In copertina: la Fibula di Pizzoli ‐ Foto Abruzzo storie e passioni

Chieti, la facciata posteriore di Villa Frigerj, sede del Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo ‐ Foto Abruzzo storie e passioni
Il Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo è immerso tra le verdi architetture della ottocentesca villa comunale di Chieti. La raccolta è allestita nelle sale di un elegante palazzo neoclassico, costruito nel 1830 per conto del possidente Ferrante Frigerj.
Circa trent’anni dopo, nel 1864, l’edificio fu acquisito dall’allora amministrazione comunale per essere adibito a scuola. Il Museo nacque nel 1959, grazie all’impegno e alla determinazione dell’allora soprintendente archeologo Valerio Cianfarani,
Distribuita su due piani e Inserita in un funzionale percorso museale, ideato nel 2011 e ampliato nel 2014., la collezione richiama ogni anno migliaia di visitatori, attratti in particolare da due opere straordinarie. Se i Bronzi di Riace sono le star del Museo Archeologico di Reggio Calabria, i divi del’Archeologico abruzzese sono senza dubbio l’enigmatico Guerriero di Capestrano e l’ellenistico Ercole Curino.
Come spesso accade a proposito di celebri personaggi storici, come Alessandro Magno e Cleopatra, oggetto di racconti e aneddoti che talvolta sconfinano nella leggenda, anche i “divi” museali non di rado sono protagonisti di fantasie letterarie, scoop giornalistici e racconti ammantati di misteri, che affascinano e incuriosiscono persino gli storici dell’arte.
Alcuni studiosi sostengono che i citati Bronzi di Riace in realtà furono ripescati nel mare abruzzese. Secondo questa tesi una settimana prima del ritrovamento, avvenuto il 16 agosto 1972 a pochi metri di profondità nelle acque cristalline del mare di Riace, alcuni pescherecci calabresi si trovavano a pescare nel mare Adriatico, per la precisione nel mare antistante la città di Vasto.
La tesi è suffragata da alcune testimonianze dell’epoca che confermarono la presenza nel mare abruzzese al largo tra Punta Penna e Punta Aderci (o d’Erce) nei giorni immediatamente precedenti quel fatidico 16 agosto, di due tonnare di media grandezza, muniti di potenti motori e provenienti dal sud. Le imbarcazioni calabresi avrebbero ritrovato i famosi bronzi proprio in questo tratto di costa e solo successivamente, dopo averle caricate a bordo sui loro pescherecci, le avrebbero trasportate a Riace.
Alcuni testimoni locali affermarono di aver visto a Riace uno strano via vai di imbarcazioni nei giorni precedenti il ritrovamento dei Bronzi, che secondo alcune ipotesi (non suffragate da documentazione) sarebbero tre, non due. Il terzo bronzo si troverebbe negli Stati Uniti, nei depositi museali del Getty Museum. Una studentessa italiana anni fa denunciò ai carabinieri di Firenze di aver visto nei depositi del museo americano una statua, insieme a lance e scudi, simili al gruppo statuario di Riace.
Nel 1985, tredici anni dopo l’eccezionale ritrovamento, la vicenda finì addirittura in Parlamento, oggetto di una dettagliata interrogazione parlamentare. Persino lo storico d’arte Federico Zeri (Roma, 1921 – Mentana, 1998), uno dei più autorevoli esperti d’arte del Novecento, ritenne plausibile la presenza dei bronzi nel mare Adriatico.
Zeri ricordò la vicenda dell’Atleta di Fano, un’opera attribuita a Lisippo e datata al IV sec.a.C., ripescato otto anni prima del ritrovamento dei Bronzi di Riace nelle acque marchigiane al largo del Conero, ma finito al Getty Museum di Los Angeles dopo essere stato comprato sottobanco dal miliardario americano Getty. L’allora Soprintendenza della Calabria bollò tutte queste ipotesi come “fantasiose“.
Dèi e Guerrieri
Le suggestioni profuse dalla statuaria classica greca le troviamo anche nel Museo abruzzese. Una statua in bronzo che rappresenta Ercole fu ritrovata nel settembre 1959 nei pressi di Sulmona, durante gli scavi condotti all’interno del tempietto dedicato a Ercole Curino. Considerato uno dei reperti archeologici più importanti d’Abruzzo, la statuetta, alta 29 cm, fu realizzata con la tecnica della fusione a cera persa. La pelle leonina risulta fusa a parte. La composizione delle labbra e dei capezzoli presenta un tenore di rame più elevato.
