La Battaglia di Tagliacozzo

In copertina: Madonna della Vittoria, chiesa di Santa Maria della Vittoria, Scurcola Marsicana – Foto Abruzzo storie e passioni

Piani Palentini visti dal borgo medievale di Albe – Foto Abruzzo storie e passioni

Foto in basso, a sinistra: Corradino di Svevia, 1845, Pietro Schoepf, su modello di Torvalsen Bertel, chiesa del Carmine, Napoli – a destra: Carlo d’Angiò, 1277, Arnolfo di Cambio, Musei Capitolini, Roma.

“Il leone artigliò l’aquilotto ad Astura, gli strappò le piume e lo decapitò” (1)

Nei precedenti articoli dedicati alla Marsica abbiamo scoperto parte del suo ricchissimo patrimonio artistico, archeologico e paesaggistico, con le storie narrate a Celano, Pescina, Ortucchio, Luco dei Marsi, Alba Fucens, Albe, Massa d’Albe, Rosciolo dei Marsi, Avezzano, Tagliacozzo, fino a Capistrello, a ridosso del confine con il Lazio.  (Link al termine di questo articolo)

Abruzzo storie e passioni, impressioni d’occhio e di cuore, oggi approda nei Piani Palentini, sui quali si affacciano altri paesi marsicani, come Cappelle dei Marsi, Magliano dei Marsi, Sante Marie, Scurcola Marsicana. Proprio tra Scurcola, Albe e Magliano, benché il nome per dantesca memoria rimandi a Tagliacozzo, il 23 agosto 1268 si svolse la Battaglia di Tagliacozzo, una delle più importanti della storia italiana. I protagonisti di quella battaglia furono due principi, uno arrivato dalla Baviera, di nome Corrado, talmente giovane, 16 anni, da essere chiamato Corradino e l’altro, più che giovane superbo, figlio del re di Francia Luigi VIII, battezzato col nome di Stefano, ma successivamente chiamato Carlo per discendenza carolingia.

Il nome “Palentini” probabilmente deriva da “Pale”, una divinità romana venerata quale protettrice del bestiame e degli allevatori. Dopo la fondazione della colonia romana di Alba Fucens nel 304 a.C. l’area di questa pianura venne assoggettata dai romani alla “centuratio”, ossia la realizzazione di reticoli, canali di irrigazione e strade per sostenere i nuovi coloni, spesso ex legionari, nelle loro attività agricole e di allevamento.

I Piani Palentini furono dotati anche di un acquedotto, costruito non molto tempo dopo la realizzazione, tra il 41 e il 52 d.C., dei cunicoli scavati nel monte Salviano, voluti dall’imperatore Claudio nell’ambito del progetto ingegneristico che prevedeva il parziale prosciugamento del Lago Fucino, all’epoca, e fino all’intervento di Alessandro Torlonia nel 1878, il terzo lago più grande d’Italia.

Corona di Costanza d’Altavilla, dettaglio, tesoro della Cattedrale di Palermo – Foto Leo De Rocco

Come abbiamo visto, negli articoli dedicati al romanico abruzzese, in particolare “I libri di pietra di Nicodemo, Roberto e Ruggero” e “I gioielli del Velino”, l’Abruzzo dal 1130 entrò a far parte del Regno di Sicilia, sotto il primo re, il normanno Ruggero II d’Altavilla. Sua figlia Costanza, sposata con Enrico VI di Svevia, sarà l’ultima regina siciliana degli Altavilla. Il 27 settembre 1198, dopo tre anni di reggenza, il trono passò a suo figlio Federico II, della dinastia Hohenstaufen.

I rapporti tra lo Stupor mundi e il papato non fu idilliaco. Una vecchia storia. Il papato, che considerava tutto il sud Italia un suo feudo, non vide mai di buon occhio l’integrazione pacifica con gli arabi dell’ex emirato siciliano promossa dal normanno Ruggero II. Le cose non cambiarono con la salita al trono, ovviamente senza l’investitura papale, di Manfredi di Sicilia (1258-1266), anche lui scomunicato per le sua idea di unire tutto il territorio italiano sotto un’unica corona, la sua.

Clemente IV, tra una scomunica e l’altra, intensificò i rapporti con Carlo I d’Angiò, già inizati dal precedente papa Urbano IV, per favorire un intervento armato delle truppe francesi, una vera e propria crociata, contro gli Svevi e assegnare così la Corona agli angioini. I primi risultati furono l’incoronazione nel 1266 in Laterano di Carlo d’Angiò come nuovo re legittimo di Sicilia e la Battaglia di Benevento combattuta nello stesso anno, che portò alla sconfitta di Manfredi di Sicilia.

