In copertina: Madonna con Bambino tra San Francesco e Santa Chiara, 1641, Francesco Barbieri detto il Guercino ‐ Pinacoteca di Parma.


Madonna con Bambino tra San Francesco e Santa Chiara, 1641, Francesco Barbieri detto il Guercino ‐ Pinacoteca di Parma –

Pescara, cattedrale di San Cetteo, Adorazione del Crocifisso, 1649, Francesco Barbieri detto il Guercino – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Santa Chiara, XIV sec., Simone Martino, Basilica inferiore Assisi
Memore del tuo proposito, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. Santa Chiara (1)
Prima parte
Sulle tracce di Santa Chiara
Nell’articolo Sulle tracce di San Francesco avevamo appena accennato alla figura di Santa Chiara, sua amica e compagna spirituale. Non certo per trascuratezza: un approfondimento sulla sua importante figura era già in programma.
Chiara d’Assisi, donna intelligente, colta e determinata, continua da secoli ad affascinare storici e artisti, scrittori e registi, pur rimanendo spesso in secondo piano rispetto a Francesco. Lo dimostra anche il celebre film di Franco Zeffirelli Fratello Sole, sorella Luna, dove la sua presenza è più evocata che raccontata.
Una rilettura più attenta è offerta da Liliana Cavani nella miniserie televisiva Francesco (2014), dove Chiara è interpretata da Sara Serraioccco, abruzzese, nata a Pescara nel 1990. La regista aveva già realizzato nel 1988 il film Francesco, interpretato da Micky Rourke, scegliendo di girare molte scene tra i monti del Gran Sasso, paesaggi che aveva scoperto quindici anni prima, durante le riprese di Milarepa, tratto da un testo tibetano del XII secolo: “Andai in Abruzzo, verso il Gran Sasso, dove ci sono stupende vallate. Il posto adatto per raccontare il Tibet.”
Disse la regista, una suggestione che aveva colpito anche l’antropologo alpinista Fosco Maraini (1912-2004) – padre della scrittrice Dacia – quando, scalando il Gran Sasso d’Italia annotò sul suo taccuino: “Campo Imperatore potrebbe benissimo essere Tibet. Somiglia alla pianura di Phari-Dzong.”
Per Francesco e Chiara, protagonisti come vedremo, di un movimento giovanile rivoluzionario, boschi, cascate, laghi, montagne e colline rappresentavano la connessione spirituale tra l’uomo e il creato: la natura come “sorella”, non risorsa da sfruttare, ma bellezza e amore universale, riflesso del Divino.
Per completare la storia del francescanesimo in Abruzzo, seguiremo ora le tracce lasciate dalla storia di Chiara d’Assisi nelle chiese barocche della regione: da Chieti ad Atri, da Sulmona a Città Sant’Angelo, fino a Gagliano Aterno, dove la tradizione vuole che San Francesco fu ospitato nel castello dei Conti di Celano.
Il Libro della Regola
Nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara si conserva una tela attribuita al Guercino, donata nel 1937 da Gabriele d’Annunzio. L’opera ritrae San Francesco con i suoi simboli più riconoscibili: le stimmate, il Crocifisso e soprattutto il Libro della Regola. Analoga iconografia compare anche in una pala d’altare, oggi conservata nella Pinacoteca di Parma, in cui sempre il Guercino ritrae San Francesco e Santa Chiara al cospetto della Madonna con Bambino assisa in cielo.
Anche Chiara (Assisi, 1194 – 1253) scrisse il suo Libro della Regola, e proprio come il suo famoso amico sarà una santa rivoluzionaria, sia per la scelta di abbracciare la povertà rinunciando alla ricchezza, ma anche per aver intrapreso con determinazione una lunga lotta contro il papato affinché si realizzasse il progetto di dar vita a un movimento spirituale femminile, basato su regole da lei scritte e rivolte alle donne.