L’iscrizione in agemina d’argento posta sulla base circolare, fusa in una lega diversa alla statuetta, riporta una dedica al dio Ercole (Eracle per i greci) datata ai primi del I secolo d.C.: “Marcus Attius Peticius Marsus votum solvit libens merito”, formulata da un personaggio appartenente alla gens Peticia, nota dall’età augustea per i traffici commerciali nel Mediterraneo e attestata da altre iscrizioni in area peligna dal I secolo a.C. al IV secolo.
L’eroe nudo è rappresentato stante, appoggiato a sinistra sulla clave da cui pende la leontea. Sulla superficie mossa della pelle ferina si staccano i volumi levigati del braccio sinistro, mentre il destro è piegato dietro la schiena a tenere, nella mano semichiusa e appoggiata al gluteo, i pomi d’oro che Ercole ha raccolto dal melo, nel giardino custodito dalle ninfe Esperidi, dono di nozze della Madre Terra ad Era.
Guerriero di Capestrano
Il Guerriero di Capestrano è la scultura più importante dell’antichità al di fuori della tradizione classica, greca e romana. Anche questa opera suscita da sempre curiosità e stimola ipotesi talvolta clamorose. Non a caso nel 1984 arrivò a Chieti nientemeno che Jacqueline Kennedy Onassis, desiderosa di vedere dal vivo il Guerriero. Si racconta che la famosa first lady disse all’allora direttore del Museo che secondo il suo parere la scultura rappresenta non un guerriero, ma “una guerriera”.
La statua risale al VI secolo a.C. scolpita nella pietra calcarea, è alta oltre due metri. Raffigura, secondo le fonti prevalenti, un principe-guerriero appartenente alle popolazioni italiche pre-romane o immediatamente a ridosso dell’inizio della storia di Roma. Popoli che abitavano l’antica Aufinum, posizionata più a valle rispetto all’odierna Capestrano, vicino al paese di Ofena, laddove la statua del Guerriero fu effettivamente ritrovato. Città dei Vestini, come ci ricorda Plinio il Vecchio, Aufinum dopo le Guerre sociali farà parte della regione augustea Samnium, corrispondente più o meno al territorio compreso tra l’Abruzzo centro-meridionale, il Molise e parte della Campania.
Il Guerriero fu ritrovato nel 1934 da un contadino, tale Michele Castagna, il quale un bel giorno mentre arava la sua terra gli apparve in mezzo alle zolle. Michele capì che si trattava di una statua molto antica e, chiamandolo in dialetto abruzzese “lu mammocce” (il bambinone, il pupazzo), lo esibì ai paesani per alcuni giorni, poggiandolo vicino all’ingresso della sua casa. La notizia del ritrovamento giunse al locale comando dei Carabinieri i quali prelevarono il Guerriero per consegnarlo all’allora Soprintendenza.
L’iconico Guerriero di pietra è diventato un simbolo della regione Abruzzo. Curioso il copricapo, ricchi i dettagli: una spada, un pugnale, un’ascia, eppoi una collana, un pendaglio, bracciali, una maschera che copre il viso e una enigmatica scritta dedicatoria incisa sul pilastrino di sinistra, che da decenni rappresenta un vero rompicapo per gli archeologi.
Di me fece bella immagine lo scultore Aninis per il Re Nevio
Già il fatto che l’autore, il misterioso scultore Aninis, firmi la sua opera è nel VI secolo avanti Cristo una rarità se non una vera e propria unicità. Ma chi è il re Nevio? Un re dei vestini? “Per il re Nevio”, ovvero per conto del re, quindi un suo soldato di rango, un capo guerriero, un principe o si tratta proprio del re? Davvero il vistoso copricapo che ricorda un sombrero in realtà è uno scudo?
E chi rappresenta la Dama di Capestrano? Si tratta dei resti di una statua, anch’essa realizzata in pietra calcarea e ritrovata vicino al Guerriero. È forse una principessa? La compagna del Guerriero?
Il Guerriero di Capestrano è esposto al piano terra del Museo, nella sala intitolata “Al di là del tempo“. L’allestimento, di impatto scenografico, è stato curato dall’artista Mimmo Palladino, il quale ha collocato il Guerriero in un contesto senza tempo che suscita suggestioni visive e sonore.
Al piano terra sono esposte anche le statue antiche provenienti da Alba Fucens. Una sezione è dedicata alla numismatica e alcune sale espongono la ottocentesca collezione dello studioso Giovanni Pansa (Sulmona, 1865-1929), dedicata soprattutto alla raccolta di bronzetti italici votivi prodotti nei santuari sannitici.
Galleria fotografica

