colpì la sorella di mia nonna, che morì alcuni giorni dopo. Mia nonna perse l’udito per qualche tempo, ma riusci a salvarsi, tornò a piedi dalla Toscana fino a Viterbo, e infine a Francavilla, che non riconobbe: il suo paese era ridotto a un cumulo di macerie. Il nome della sorella di mia nonna, Nella, è incisa nella lapide posta sulla facciata del Municipio, che ricorda i Caduti di Francavilla al Mare durante la Seconda guerra mondiale.
Bisogna conoscere il passato per conoscere il presente e orientare il futuro – Tucidide, storico greco vissuto nel V secolo a.C.
La storia mi ha sempre appassionato. Da bambino facevo mille domande ai nonni e agli anziani del paese, per conoscere aneddoti, usanze, racconti popolari, testimonianze. Anche l’altra mia nonna, quella paterna, vissuta durante la guerra a Chieti – dichiarata come Roma “città aperta” e sede nel 1924, del famoso processo Matteotti – condivise con me i suoi ricordi di guerra. Raccontava di quando due soldati tedeschi malintenzionati iniziarono a inseguirla, e lei, terrorizzata, insieme a un bambino molto piccolo (mio padre), si nascose dentro una casa diroccata. Alla vista del bambino, che mia nonna teneva in braccio, uno dei due soldati tedeschi, in un italiano incerto, disse: “No, bambino, no”, e per fortuna se ne andarono.
I giovani non conoscono la storia, ma noi vecchi la conosciamo – Ignazio Silone, “Fontamara”.
Oggi, passeggiando sul lungomare di Francavilla o sul panoramico “Orientale” di Ortona, è difficile immaginare quel lontano e triste passato. Eppure, dietro ogni palazzo moderno e ogni piazza rinata, c’è una storia di coraggio e ricostruzione.
I giovani camminano dove un tempo si scavava tra le macerie e gli anziani custodiscono ancora nei loro racconti la memoria storica di un tempo che non deve andare perduto.
C’è un filo invisibile ma potente, che unisce passato e presente e ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. Custodire e tramandare la memoria è un dovere che appartiene a tutti noi.
Dedico questo articolo ai miei cari nonni.
Copyright ‐ Riproduzione riservata ‐ derocco.leo@gmail.com – Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo – Note e fonti dopo la galleria fotografica
Galleria fotografica ‐ quarta parte









La chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, San Franco, ricostruita nel 1948 su progetto dell’architetto romano Ludovico Quaroni – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni




































Il Museo della Battaglia di Ortona ‐ Foto Abruzzo storie e passioni
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Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici – Foto contemporanee: marzo 2015, dicembre 2023 Francavilla al Mare; Ortona; Chieti; Crecchio: Leo De Rocco ; Foto storiche: vedi didascalie e fonti – Photo, no use is permitted without authorization – Fonti: “Kaputt! Francavilla dal Fascismo alla Resistenza” di Giuseppe Iacone, edizione a cura di Emidio Luciani; “Francavilla 8/900” di Giuseppe Icone e Umberto Russo, edizione Emidio Luciani 1978; “Le città di D’Annunzio. Erbe, parole, pietre”, Centro Nazionale Studi Dannunziani; “Lettere a Barbara Leoni” a cura di Vito Salierno, Casa Editrice Rocco Carabba 2008 – Note: 1) da “Francavilla evocata da Gabriele d’Annunzio” di Paola Sorge, Centro Sudi Dannunziani 2) da “Lettere a Barbara Leoni” di Vito Salerno, Lanciano, Carabba Editore, 2008; Archivio storico Giuseppe Iacone e Umberto Russo, Francavilla al Mare.
Articolo aggiornato a ottobre 2025.
Appendice
Le foto storiche pubblicate in questo articolo fanno parte dell’archivio fotografico di Giuseppe Iacone e di Umberto Russo, il quale curò anche i testi citati nelle fonti. Ho avuto il piacere di conoscere il professor Russo, scrittore, storico, docente di Letteratura e Filosofia all’Università G. d’Annunzio, autore di numerosi libri e saggi sulla storia della sua città, Francavilla, e sull’Abruzzo.
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Questo scorcio storico, pur nella sua triste molto triste parentesi, ha la felicità della ricostruzione l’impegno dei cittadini e la volontà di volere attuare nuovamente la propria terra distrutta dall’imbecillita’ umana che si tramuta in vera e propria malvagità crudeltà cinismo. Ho ammirato l’altra sera il coro dei bambini della scuola in piazza sulla gradinata e non ho potuto fare a meno di pensare alla forza positiva che scaturisce da questo paese in un mondo sopraffatto dalla paura e dall’odio. Grazie per questo racconto della memoria.
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Gentile Nuccia, grazie per aver letto il racconto e per la sua testimonianza. Leo
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