Alla fine Chiara vinse, il sigillo papale sul suo Libro della Regola sarà apposto il 9 agosto 1253 da Innocenzo IV, lo stesso papa che tre mesi prima aveva consacrato la Basilica di San Francesco ad Assisi. Non era mai accaduto prima, le donne di casa e le fanciulle votate alla fede monastica, dovevano essere subalterne agli uomini, nella vita così come nello spirito.
Ma la giovane Chiara guardava oltre e ambiva, come Francesco, a lasciare un segno del suo operato. Trascorse circa quarant’anni nel monastero di San Damiano ad Assisi, in gran parte a letto malata, ma sempre attiva nella gestione della comunità, fu nominata badessa contro la sua volontà, alternando la preghiera con il ricamo e la tessitura del lino e della seta, attività che resero famose le Clarisse, conosciute come vere e proprie maestre dell’arte del ricamo. Nonostante la salute cagionevole Chiara lottò fino all’ultimo, morì due giorni dopo l’arrivo del sigillo papale, si narra baciando più volte la bolla Solet annuere, ma dopo di lei nulla fu più come prima.
Un movimento giovanile rivoluzionario
Quando Giovanni di Pietro di Bernardone, alias Francesco d’Assisi (1182 – 1226), un ragazzo benestante, di bell’aspetto ma non bellissimo, di piccola statura ma coraggioso e sicuro di sé, manifestò il suo primo atto rivoluzionario spogliandosi completamente nudo sulla pubblica piazza per indossare un saio rattoppato, Chiara Scifi era una ragazzina appena adolescente che iniziava a conoscere questo strano giovane, ormai sulla bocca di tutti, dai racconti di suo cugino Rufino.
Chiara si riconobbe nella stessa insofferenza che nutriva Francesco verso le disuguaglianze del tempo. Non concepiva perché tante ricchezze materiali si accumulavano nelle mani di pochi, mentre tanti bisognosi elemosinavano anche un pezzetto di pane per sopravvivere. La povertà diffusa e le ingiustizie sociali furono le prime motivazioni che la spinsero a rinunciare alla vita agiata per aiutare i poveri.
Francesco d’Assisi tracciò dunque una strada che sarà percorsa da tanti giovani della sua epoca, un vero e proprio movimento giovanile, il primo nella storia dopo quello altrettanto rivoluzionario di Gesù di Nazareth e dei suoi Apostoli.
Tommaso da Celano
A raccontare per primo la storia di Chiara e di Francesco fu un abruzzese: Tommaso da Celano (1190 – 1265), uno dei più importanti letterati del Duecento. Tommaso non aveva ancora compiuto 25 anni quando conobbe Francesco d’Assisi, diventando subito suo amico e discepolo e, in seguito (1260), direttore spirituale del monastero delle Clarisse in Val de’ Vari, tra Lazio e Abruzzo.
Tommaso da Celano racconta che Chiara Scifi nacque da Favarone di Offreduccio degli Scifi e Ortolana Fiumi, entrambi appartenenti alla classe nobile di Assisi. Votata alla preghiera e a gesti di generosità già da giovanissima, il giorno della Domenica delle Palme, dopo aver assistito alla santa messa in abiti eleganti, prende una decisione che le cambierà per sempre la vita. Fugge da casa e raggiunge la chiesa di Santa Maria della Porziuncola, dove frate Francesco la accoglie e insieme agli altri frati le taglia i capelli, come simbolo di accettazione della nuova vita monastica.
Nel monastero di San Damiano fu presto raggiunta dalle sorelle Caterina (che Francesco ribattezzò Agnese) e Beatrice. Dopo la morte del marito, anche sua madre Ortolana entrerà in convento. Gioielli, abiti lussuosi e tessuti pregiati, matrimoni combinati con giovani potenti feudatari locali e ricche doti, rinunciarono a tutto le donne di casa Scifi per abbracciare la povertà assoluta e aiutare gli ultimi.
Seconda parte
L’arrivo delle Clarisse in Abruzzo