Il nipote di Manfredi, Corradino di Svevia, erede degli Hohenstaufen, nella primavera del 1268 decise di riconquistare il Regno di Sicilia, Ad agosto si stabilì con il suo esercito nei pressi di Scurcola Marsicana, mentre Carlo d’Angiò e le sue truppe arrivarono probabilmente da sud, dalla Puglia, visto che a Lucera l’angioino era già impegnato a combattere le ultime resistenze islamiche, come da raccomandazioni del papa.

La Battaglia di Tagliacozzo tratta dal Chronicon di Carlo VI, Archivio digitale Galica Francia.

Corradino di Svevia e suo cugino Federico I mangravio di Baden, 1300-1340, Codex Manasse, Biblioteca Universitaria di Heidelberg

Corradino di Svevia giustiziato a Napoli, seconda metà del XIII sec. Giovanni Villani, Biblioteca Vaticana

Piani Palentini – Foto Leo De Rocco

La battaglia sui Piani Palentini iniziò la mattina del 23 agosto 1268 nei pressi del fiume Salto. Dopo il primo scontro fu chiara la vittoria di Corradino, ma Carlo d’Angiò, consigliato da Aleard de Valery, un militare reduce dalle Crociate ed esperto di strategie di guerra, mantenne nascosto un reparto di cavalieri e nel momento opportuno, alcune fonti raccontano dopo aver fatto credere che lui stesso rimase ferito o morto, attaccò a sorpresa i soldati di Corradino, rimasti fino a quel momento convinti della vittoria e per questo rilassati e stanchi, alcuni senza più le pesanti armature addosso.

Corradino si salvò e fuggì verso il Lazio, giunto nei dintorni delle paludi Pontine pagò un barcaiolo con il suo prezioso anello regale per poter attraversare le acque paludose. Corradino era coraggioso e valoroso, ma pur sempre un adolescente, quella ingenuità giovanile la pagò molto cara.

Il barcaiolo lo tradì, portò l’anello recante i simboli del Casato di Svevia al locale feudatario, tale Giovanni Frangipane, il quale, dopo aver invitato Corradino e il suo seguito nel suo castello di Astura, lo rinchiuse in una torre per consegnarlo a Carlo d’Angiò e ricavarne denaro o comunque favori. Corradino fu quindi condotto a Napoli dove fu sommariamente processato e decapitato il 29 ottobre 1268 insieme ai suoi compagni, aveva compiuto 16 anni. Il papa ufficialmente non mostrò di essere d’accordo a quello che fu un processo sommario e alla conseguente esecuzione, ma lasciò fare, l’mportante è aver trascinato il Regno di Sicilia nella fazione guelfa.

La battaglia dunque si concluse con la vittoria di Carlo d’Angiò grazie ad una furbizia e la perdita della testa, nel vero senso della parola, del giovane principe per colpa di un traditore.

Quella furbizia fece storia, tanto che Dante Alighieri la ricorda nel XXVIII Canto dell’Inferno, creando, suo malgrado, l’equivoco sul territorio marsicano interessato alla battaglia: tra  Scurcola Marsicana e Albe, non a Tagliacozzo.

“E là da Tagliacozzo, ove senz’armi vinse il vecchio Alardo”

Lasciando intendere che nell’epoca medievale vincere “senz’armi” significava violare il codice d’onore cavalleresco. La citazione a Tagliacozzo è ricordata sulla facciata della chiesa di Santa Maria del Soccorso.

Massa d’Albe, borgo medievale di Albe – Foto Abruzzo storie e passioni


Carlo d’Angiò non perdonò agli abitanti di Albe medievale, sorta sul colle di San Nicola, a ridosso dell’antica Alba Fucens, di aver patteggiato per Corradino e per ritorsione bruciò borgo e castello, i cui resti sono oggi visitabili grazie a un attrezzato e panoramico percorso turistico.

In compenso, qui entriamo nel campo della tradizione e dei racconti popolari, donò a titolo di “grazia ricevuta” una statua raffigurante la Madonna con Bambino, si narra ricevuta dal fratello, Luigi IX di Francia detto “il Santo”, che a sua volta la riportò dalla Terra Santa.

Anche se in verità le date non corrispondono alle fattezze stilistiche della statua, in quanto Luigi il Santo tornò dalla Crociata nel 1270 e la statua probabilmente fu realizzata alla fine del ‘200, se non addirittura nel secolo successivo, a noi interessa il significato simbolico dell’opera e i risvolti politici e religiosi dell’epoca.

La Madonna della Vittoria, oggetto di un recente restauro, oggi domina l’altare del Santuario di Santa Maria della Vittoria a Scurcola Marsicana, ma un tempo era collocata nell’abbazia omonima, voluta nel 1274 dall’angioino per celebrare la conquista del Regno di Sicilia.