L’Atleta di Fano, statua greca in bronzo raffigurante un atleta vittorioso mentre si cinge sul capo una corona di foglie di olivo selvatico, in uso tra gli atleti vittoriosi di Olimpia. Ritrovato da un peschereccio italiano il 14 agosto 1964 nel mare antistante Fano, nelle Marche, l’opera è da decenni oggetto di una controversia giudiziaria tra Italia e Stati Uniti


Vasto, Punta Penna e Punta Aderci (o d’Erce), luogo del presunto ritrovamento ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni




I Bronzi di Riace, Museo Archeologico Nazionale Reggio Calabria ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni blog

Facciata principale e ingresso a Villa Frigerj, Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni





Ercole Curino ‐ Museo Archeologico nazionale d’Abruzzo ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni










Guerriero di Capestrano ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

La Dama di Capestrano ‐ Reperto rinvenuto durante gli scavi archeologici effettuati nella stessa area dove fu ritrovato il Guerriero di Capestrano
Una Venere appena ritrovata


Testa di Venere ritrovata recentemente durante i lavori in piazza San Giustino a Chieti ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Seconda parte
Italici abruzzesi
Negli articoli del nostro blog di storie e passioni d’Abruzzo abbiamo visitato più volte il Museo di Villa Frigerj per raccontare storie e aneddoti che circondano l’iconico Guerriero e il bronzeo Ercole. Non solo, abbiamo conosciuto i Marsi nell’articolo sulla storia del Lago Fucino; i Marrucini nell’articolo sulla “Dea di Rapino”; e altri Italici “abruzzesi”.
In questo articolo, come sempre corredato di una ricca galleria fotografica, scopriremo oltre alle due opere principali del Museo teatino altre importanti reperti, ovviamente non tutti, ma solo una piccola parte della ricca collezione dedicata alle popolazioni italiche stanziate anticamente sul territorio regionale.
Le storie legate alle origini, agli usi e alla vita quotidiana degli antichi popoli dei Vestini, Marrucini, Carricini, Sabini, Frentani, Equi e Marsi sono descritti in un piacevole e istruttivo percorso museale denominato “L’Abruzzo dei Popoli e delle Tribù“, distribuito tra un’area del piano terra e il piano superiore, al quale si accede attraverso una scenografica scalinata. Di seguito riassumo per i lettori i pannelli informativi del percorso museale.
Dai Sabini adriatici ai Pretuzi. Secondo una ricostruzione tradizionale i Pretuzi occuparono un territorio esteso dal mare all’entroterra per circa 40 km. Questa ipotesi viene messa in discussione dopo il ritrovamento delle stele di S.Andrea rinvenute sul Monte Giove, nel territorio compreso tra Penna Sant’Andrea e Cermignano, in provincia di Teramo. Le stele parlano di un territorio occupato dai Sabini.
Le notizie delle fonti, spesso confuse e contradditorie – ad esempio Strabone e Plinio parlano di una estensione dei Piceni fino al fiume Aterno – incrociate con i rilevamenti archeologici, consentono di ricostruire l’area occupata dai Sabini adriatici tra il VI e il IV secolo a.C. delimitata tra il fiume Salinello a nord e del fiume Saline a sud, quindi compreso tra il territorio Picentes e quello dei Vestini.
Non sembra esservi spazio per una grande comunità di Praetutii nel V secolo a.C. o prima, su un territorio abitato a nord dai Piceni e a sud dai Sabini. Dei Pretuzi non vi è traccia nella regione prima della occupazione romana della costa adriatica. Il popolo che occupava la valle del Vomano apparteneva dunque al nucleo centrale dei Sabini adriatici, eredi dell’antica stirpe da cui si erano formate le distinte entità etniche che si riconoscevano nella comune origine sabina. Anche i Piceni, secondo Plinio, rientravano in questo gruppo “Orti sunt a Sabinis voto vere sacro” e ne costituivano il nucleo con l’estensione territoriale più vasta. I Praetutii dunque solo in seno all’ordinamento romano ottennero l’estensione della propria denominazione all’interno del nuovo “ager Praetutianus“.
Il rapporto conflittuale tra Sabini e Romani tramandato dal V secolo a.C. si risolse con la conquista della regione nel 293 secolo a.C., attuata lungo le antiche strade che dal Tirreno raggiungevano l’Adriatico valicando l’Appennino. I tre centri sabini, Reate, Nursia e Amiternum, diventarono prefetture.
La creazione della IV regio Samnium et Sabina in età romana conservò nella denominazione la traccia di una originaria unitarietà delle popolazioni che abitarono nella regione medioadriatica e i territori interni del centro della penisola.
L’etnonimo “Safin” (da “Safinùs, Sabini) compare nelle iscrizioni arcaiche rinvenute nel teramano nonché a Pizzoli (Aq), le quali sembrano dare sostanza alle leggende tramandate dalle antiche fonti letterarie relative ai “Veria Sacra“, le migrazioni rituali primaverili dei giovani in cerca di nuove terre in cui vivere.