In via Arniense, una delle arterie più centrali di Chieti, sorge la chiesa di Santa Chiara. Le sfarzose architetture e le ricche decorazioni di questa chiesa, in passato annessa al monastero fondato dalle Clarisse, rappresentano uno dei più significativi esempi dell’arte barocca in terra d’Abruzzo. Prima di descrivere nel dettaglio gli interni, anche attraverso una ricca galleria fotografica, ripercorriamo brevemente la storia dell’arrivo delle Clarisse in Abruzzo.
Atri
In uno degli articoli che abbiamo dedicato ad Atri siamo stati in una bella chiesa barocca intitolata a Santa Chiara, ubicata nella parte più alta dell’antica città ducale, all’incrocio tra via delle Clarisse e via del beato Rodolfo d’Acquaviva. Fu qui che nel XIII secolo due compagne di Chiara d’Assisi fondarono uno dei primi monasteri delle Clarisse in Abruzzo. Il convento fu costruito grazie a Filippo Longo, chiamato fra Filippo d’Atri, un frate originario di Atri molto amico di Francesco e Chiara.
Nel 1219 fra Filippo fu eletto primo confessore delle Clarisse, all’epoca chiamate “monache di San Damiano”, dal nome della chiesa presso Assisi dove, secondo Tommaso da Celano, nel 1205 Francesco ascoltò la voce del Crocifisso.
È probabile che la stessa Chiara, forse tramite una consorella, indicò a Filippo d’Atri il luogo adatto per un nuovo monastero. I duchi d’Acquaviva contribuirono nei secoli successivi all’ampliamento del complesso, in particolare: Giosia d’Acquaviva (1399 – 1462) duca di Atri, conte di San Flaviano e signore di Teramo, fece costruire il pozzo nel chiostro; Andrea Matteo III, promosse importanti lavori di restauro che riportarono all’antico splendore chiesa e monastero; infine Giovanni Francesco I d’Acquaviva d’Aragona, vi fu sepolto nel 1527.
Le generose donazioni degli Acquaviva e di altri benefattori permisero al monastero di accumulare un cospicuo patrimonio: nella prima metà del Settecento era costituito da 56 masserie, terreni e mulini diffusi ad Atri e nel territorio ducale.
La chiesa di Santa Chiara ad Atri, caratterizzata da un barocco sobrio con echi rinascimentali, fu rinnovata nella prima metà del Seicento in occasione dei lavori promossi dalle stesse Clarisse. Presenta una sola navata, la cappella maggiore è dedicata all’Immacolata, il pavimento musivo fu realizzato nel 1852 dal veneziano Giovanni Pellarini.
Un sapone profumato ai fiori di giglio e un dipinto nascosto
Nel Seicento le monache atriane svilupparono una rinomata produzione artigianale: le profumate saponette di Atri, il cui segreto di fabbricazione era gelosamente custodito all’interno dello stesso monastero.
Altrettanto gelosamente conservano dal Seicento una tela a loro tanto cara, che raffigura la Madonna Addolorata, attribuita a Carlo Dolci (Firenze, 1616-1686), difficilmente visibile anche agli studiosi: un sorriso dietro la grata e un libro sulla storia delle Clarisse di Atri furono i doni che, con piacere, ricevetti quando tentai di fotografarla.
Il famoso Saponetto di Atri veniva impastato con oli essenziali e fragranze profumate estratte dai fiori, soprattutto dal giglio, uno dei simboli iconografici di Santa Chiara. La lavorazione non era così semplice come potrebbe sembrare, ma richiedeva lunghi tempi di essiccazione e precise tecniche manuali di impasto. Il risultato era un delicato sapone schiumoso e profumato, con proprietà – raccontano le cronache dell’epoca come in una moderna reclame – “di pura bellezza.”
Avvolte nella carta velina dorata, le saponette venivano riposte in piccoli contenitori a forma sferica, dipinti con delicate composizioni floreali e specchietti decorativi: un vero tocco di classe.
