▪︎ In copertina: Civitaretenga, lavorazione dello zafferano ▪︎ Foto sotto: Civitaretenga, Convento di Sant’Antonio, fiori di crocus appena raccolti e scorci dell’altopiano di Navelli ‐ Foto Abruzzo storie e passioni


Un tempo avere un po’ di zafferano in casa significava avere un lingotto d’oro (1)
Sull’altopiano di Navelli, tra borghi antichi e paesaggi incantevoli, si produce da secoli lo zafferano, conosciuto come l’Oro rosso aquilano. La preziosa spezia, coltivata e lavorata seguendo la tradizione tramandata nel tempo, si ricava dal Crocus Savitus Linneo, un fiore violaceo diventato il simbolo di questo territorio.
Per conoscere la storia dello zafferano abruzzese e vivere un’esperienza immersiva, basta salire tra ottobre e novembre su questo altopiano, per cercare, alle prime luci dell’alba, le violacee infiorescenze sui i campi velati dalla rugiada autunnale e accarezzati dai primi raggi del sole.
Prima però bisogna andare a Civitaretenga, nei pressi del monastero di Sant’Antonio, sull’antico tratturo Centurelle-Montesecco, dove ci aspetta Casa Sarra, dal nome di Silvio Salvatore Sarra, considerato il padre dello zafferano aquilano. Fu lui a fondare nel 1971 la cooperativa Altopiano di Navelli e, insieme a sua sorella Giovannina, a far conoscere anche fuori regione la spezia qui prodotta.
Oggi Casa Sarra è diventata la Casa Verde, frequentata da scolaresche e turisti, dagli amanti del trekking e della buona cucina. L’edificio ospita anche un piccolo museo di storia contadina e una bottega per la vendita dei prodotti tipici del territorio, come ceci e lenticchie, ma primeggia lo zafferano, usato anche per tingere la lana, così come si faceva anticamente.
La coltivazione si concentra in diversi paesi dell’altopiano, oltre a Navelli e Civitaretenga: Barisciano, Caporciano, Fagnano Alto, Fontecchio, Molina Aterno, Poggio Picenze, Prata d’Ansidonia, San Pio delle Camere, San Demetrio dei Vestini, Tione degli Abruzzi, Villa Sant’Angelo.
In questo territorio, dove si incontrano natura, tradizione ed eccellenze gastronomiche, ogni anno si producono in media circa 40 kg di zafferano. Civitaretenga è la sede della Cooperativa Altopiano di Navelli Zafferano dell’Aquila, che tutela questa produzione e ne garantisce la qualità certificata D.O.P.
Metodi antichi
I metodi usati per la produzione dello zafferano aquilano sono gli stessi di secoli fa, senza alcun tipo di intervento meccanico. I bulbi vengono piantati in agosto in un terreno preparato già da marzo, senza utilizzare prodotti chimici, solo materiale organico e una buona aratura. I delicati fiori saranno raccolti in autunno, pazientemente uno alla volta, quando il sole non ancora li fa sbocciare, altrimenti gli stimmi appassiscono, e deve terminare prima che il sole scaldi l’aria.
Dopo la raccolta c’è la sfioritura: vengono separati dal fiore le antere gialle e gli stimmi rossi; questi ultimi sistemati in un setaccio da farina per essere essiccati lentamente sopra un braciere di legno di mandorlo o di quercia. In passato la sfioritura era un compito riservato alle donne, esse usavano cantare canzoni popolari durante la lavorazione, inoltre preparavano sacchetti profumati di zafferano per scambiarli, in occasione delle fiere organizzate sui tratturi, con i gioielli della tradizione orafa abruzzese, destinati al corredo delle spose, i cosiddetti “ori di famiglia”.
Durante l’ultima fase, quella della essiccazione, occorre prestare molta attenzione affinché gli stimmi non superino la soglia della tostatura. Una volta essiccati vengono avvolti in un panno e coperti con un manto di lana di colore scuro, quindi in involucri di carta per alimenti, pronti per essere macinati.
Il prodotto cosi ottenuto conserverà le qualità organolettiche – crocina, picrocrocina e safranale – per oltre dieci anni. Sono necessari 250 mila fiori per ottenere 1 Kg di zafferano. Un ciclo produttivo così laborioso e delicato rende questa spezia la più costosa al mondo. Attualmente per un grammo di zafferano aquilano occorrono almeno 25 euro.
Una storia iniziata migliaia di anni fa
La storia dello zafferano risale a migliaia di anni fa e abbraccia molte culture e continenti. Originario dell’Asia sud-occidentale, in particolare dell’antica Persia, risulta coltivato per la prima volta nella Grecia classica, non a caso tra gli affreschi che decorano le pareti del palazzo di Cnosso è raffigurato un ragazzo intento a raccogliere crocus.