L’antica Peltuinum, altopiano di Navelli ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Vestini. Secondo le fonti antiche il popolo italico dei Vestini comprendeva due nuclei geograficamente distinti, collocati nei due versanti del Mons Fiscellus, ovvero il Gran Sasso. I Vestini Cismontani abitavano nel territorio che oggi fa parte della provincia dell’Aquila; mentre il territorio dei Vestini Trasmontani corrispondeva all’attuale provincia di Pescara, con centro principale Penne, l’antica Pinna Vestinorum, e centri minori insediati a Loreto Aprutino (Colle Fiorano), Montebello di Bertona (Campo Mirabello), Città Sant’Angelo, Spoltore, Moscufo.
La forma prevalente degli insediamenti era quella di piccoli villaggi rurali, adatti alle attività legate all’agricoltura e alla pastorizia.
I territori dei Vestini Cismontani si articola su tre unità morfologiche, aree pianeggianti con orientamento Nord-Sud, che in età romana faranno riferimento a tre centri urbani:
– Occidente, a quota 800 m., tra il torrente Raiale e il declivio sottostante Colle Cicogna, si estende la prima pianura con la città romana di Aveia.
– Al centro, a circa 700 m., vi è la cosiddetta Piana di Navelli, il cui lato è scandito dal corso del fiume Aterno. Su un pianoro sorgeva Peltuinum.
– A Est, la terza unità è compresa tra i paesi di Ofena e Capestrano, tra i 300 e i 400 m. slm: sul colle e sulle pendici di S.Antonino si trovava la città di Aufinium. Nel I millennio a.C. queste popolazioni prediligono come luogo di insediamento le alture che cingono le aree pianeggianti.
La città di Peltuinum sorge quasi al centro dell’altopiano di Navelli, tra i massicci del Gran Sasso, del Velino-Sirente e più a est della Maiella, su un pianoro da dove risultava più agevole controllare i traffici commerciali della transumanza. (Su Peltuinum, la Transumanza e le antiche vie dei tratturi rimando all’articolo “”Autunno abruzzese, gli antichi Tratturi “, in questo blog).
L’asse viario principale che attraversa la città fu, dal 47 d.C., la Via Claudia Nova, nel suo percorso di collegamento a Forulis, Aternum e Tirinum, una strada che ricalcava l’antico tratturo.
Livio racconta della guerra condotta dai romani contro i Vestini, per l’occasione alleati con i Sanniti. Sconfitti nel 302 a.C. i Vestini chiederanno una alleanza ai Romani che durerà sino alla Guerra sociale (90 a.C.). Penne diventerà municipium romano e principale riferimento del territorio fino all’Alto Medioevo.