Oltre alle saponette le sapienti Clarisse producevano un dolce di marzapane, modellato come un cestino fiorito, da dove prendevano forma uccellini e grappoli d’uva in pasta reale.
Guardiagrele e le Sise delle monache
Anche a Guardiagrele le Clarisse lasciarono un segno nelle tradizioni locali.
In occasione della festa di Sant’Agata – a cui si rivolgevano le giovani madri per il buon latte materno – le monache preparavano un dolce di pan di Spagna farcito di crema pasticcera e modellato nella forma di tre monti, un richiamo ai tre massicci più alti d’Abruzzo e dell’Appennino: Gran Sasso, Maiella e Velino-Sirente.
Agli inizi del Novecento le Clarisse consegnarono la ricetta del dolce di Sant’Agata ai fratelli pasticceri Palmerio, da quel momento il Dolce dei tre Monti iniziò a chiamarsi le Sise delle monache.
Il monastero di Guardiagrele fu costruito nel 1276 grazie alle concessioni dell’allora contessa di Manoppello Tommasa di Palearia. Il complesso sorgeva dove ora si trovano i giardini della Villa Comunale, un tempo orti delle Clarisse. Abili ricamatrici, realizzavano raffinati paramenti sacri – oggi esposti nella sala dedicata al Barocco del Museo del Duomo di Guardiagrele – utilizzando fili d’oro e d’argento su tessuti provenienti dalle officine sartoriali di San Leucio, le rinomate Seterie, fondate nel 1778 da Ferdinando IV di Borbone.
Sulmona e i famosi confetti
A Sulmona le Clarisse giunsero grazie alla contessa Florisenda Vinciguerra, figlia del conte di Palena Tommaso. Alla morte del padre, Florisenda donò la sua eredità – proveniente dalla vendita di una parte del castello di Forca Palena – per acquistare un palazzo da adibire a convento.
I fratelli Simone e Odorisio tentarono di riappropriarsi dei beni familiari, dando avvio a un contenzioso che si concluse nel 1305 con la conferma della proprietà alle monache da parte di Carlo II d’Angiò. Florisenda divenne badessa e, in seguito, fu proclamata beata.
Il castello di Forca Palena, oggi rudere, si trova a circa mille di altitudine, nel Parco Nazionale della Maiella. In realtà era un fortino dotato di torri di avvistamento per controllare l’altopiano e l’antico abitato. Dopo la donazione un’area del castello prese la denominazione di Feudo Quarto di Santa Chiara.
Il monastero sulmonese, costruito nel 1200, fu oggetto di ricostruzioni dopo i terremoti del 1456 e del 1706, oltre a un ampliamento nel 1837, quando si rese necessario ingrandire il dormitorio e il refettorio. Dalla metà dell’Ottocento iniziò il progressivo declino. Oggi ospita il Polo Museale Civico Diocesano e la Biblioteca Diocesana.
Le Clarisse di Sulmona sono ricordate anche per i famosi confetti. Nel Quattrocento furono loro a confezionarli per prime nella forma di fiori colorati, tradizione oggi apprezzata in tutto il mondo, in particolare dalla Casa reale inglese in occasione dei royal wedding.
Città Sant’Angelo e la cupola triangolare
Tra i complessi clariani in Abruzzo emerge per la sua storia e per alcuni elementi architettonici la chiesa di Santa Chiara a Città Sant’Angelo. Qui le Clarisse giunsero nel Trecento, inizialmente alloggiate in un monastero extra moenia, ovvero costruito fuori le mura – sopra una collina, non a caso denominata Colle Santa Chiara – in seguito nel più protetto centro storico, all’interno delle mura difensive della Civitas. Nel corso dei secoli il complesso fu più volte oggetto di ampliamenti e modifiche strutturali, in particolare tra il Seicento e il Settecento.
Dopo la soppressione degli ordini religiosi, agli inizi del Novecento operaie addette alla lavorazione del tabacco presero il posto delle monache: l’antico monastero fu dunque trasformato in una fabbrica per la lavorazione del tabacco, a cui seguirà una ulteriore riconversione in lanificio.