Due furono le vittorie conseguite da Carlo d’Angiò per la conquista del Regno, Benevento e quella decisiva di Tagliacozzo, e due saranno le chiese abbaziali cistercensi che il d’Angiò farà costruire per simboleggiare quella conquista, baluardi angioini nel centro-sud Italia. Entrambe videro la prima pietra posata nel 1274: l’abbazia di Santa Maria di Realvalle a Scafati, in provincia di Salerno e l’abbazia di Santa Maria della Vittoria a Scurcola Marsicana.

Più o meno lo stesso destino segnerà il decadimento e l’abbandono delle due abbazie angioine, ossia il nuovo assetto politico e il terremoto del 1456. In realtà le carte in tavola incominciarono a cambiare già dal 1282 con i Vespri siciliani che riportarono una Hohenstaufen sul trono dell’isola, Costanza II, cugina di Corradino di Svevia e moglie dell’aragonese Pietro I.

Costanza II di Sicilia, 1530, Antonio d’Olanda – British Library

Scurcola Marsicana, Santuario di Santa Maria della Vittoria – Foto Leo De Rocco

L’abbazia di Santa Maria della Vittoria è stata l’ultima delle cinque abbazie cistercensi in Abruzzo, dopo Santa Maria Casanova, fondata nel 1191 per volere dei Conti di Loreto Aprutino; Santa Maria Arabona (1197); Santo Spirito d’Ocre (1248); San Vito e San Salvo (1255).

Come cinque furono le abbazie cistercensi prigenie francesi dopo la prima, quella di Cîteaux (dal latino Cistercium), fondata nel 1098 da Roberto di Molesme tra boschi e cespugli di rose selvatiche (cistels) della Borgogna.

La costruzione ebbe inizio nel 1274, i lavori si conclusero nel 1282. Nel mentre Carlo d’Angiò fremeva, desiderava vedere il prima possibile un pezzo del suo omonimo ducato francese in Italia, e così a lavori non ancora ultimati fece arrivare dalla Francia i primi monaci cistercensi nel 1277. La consacrazione ebbe luogo l’anno dopo, durante il mese mariano.

I monaci cistercensi cedettero il posto ai benedettini in concomitanza dell’avvento degli Aragonesi, nel XV secolo. Dopo il terremoto del 1456 l’abbazia fu progressivamente abbandonata. La nuova chiesa di Santa Maria della Vittoria fu costruita nel 1525 nella parte alta di Scurcola Marsicana.

La statua lignea di Santa Maria della Vittoria, creduta scolpita nel legno di ulivo ma, secondo un recente restauro, è invece di pioppo, è datata tra il XIII e il XIV secolo. Lo stile ricorda il gotico francese. Come accennato sopra, la tradizione racconta che la statua fu donata da Carlo d’Angiò in persona e che il re nel 1278 avrebbe anche presenziato alle solenni celebrazioni per la consacrazione della chiesa di Santa Maria della Vittoria annessa al monastero cistercense.

La statua, sempre secondo i racconti popolari, sarebbe stata nascosta in concomitanza dell’abbandono da parte dei monaci del cenobio cistercense di Scurcola, ma una contadina del luogo o, secondo altre fonti, di Tagliacozzo, dopo un sogno premonitore ritrovò nei pressi dei ruderi dell’abbazia la statua integra racchiusa in una cassa di legno.

Più umile, senza abbazie e sacre statue donate per ex voto e gloria, il ricordo lasciato ai posteri da Corradino di Svevia. Sul luogo dove fu decapitato, piazza del Mercato a Napoli, per pietas fu posta una piccola colonna sormontata da una croce. Nel 1351 un artigiano locale fece erigere una cappella in memoria, chiamata Santa Croce,

Le spoglie del giovane principe sono conservate nella chiesa di Santa Maria del Carmine. Soprattutto nell’Ottocento, tra atmosfere pregne di romanticismo, nostalgie per l’amor cortese e galanterie cavalleresche, il ricordo di Corradino diverrà quasi un mito, non a caso Massimiliano II di Baviera commissionò allo scultore danese Bertel Thorvaldsen, un monumento dedicato a Corradino, realizzato poi dallo scultore Pietro Schoepf.

Nel 1943 i nazisti misero gli occhi su quella statua per cercare di trafugare i resti del giovane Svevo, e nel farlo causarono non pochi danni alla chiesa, ma andarono via a mani vuote grazie al custode, padre Elia, che con scaltrezza riuscì a far fallire le ricerche dei tedeschi. Quella volta per fortuna la furbizia non fu traditrice.

Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com – Note/Fonti: 1) Scritta sulla colonna commemorativa dedicata a Corradino di Svevia, piazza del Mercato, Napoli; “Abbazie e monasteri cistercensi in Abruzzo”, 1995, Luigi Mammarella, Adelmo Polla Editore; “Le chiese di Napoli”, 2004, Vincenzo Regina, Compton editore Napoli.

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