Marrucini e Carricini. Questi popoli occupavano il territorio compreso tra il versante sud-orientale della Maiella e il mare Adriatico. Fino ad alcuni decenni fa questa parte dell’Abruzzo era pressoché sconosciuto agli archeologici, caratterizzato dalla presenza di necropoli e interessanti ritrovamenti archeologici registrati tra Pretoro, Guardiagrele, Pennapiedimonte, Rapino. Un territorio rimasto per millenni isolato, aspro e selvaggio, privo di insediamenti e villaggi, ma attraversato almeno in parte dai tratturi.
I Marsi. Nella variegata geografia politica dell’Abruzzo di età tardo-antica (V-IV sec.a.C.) prodotta dal compimento dei processi di riorganizzazione sociale ed economica che portarono, dall’originaria unità delle genti di stirpe safina che popolavano l’Italia centrale e tanta parte ebbero nella creazione di Roma, alla nascita degli “stati”, i Marsi occupavano i territori a sud del lago Fucino, l’attuale Valle Roveto e una parte dell’alta Valle del Liri.
Poco è noto della loro storia più antica, sappiamo che entrarono in contatto assai presto con la nascente potenza di Roma. Alcuni studiosi identificano l’insediamento marso di Antinum con il “castellum ad locum Fucinum” espugnato dai romani nel 408 a.C., nel corso delle prime operazioni condotte contro i Volsci, ma la città di Civita d’Antino è distante dal Fucino, anche per questo è più prudente datare l’arrivo dei romani in questi territori nei decenni finali del IV secolo a.C.
I Marsi dopo aver sottoscritto un primo “foeudus” con Roma nel 304 a.C., a seguito della disfatta degli Equi, cercarono di difendere l’integrità del territorio minacciata dalla fondazione della colonia di Carsioli, ma furono sbaragliati da Marco Valerio Massimo nel 302 a.C., e costretti ad accettare un nuovo foedus che comportava proprio quelle mutilazioni che avevano cercato di evitare con la loro rivolta. Ad ogni modo Roma controllava la Valle Roveto almeno dal 303 a.C., ad opera dei censori Marco Valerio Massimo e Caio Giunio Bubulco. Da questo momento e fino alla Guerra Sociale ( vedi l’articolo “Alba Fucens”, in questo blog) i Marsi restarono fedeli a Roma.
Frentani. Di lingua osca e affini ai Sanniti, i Frentani occupavano il territorio dell’Abruzzo meridionale, tra le foci dei fiumi Sangro e Fortore, nella parte sud-orientale della Maiella fino al Molise. Valorosi guerrieri i Frentani, e in generale i Sanniti, tennero per lungo tempo testa all’esercito romano fino all’estensione della cittadinanza nel I sec.a.C. allorquando si accelerò il processo di romanizzazione. L’etnonimo “Frentani” deriva da Frentum il nome locale dell’antica capitale Anxanum, l’odierna Lanciano.
La collezione
La seguente galleria fotografica è composta da una piccola parte, appositamente selezionata per questo articolo, della ricca collezione museale – Tutte le foto pubblicate in questo articolo fanno parte dell’archivio Abruzzo storie e passioni