Durante la Seconda guerra mondiale divenne un campo di concentramento, l’unico della provincia di Pescara, per questo l’ex Manifattura Tabacchi, sede di mostre d’arte contemporanea, oggi rappresenta un luogo della memoria.
La chiesa di Santa Chiara, probabilmente costruita nel XIV secolo dopo il trasferimento delle monache nel nuovo complesso, fu ricostruita nel Settecento, dando vita a un raro esempio di cupola ad architettura triangolare, un unicum in Abruzzo. Le decorazioni barocche sono opera di Girolamo Rizza e Carlo Piazzola, su commissione dell’allora badessa Laura de Sterlich nel 1730. (2)
Una rete preziosa
Questi monasteri e gli annessi edifici di culto – incluso la chiesa di Chieti da cui è iniziato questo percorso – costituiscono una rete preziosa per comprendere la diffusione del francescanesimo in Abruzzo, terra visitata più volte da San Francesco. Le sue tracce riaffiorano nel ciclo dei ventotto affreschi giotteschi della Basilica superiore di Assisi, dove compare la scena con il conte di Celano Riccardo insieme a San Francesco.
Ventotto è lo stesso numero degli episodi che narrano la vita di Francesco di Assisi affrescati sulle pareti della cappella privata dei Conti di Celano, nella chiesa di San Francesco a Castelvecchio Subequo, non lontano da Gagliano Aterno, sede di un monastero delle Clarisse (oggi Museo dell’Orso), e di un affascinante castello – edificato non a caso dalla famiglia comitale di Celano – nel quale, secondo la tradizione, fu ospitato San Francesco.
Le Clarisse e il Barocco teatino
A Chieti le seguaci di Chiara d’Assisi giunsero nel 1259, grazie alla concessione papale di Alessandro IV, successore del citato Innocenzo IV. La loro prima sede fu l’attuale ex convento dei Cappuccini dedicato a San Giovanni Battista, all’epoca situato appena fuori dalle mura cittadine.
Con il passare del tempo, però, la posizione si rivelò troppo esposta: tra il XVI secolo e l’inizio del successivo, le invasioni saracene e le scorrerie dei capitani di ventura, che colpivano la fascia costiera abruzzese, spinsero le monache a trasferirsi in un luogo più sicuro, all’interno della città.
Furono sostenute dalla famiglia Valignani, nobile casata teatina di origine normanna, il cui stemma compare scolpito sul pulpito ligneo che domina la navata della chiesa. Grazie al loro appoggio, le Clarisse acquisirono il monastero di Santo Spirito dei Celestini, edificio che dopo la soppressione degli ordini religiosi verrà adibito ad altra funzione, oggi è la sede del Comando dei Carabinieri di Chieti.
La costruzione della chiesa di Santa Chiara iniziò nel 1644, quando l’arcivescovo Stefano Saulo pose la prima pietra. La consacrazione avvenne nel 1720 alla presenza della badessa Maria Giacinta Valignani. Le decorazioni barocche, eseguite tra la fine del Seicento e il Settecento, sono opera dei fratelli Antonio e Giuseppe Piazza e di maestranze lombarde, tra questi i fratelli Carlo e Antonio Piazzola, come abbiamo visto già attivi anche a Città Sant’Angelo, insieme ad Alessandro Terzani.
Tra le opere spicca la pala dell’altare maggiore, la Discesa dello Spirito Santo, 1644, firmata da Giovan Battista Spinelli (Chieti, 1613 – Ortona, 1658), artista dalla biografia avvolta nel mistero e già protagonista di un articolo in questo blog. Ai suoi lati si trovano le statue di due profeti. Sulla volta domina l’affresco ottocentesco del chietino Raffaele Del Ponte che raffigura l’Assunzione di Maria in cielo, circondata da angeli e contemplata dagli apostoli, intenti a raccogliere le rose – simbolo del Rosario – cadute dal cielo.