Ovidio, nativo di Sulmona, nelle sue Metamorfosi attribuiva la nascita della spezia all’unione amorosa tra un bellissimo giovane di nome Crocus e una ninfa di nome Smilace. Ma la ninfa era desiderata anche da Ermes, che per gelosia trasformò Crocus in un bulbo, dal quale sbocciò il fiore viola che vediamo oggi. Nelle Ars Amatoria il poeta scrive di “vesti e veli tinti color zafferano.”
Citano lo zafferano anche Omero, Virgilio e Plinio. L’ateniese Isocrate lo usava per profumare i guanciali. Lucrezia Borgia invece per creare riflessi dorati ai suoi lunghi capelli. Le classi aristocratiche ne facevano un largo uso: per preparare profumi, nei bagni curativi, nella preparazione di afrodisiaci, per decorare e profumare letti e biancheria. Lo Za῾farān (giallo), antico nome arabo dello zafferano, era usato anche per profumare i pavimenti, per tingere gli abiti e colorare i vetri.
Il risotto alla milanese “inventato” da un navellese
Un racconto popolare narra che il noto piatto del risotto “alla milanese” nacque alla fine del ‘300 durante la costruzione del Duomo di Milano. Tra le maestranze figurava un navellese che, si narra, avrebbe suggerito di usare lo zafferano non solo per colorare i vetri del duomo ma anche per condire il riso.
Forse si tratta di una leggenda, nei fatti il commercio dello zafferano dell’altopiano di Navelli verso paesi e città lontane, compreso Milano, iniziò proprio nel ‘300. Gli scambi commerciali erano garantiti anche dalle vie tratturali, solcate non solo dai pastori transumanti, ma anche da artigiani, orafi e commercianti che smerciavano tessuti, soprattutto la lana, ma anche la seta e le spezie. Nel ‘500 il valore dello zafferano superava la quotazione dell’argento: ne bastavano 500 grammi per comprare un cavallo.
Frate Santucci e i bulbi nascosti
Secondo la tradizione la coltivazione del crocus sulla Piana di Navelli ebbe inizio intorno al 1200, quando un frate domenicano – membro della famiglia baronale Santucci proprietaria dell’omonimo palazzo che ancora oggi domina Navelli – tornando in Abruzzo portò con sé alcuni bulbi di crocus, pensando che il clima della Piana fosse più adatto a migliorare la qualità della spezia. In effetti quei bulbi trovarono nei terreni e nelle correnti d’aria dell’altopiano un habitat favorevole.
Iniziò così la diffusione dello zafferano aquilano, che conobbe un notevole impulso dopo la nascita della città dell’Aquila, nel XIII sec. Il nome del prodotto già nel 1317 era Zafferano dell’Aquila, così come documentato in un regio diploma con cui Roberto d’Angiò abolì le tasse di esportazione e favorì i commerci di zafferano tra la Piana di Navelli e le grandi città, come abbiamo visto Milano e Firenze, ma anche Venezia, Marsiglia, Vienna, Francoforte e Norimberga.
Lo storico aquilano Buccio di Ranallo (1294 – 1363) scrisse che una delle famiglie più ricche di quel periodo erano i Notar Nanni, originari di Civitaretenga, frazione di Navelli. Ilpersonaggio di spicco della famiglia, Jacopo di Notar Nanni, proprietario di uno storico palazzo all’Aquila, diventò ricchissimo grazie alle attività legate alla transumanza e al commercio di lana, seta e zafferano. Amico di San Bernardino da Siena, sarà lui a finanziare, insieme alle donazioni di Covella, contessa di Celano, la costruzione del mausoleo di San Bernardino, nella Basilica di San Bernardino da Siena a L’Aquila, capolavoro rinascimentale di Silvestro dell’Aquila.
Civitaretenga
La casa natale di Jacopo Notar Nanni si trova a Civitaretenga (vedi galleria fotografica). L’edificio, attualmente in restauro a seguito del terremoto del 2009, è posizionato non lontano da una torre medievale del XIII sec. (anch’essa danneggiata dal sisma), nel cuore di un quartiere storico, parte dell’antico borgo fortificato e vero e proprio gioiellino architettonico: il Ghetto ebraico, costruito tra il XIV e il XV secolo tra Via Giudea e Piazza Giudea, luoghi denominati dopo l’editto di espulsione emanato nel 1510 dal Regno di Napoli: Guidea.
La documentazione storica di questi eventi la ritroviamo anche passeggiando nel “Ghetto”, dove l’incisione murale riferita a un Patriarca ebreo è affiancata al tristagramma “IHS” di San Bernardino da Siena.