Oinochoe in pasta vitrea policroma, IV secolo.a.C. probabile provenienza siriaca – Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo

Collana con sfere in pasta di vetro blu. Proveniente da Guardiagrele (Ch). I gioielli in pasta vitrea erano considerati dai popoli Italici amuleti. Oltre alla funzione estetica questi gioielli svolgevano anche una funzione apotropaica.

Corazza con tre dischi in lamina di bronzo, IV sec.a.C. Proveniente da Spoltore (Pe).

Colum in bronzo con decorazione sul fondo. Proveniente da Spoltore (Pe)

Stadera, III sec.a.C. – I sec.d.C.

Ornamento del capo composto da una serie di anelli si bronzo su tessuto, borchie di bronzo, due dischi in osso, uno dei quali con bordo in lamina di bronzo, cypree, anelli di bronzo e osso. Proveniente da Loreto Aprutino (Pe).

Alabastron, vasetto porta profumi in vetro policromo. Proveniente da Capestrano (Aq)

Apparato ornamentale formato da pendenti in pasta vitrea, ambra, corallo e bronzo. Proveniente da Caporciano (Aq)

Collana a 9 fili, in bronzo, legno e ambra. Proveniente da Tortoreto (Te).

Pendagli a spirale di bronzo. Proveniente da Tortoreto (Te).

Grani di collana con decorazioni “a occhi” in pasta vitrea policroma, IV sec.a.C. Proveniente da San Pio delle Camere (Aq)

Pendente con volto maschile in vetro policromo e anellino di bronzo, IV sec.a.C. Proveniente sa San Pio delle Camere (Aq)

Pendente a volto maschile in pasta di vetro policromo, seconda metaProveniente da Bazzano (Aq)

Pendagli di bronzo con bulle e anelli, IV sec.a.C. Proveniente da Spoltore (Pe)

Collanina in pasta vitrea. Proveniente da Spoltore


Pendenti a volto maschile in vetro policromo, V sec.a.C. Proveniente da Penna S.Andrea, località Monte Giove (Te).

Collane in pasta vitrea policroma con pendente in ambra. Proveniente da Penna S.Andrea località Monte Giove (Te)

Dadi da gioco, V secolo a.C. Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo


Tabulae patronatus, 335 d.C., reca in lingua sabina il conferimento del patronato su Amiternum a Caio Sallius Pompeianus Sofronius e a suo figlio Caio Sallius Sofronius su Foruli, entrambi membri di una potente famiglia amiternina. Nel testo più antico si ricordano gli interventi di munificenza di Caio Sallio a favore della città, definita “splendidissima”: la riattivazione dell’acquedotto Aquae Arentani e l’offerta di due giorni di rappresentazioni nel teatro cittadino per l’inaugurazione delle terme ricostruite e dotate di porticati e statue. Nella seconda Tabulae si prescrive che la lastra di bronzo sia affissa nella casa del patrono.




La danza delle Menadi. Letto commemorativo in osso intagliato raffigurante una cerimonia dionisiaca con tre Menadi danzanti al suono del timpano, Eros che suona la Cetra e l’immagine di una donna acconciata con la tipica pettinatura all’Ottavia di moda tra le donne aristocratiche tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C.

Frammenti di una lastra in ardesia che riportano incisi, oltre ai consueti schemi geometrici, elementi legati alla Madre Terra, come un grillo e una ghirlanda. Proveniente dal santuario di Ercole a Sulmona.

Fermaglio a palmetta rinvenuto nel santuario di Ercole Curino a Sulmona

Collana in corallo e bronzo. Proveniente da Caporciano [Aq), località Cinturelli.

Collana in ambra con pendente un volto femminile. Proveniente da Caporciano (Aq), località Cinturelli


Statua colossale di Ercole, proveniente da Alba Fucens.

Statua in marmo bianco, raffigura, sul modello greco, un personaggio importante di Alba Fucens

Maestro monetiere al lavoro

Nelle sale dedicate alla numismatica sono esposte le monete coniate ad Atri, considerate le monete cittadine più antiche d’Europa.

Monete d’argento con l’immagine dell’imperatore Adriano, i cui avi erano originari di Atri (Te)

Aquila legionaria, Aquilifer Amiternum, bronzo ritoccato con bulino.


La fibula di Pizzoli. VIII sec.a.C., un bue dalle lunghe corna traina un carro, sul dorso dell’animale appare un uomo che sembra stia guidando un cervo con il muso stretto da lacci. Una seconda figura rappresentata sul carro reca in mano uno scudo e quello che sembra essere uno scettro, davanti a lui un cane con la coda dritta e nella parte anteriore un altro cane sta salendo sul carro.