L’organo settecentesco in legno intagliato e dorato è opera dell’abruzzese Adriano Fedri (Atri, 1727 – 1797), abile artigiano e costruttore di organi, appartenente alla famiglia di organisti Fedeli-Fedri, originari delle Marche, e autore anche dell’organo monumentale della Basilica di San Bernardino a L’Aquila. Fu donato alla chiesa dalla famiglia Celaja, duchi di Canosa, come attesta lo stemma.
Al Settecento risale anche il delicato busto ligneo del Cristo Hecce Homo, posizionato in una piccola nicchia vicino al primo altare di destra dedicato a Sant’Ignazio, nella tela raffigurato in estasi con a fianco San Francesco Saverio, opera di Severino Galanti (1793). La nicchia, così come quella gemella sul lato opposto, fu realizzata negli anni Sessanta del Novecento, in occasione di alcuni lavori di restauro di discutibile qualità, che comportarono la sostituzione di alcuni dipinti (oggi depositati nel Museo Diocesano di Chieti, ormai chiuso da tempo) con statue.
La nicchia è sovrastata da una cantoria decorata, seguita dall’altare dell’Immacolata Concezione, ornata con la statua di Maria Immacolata. Sulla volta è rappresentata l’apoteosi di Santa Chiara; al centro, in un riquadro, è raffigurata Maria Maddalena; mentre un medaglione laterale mostra l’apparizione della Madonna a Santa Chiara.
Segue l’altare della Natività, riccamente decorato con stucchi e impreziosito dai dipinti della Madonna degli Angeli, di San Nicola vescovo e della Madonna con Bambino tra San Francesco e San Domenico, opera attribuita a Spinelli. Sui medaglioni laterali appaiono Santa Lucia e Sant’Agnese.
Sul lato opposto (a sinistra) si trova l’altare dedicato a Santa Chiara. In alto due angeli sorreggono una corona di fiori sopra la tela settecentesca realizzata da Giovanni Maria Pozza, affiancata le due dipinti laterali che rappresentano scene della vita della santa.
Il secondo altare è dedicato a Sant’Antonio di Padova: in alto due angeli sorreggono lo stemma dei Valignani, mentre al centro si trova la statua del santo affiancata da due tele raffiguranti l’Estasi di Santa Chiara e Gesù Bambino con Maria ed Elisabetta.
La cantoria lignea, decorata con putti musicanti, sovrasta le statue ottocentesche dell’Addolorata e del Cristo morto. Chiude il percorso l’altare di Santa Lucia, annunciato dalla scritta “Tu vincis in Martyribus”, che accoglie la statua della santa con i simboli del martirio, ai lati due stucchi raffigurano i Dottori della chiesa.
Conclusioni
Il filo d’oro di Chiara
Seguire le tracce di Santa Chiara significa attraversare secoli di storia silenziosa, fatta di gesti umili, determinazione e coraggio. I monasteri, le chiese, le opere d’arte che le Clarisse hanno custodito non sono soltanto testimonianze architettoniche e artistiche, ma ci comunicano un modo diverso di abitare il mondo. Un modo fatto di solidarietà, di vicinanza, di umanità, di fede vissuta e di lavoro paziente, contraddistinto da storie di donne che lasciarono tutto, titoli, ricchezze, sicurezza, per abbracciare un ideale più grande.
E così, da Atri a Sulmona, da Guardiagrele a Città Sant’Angelo, da Gagliano Aterno a Chieti e in altri centri della regione segnati dal passaggio delle Clarisse, il cammino di Chiara continua come un filo d’oro a ricordarci, anche attraverso le tradizioni popolari, il significato profondo di quella rivoluzione giovanile partita da Assisi otto secoli fa.
Leo Domenico De Rocco ‐ Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici – Regione Abruzzo ‐ Copyright ‐ Riproduzione riservata ‐ derocco.leo@gmail.com – Note e fonti dopo la galleria fotografica.