Gli edifici erano tutti comunicanti, caratteristica che faceva sembrare il quartiere come una piccola fortezza autosufficiente. Ci sono piazzette, archi, finestrelle e grotte, nelle quali gli ebrei, notoriamente abili negli affari, usavano accantonare grandi quantità di lana e grano, che poi commerciavano con il sistema del prestito.
Navelli
Il paese arranca sul fianco del colle brullo che guarda mezzogiorno. In alto il castello, giù la chiesa dell’XI secolo, da dove cade alla piana un volo plumbeo di colombi, e le case piccole e in pietra. I terreni scoscesi sono coltivati ad olivo e mandorlo, quelli in piano a frumento e vigna. È anche diffusa la coltivazione dello zafferano, che compri al tuo delicatessen shop. […] La piana è disseminata di graziose chiesuole, costruite tutte intorno all’XI secolo; sono abbandonate e i pastori vi ricoverano le greggi. I muri interni sono affrescati e nella penombra si ha l’impressione che le pecore escano dagli affreschi.
Sono brani tratti dal libro Epistolario collettivo di Gian Luigi Piccioli, un libro fondamentale per capire la storia di questi luoghi e delle sue genti. L’autore, attraverso testimonianze epistolari, racconta le voci degli abitanti di Navelli dall’Unità d’Italia ai primi anni Settanta del ‘900. Scrittore e saggista, nato a Firenze nel 1932, Piccioli aveva origini abruzzesi, la sua famiglia era di Navelli.
Navi e spiagge
Il toponimo Navelli fa pensare a una piccola nave, che in effetti è disegnata sull’antico gonfalone del Municipio. Ma cosa ci fa una nave flottante sul mare in un luogo prettamente montano? Ci troviamo a ridosso del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Durante le mie ricerche nella biblioteca comunale scopro inoltre che il paese è diviso in due parti, una medievale e l’altra rinascimentale, chiamate rispettivamente: “spiagge grandi” e “spiagge piccole”. Un gioco di parole e di simboli: che rompicapo!
Forse la chiave di lettura si trova nella iconografia dello stemma che nel rappresentare “una nave flottante nel mare” probabilmente ricorda che in passato molti navellesi partirono da qui per raggiungere la costa e imbarcarsi per partecipare alle Crociate. Del resto la vicina Capestrano diede i natali a Giovanni da Capestrano, frate francescano e santo, ma anche soldato e addirittura comandante di una Crociata, quella contro gli ottomani del sultano Maometto II (1432 – 1481) durante l’Assedio di Belgrado” (1456), tre anni dopo la caduta di Costantinopoli. Un racconto diffuso tra i navellesi invece fa risalire il nome del paese a un “piccolo lago, che anticamente si trovava sulla piana”.
Un territorio ricco di zafferano ma anche di arte e storia. Nei pressi della chiesa di Santa Maria in Cerulis. costruita sui resti di un antico tempio pagano, fu rinvenuta una iscrizione lapidea in lingua vestina dedicata a Hercules Iovius. Il reperto è custodito nel Museo Archeologico di Napoli. Si tratta di una dedica di ringraziamento che la famiglia di un certo “T. Vezio” rivolse – a titolo di “dono” per l’aiuto ricevuto – al dio Ercole Giovio, ovvero l’Ercole italico che proteggeva la proprietà dei confini e della famiglia.
L’Abruzzo è un grande produttore di silenzio (2)
Perdersi tra i silenziosi vicoli di Navelli è come fare un viaggio nel tempo. Su un’altura che domina l’altopiano il paese sembra incantato in un lastricato di pietre antiche che prendono la forma di stradine, scalinate, case medievali, archi gotici, loggiati rinascimentali e torri.
Sul punto più alto del paese si ammira un panorama mozzafiato, che abbraccia l’altopiano dello zafferano, con i campi coltivati come colorati mosaici, dominati dal silenzio e dal vento. I navellesi stanziali si concentrano nella zona della piazza principale del paese, dedicata a San Pelino.
La Piana di Navelli è uno dei luoghi più interessanti d’Abruzzo, visitare i suoi borghi ricchi di arte e storia, passeggiare tra i suoi tratturi millenari e partecipare alle fasi della lavorazione dello zafferano, un rito antico fatto di mani pazienti e profumi intensi, è l’essenza del turismo esperienziale.
Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo ‐ Note e fonti dopo la galleria fotografica
La Raccolta