Collana a due fili con pendenti “a occhiali”, grani di ambra e pasta vitrea. Proveniente da Tortoreto (Te)

Testa femminile forse parte di un vaso, II-I secolo a.C.

La produzione dei vasetti in vetro e dei tubetti “portakohl” inizia nel Mediterraneo orientale nel VII sec.a.C., e prosegue sino al I sec.a.C. la terra di origine dei maestri vetrai sarebbe Rodi, anche se non è da escludere che altre botteghe fossero già sorte tra le coste Ionie e della Siria-Palestina.

Statuetta in bronzo raffigurante il dio Lare, divinità tutelare delle proprietà agricole, della famiglia. Proveniente da Roccascalegna (Ch)

Armille in vetro

Grande fibula di bronzo a quattro spirali con disco centrale lavorato a sbalzo. Proveniente da Guardiagrele.

Mano votiva con serpente, bronzo, età ellenistico-romano, proveniente da Villa Santa Maria (Ch). Il manufatto è dedicato al dio Sebazio, divinità tutelare della vegetazione, ma potrebbe anche rappresentare una “manus déi” benedicente

Vaso d’importazione (Etruria), VIII sec.a.C. Proveniente da Fossa (Aq)


Collana in ambra, VIII sec.a.C. Proveniente da Fossa (Aq)


Collana composita con elementi di bronzo, pasta di vetro e ambra, VIII-VI sec.a.C. Proveniente da Peltuinum

Armi da offesa e vasellame in bronzo, VII-VI sec.a.C. Proveniente da Caporciano (Aq)

Olla quadriansada su alto piede. Proveniente da Molina Aterno (Aq)


Oinochoe con ansa figurata a testa di felino

Manufatti bronzei rinvenuti presso il santuario di Ercole a Sulmona

Stele di Guardiagrele, VII sec.a.C. Si tratta della più antica stele recuperata nel medio-adriatico. Fu rinvenuta tra la frazione di Comino e Bocca di Valle, negli anni ’60 del secolo scorso. Si tratta di un manufatto commemorativo riferito ad un guerriero.


Dolii e olle sono grandi contenitori in impasto di colore arancione raramente decorati, risalenti all’età arcaica, rinvenute in molte necropoli abruzzesi. Contenevano vino, per questo di solito venivano affiancati da “oinochoai” (brocche per versare il vino), calderoni e mestoli, nonché “kantharoi” e “kylikes” (coppe e tazze usate per bere), queste ultime, di origine etrusco-corinzie, e decorate in questo caso con due raffinati cigni, sembrano suggerire l’esistenza di fitti commerci intrattenuti in epoca arcaica con l’area medio-tirrenica, in particolare la città di Vulci.

Pendagli di bronzo lavorati a croce e catenella di anellini in bronzo, VIII sec.a.C. Proveniente da Fossa (Aq)

Collana di pasta vitrea, VI sec.a.C. Proveniente da Caporciano (Aq)


Collana in pasta di vetro e ambra. Proveniente da Capestrano.


Combattimento tra gladiatori, monumento a Lucius Storax, Museo Archeologico Nazionale La Civitella Chieti ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Per il Museo Archeologico Nazionale La Civitella, ubicato sul colle omonimo, non lontano da Villa Frigerj, e incentrato sulla storia dell’antica Teate e dei Marrucini, rimando agli articoli “La Dea di Rapino. Mitologia, storia e tradizioni popolari alle falde della Maiella” e “I Gladiatori teatini di Lusius Storax“. Link. ⤵️
Copyright ‐ Riproduzione riservata ‐ derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici
Fonti: “Terra Italica e altre storie”, 2008, di Valerio Cianfarani, ESA Edizioni Scientifiche Abruzzesi; per quanto riguarda la parte descrittiva e le didascalie elencate nell’articolo ho seguito il percorso espositivo del Museo Archeologico nazionale d’Abruzzo Chieti; infine ho consultato il sito ufficiale del Ministero della Cultura.
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