Basilica di Assisi, dettaglio degli affreschi giotteschi con la scena del cavaliere di Celano e San Francesco ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Castelvecchio Subequo, Cappella dei Conti di Celano con gli affreschi sulla vita di San Francesco ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni





Castello di Gagliano Aterno, probabilmente qui fu ospitato San Francesco ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni



Atri, chiesa e monastero di Santa Chiara ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Città Sant’Angelo, chiesa di Santa Chiara, dettaglio, unico esempio in Abruzzo di architettura a base triangolare ‐ Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni
Chieti



Chieti, la facciata della chiesa di Santa Chiara ‐ Foto Leo De Rocco
Chieti

Martirio di Sant’Orsola, chiesa di Santa Chiara, Chieti, uno dei dipinti rimossi, si trovava al posto della statua di Santa Lucia. L’autore è Severino Galanti

Estasi di Sant’Orsola, chiesa di Santa Chiara, Chieti, uno dei dipinti rimossi.

Interno a navata unica con quattro cappelle laterali, due per lato, e due altari, uno per lato

Prospetto di cantoria e organo




Nell’ordine, lato destro: altare di Sant’Ignazio; cantoria con organo e nicchia sottostante con statua Ecce Homo; altare della Immacolata Concezione; Pulpito badessa Giacinta Valignani; transetto con pala raffigurante Madonna con Bambino tra San Francesco e San Domenico. A sinistra: transetto con tela raffigurante Santa Chiara; cappella di Sant’Antonio da Padova; cantoria e nicchia sottostante con statua dell’Addolorata e Cristo morto; Altare di Santa Lucia.

Assunzione di Maria, Raffaele Del Ponte. La Madonna viene trasportata in cielo da cherubini e serafini; in basso gli apostoli sorpresi reggono un lenzuolo sul quale raccolgono rose lasciate cadere dagli angeli

Organo settecentesco, opera di Adriano Fedri


Organo altare laterale destro





Cantoria di sinistra

Decorazioni area presbiteriale, angeli recano simboli francescani

Tentazioni di Santa Chiara. La Santa in ginocchio col rosario in mano davanti a un libro di preghiere aperto, dietro di lei il diavolo tentatore

Vestizione di Santa Chiara. La santa in ginocchio ha appena abbandonato il suo mantello, davanti a lei San Francesco con le forbici la benedice prima di tagliarle i capelli

Vocazione di Santa Chiara. La santa in ginocchio rivolge lo sguardo verso Dio Padre e la Madonna che sostiene il rosario, nel mentre un arcangelo le porge una veste

Vita di Santa Chiara. La santa davanti all’ingresso del monastero, sotto lo sguardo di alcune Clarisse conversa con un cavaliere e gli indica la scelta della clausura


Altare maggiore





Pulpito badessa Giacinta Valignani

Madonna con Bambino tra San Giuseppe e San Francesco, Giovan Battista Spinelli



Santa Lucia


Sant’Agnese


Altare maggiore, Discesa dello Spirito Santo, 1644, di Giovan Battista Spinelli



Santa Chiara con l’Ostensorio ferma i soldati saraceni di Federico II che assediavano Assisi

Morte di Santa Chiara

Profeta

Profeta


Santa Chiara, con ostensorio e pastorale

Un angelo annuncia a Santa Chiara la presenza dello Spirito Santo


Estasi di Sant’Ignazio assistito da San Francesco Saverio

Apoteosi di Santa Chiara










Sant’Antonio di Padova

Santa Lucia

Gesù Nazareno












Copyright ‐ Riproduzione riservata ‐ derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo ‐ Fonti/Note: (1) Dalla lettera di Santa Chiara ad Agnese di Boemia; (2) La chiesa di Santa Chiara, la dimensione femminile della salvezza, 2018, Chiara Pellino, Ianieri Editore; Il monastero di Santa Chiara e la sua chiesa in Atri, 1976, Colleluori Editrice, E.Taglianetti e B.Trubiani; La chiesa di Santa Chiara: un gioiello di arte barocca, 1969; La chiesa barocca di Santa Chiara, ESA, Edizioni Scientifiche Abruzzesi; Catalogo online Beni Culturali Ministero della Cultur; “Povertà e lavoro, la rivoluzione di Chiara” articolo di Chiara Frugoni, pubblicato sull’Osservatore Romano il 26 settembre 2020 ‐ Associazione Culturale Palenese.
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