La Sfioritura





Essicazione









Altopiano di Navelli, Civitaretenga, produzione dello zafferano aquilano, stagione 2023 – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Un fiore di crocus appena sbocciato sulla Piana di Navelli – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Statua di Hermes al Louvre – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Milano, Biblioteca Ambrosiana, teca con ciocca di capelli di Lucrezia Borgia – Foto Raffaele Pagani

Il Palazzo Santucci a Navelli – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Libro d’ore, 1490 – 1504, appartenuto alla famiglia Notar Nanni – Miniature e decorazioni su pregiata pergamena – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Civitaretenga














Civitaretenga – il ghetto ebraico – la casa puntellata è quella della famiglia Notar Nanni, nel dettaglio lo stemma con la “N” rovesciata – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Navelli



Navelli, l’area della piana dove, secondo alcune fonti, ci sarebbe stato “un lago”; stemma di Navelli con la “nave flottante nel mare” – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni





Altopiano di Navelli, nell’ordine: cippo del Tratturo del Re – Chiesa di Santa Maria de’ Centurelli in località Caporciano – Chiesa di Santa Maria delle Grazie in località Civitaretenga – chiesa di Santa Maria in Campo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni



















Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni


Navelli in due suggestive immagini di Lyon Corso Photograph (Instagram)

Piana di Navelli, chiesa di Santa Maria in Campo – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
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Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo – Foto, compreso copertina, Navelli, 2015 e 2023; Civitaretenga 2022 e 2023; L’Aquila, 2022; Parigi, 2009 – Note: (1) Frase attribuita a Giovannina Sarra; (2) in “Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli, di Pino Coscetta, Solfanelli editore, 2012 – Fonti: Archivio Biblioteca del Comune di Navelli; “Epistolario collettivo”, di Gian Luigi Piccioli, Bonpiani 1973; Cooperativa Altopiano di Navelli Zafferano dell’Aquila D.O.P.; Fondazione Silvio Salvatore Sarra; “Abruzzo Cultura e Letteratura, dal Medioevo all’Età Contemporanea” di Gianni Oliva e Carlo De Matteis. Casa Editrice Carabba 2020; “Lo Zafferano. Origine, coltivazione, usi culinari”, di Neda Accili Salutari, Edizioni Annulli – Ringrazio per l’ospitalità la gentile signora Dina, Fondazione Sarra, Casa Verde, Civitaretenga.
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