Costa dei Trabocchi. Ortona, dal Castello all’Acquabella.

In copertina: fondali della Costa dei Trabocchi, foto del biologo marino Dario D’Onofrio / Progetto di ricerca “Sushi Drop Interreg Italia-Croazia cbc 2014/2020”, in esclusiva per Abruzzo storie e passioni

Il tratto iniziale della ciclopedonale della Via Verde visto dal Castello Aragonese di Ortona – Foto Abruzzo storie e passioni

L’isola che non c’è

Il viaggio on the road sul litorale chietino, all’insegna del mare e della natura, tra enogastronomia e sport all’aria aperta, attraversa la Costa dei Trabocchi con la Via Verde, una ciclopedonale di circa 40 km (su 60 km di litorale) che da Ortona, più o meno senza interruzioni, ci porta nel sud dell’Abruzzo, sul litorale tra Vasto e San Salvo, al confine con il Molise. Questo viaggio è caratterizzato da un susseguirsi di spiagge di sabbia e ciottoli; falesie, scogliere e acque cristalline, sulle quali sventola ogni anno la bandiera blu. Il paesaggio non è pianeggiante, ma contraddistinto da ventosi promontori, tra calette, riserve marine e colline coltivate a vigneti e uliveti. In alcuni tratti i boschi dall’entroterra arrivano a lambire il mare, sul quale emergono quelle ingegnose macchine anticamente inventate per la pesca: i Trabocchi.

Questa Costa dei Trabocchi sembra un’isola. I ponti di legno che collegano decine di trabocchi alla terraferma e la quasi totale assenza di tratti pianeggianti, fanno sembrare la Via Verde isolata, racchiusa tra il mare e i promontori marini. La realizzazione della ciclopedonale sull’ex tracciato della Ferrovia Adriatica ha creato un mondo a parte, una nuova percezione del territorio, in un Abruzzo che nell’immaginario collettivo è terra di montagna, con i pastori, i tratturi e le vette più alte dell’Appennino: il Gran Sasso e la Majella. Quelle montagne che per Ennio Flaiano sono “le nostre basiliche che si fronteggiano in un dialogo molto riuscito.”

Insieme a questo tesoro naturalistico dominato dal blu e dal verde, sul mare dei trabocchi si affacciano caratteristici paesi da secoli custodi di tradizioni popolari e importanti monumenti: chiese, abbazie, castelli, palazzi e antiche dimore, ma anche custodi di storie che ci raccontano di un mondo antico, fatto di contadini e pescatori; di trabocchi e traboccanti; di pirati e santi e, purtroppo, di soldati e guerre.

Abruzzo storie e passioni vi accompagna in un viaggio marittimo in direzione sud, partendo da Ortona, visiteremo San Vito Chietino, con l’Eremo Dannunziano e il Trabocco Turchino; Rocca San Giovanni, con la grotta delle farfalle e le storie dei traboccanti; Fossacesia, con la maestosa abbazia benedettina di San Giovanni in Venere; Torino di Sangro, con la boscosa Riserva della Lecceta; Casalbordino, con le sue dune in fiore e la storia dell’abbazia di Santo Stefano in Rivo Maris; San Salvo, con il Giardino Botanico Mediterraneo. Nell’ora del tramonto infine andremo a cercare le impressioni d’occhio e di cuore sulle alte falesie di Punta Penna e Punta Aderci a Vasto.

Il viaggio è diviso in otto articoli, corredati come sempre da una ricca galleria fotografica. Iniziamo a pedalare allora! Il punto di partenza con le nostre bici è il Castello Aragonese di Ortona, ma prima visitiamo il Parco delle Dune, alcuni paesi nei dintorni e le spiagge di Punta Ferruccio e della Riserva naturale dei Ripari di Giobbe.

Il Parco delle Dune di Ortona e dintorni: Tollo, Canova Sannita e Crecchio.

Tra la stazione ferroviaria di Tollo e il fiume Arielli, si trova il Parco delle Dune, la prima delle tante riserve e aree protette che incontreremo durante questo viaggio. Il parco è una rara testimonianza dell’antico sistema dunale presente sul litorale adriatico prima della costruzione della ferrovia Adriatica, avvenuta nella seconda metà dell’800, e della conseguente urbanizzazione della costa abruzzese.

Nel Parco delle Dune, servito dalla ciclopedonale Postilli-Riccio che collega il litorale nord ortonese alla località “Foro”, nella vicina Francavilla al Mare, nidifica il fratino, un piccolo trampoliere simile al piovanello, anch’esso presente, e prolifera la flora tipica delle dune sabbiose, come il giglio del mare, oltre ad altre specie animali e vegetali alloctone come il fico di mare (Carpobrotus edulis) una pianta succulenta e strisciante originaria del Sudafrica.

Il territorio del Parco inizia all’altezza della piccola stazione ferroviaria di Tollo, un piccolo paese chiamato “la città del vino“, raggiungibile percorrendo una panoramica strada collinare immersa non a caso tra infinite distese di vigneti. Nel centro del paese è stato allestito un Eno-Museo, il primo in Abruzzo, si tratta di un museo esperienziale, oltre a documentare l’antica tradizione contadina legata alla viticoltura diffusa in tutta la fascia collinare della Costa dei Trabocchi, nello spazio delle eccellenze e della “grotta dei sensi” si organizzano corsi di formazione e sedute di degustazione.

A pochi chilometri da Tollo merita la visita il piccolo paese di Canosa Sannita, nei dintorni si trovano grotte naturali chiamate “chicurummele”, un tempo rifugi cercati da i briganti abruzzesi. Ancora qualche chilometro ed eccoci a Crecchio, un caratteristico paese medievale recentemente inserito tra i Borghi più belli d’Italia. Il Castello di Crecchio ‐ Castello Ducale De Riseis d’Aragona ‐ è citato in tutti i libri di storia. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, come vedremo nel dettaglio più avanti, ospitò i Savoia in fuga verso Sud.

Ripari di Giobbe e Punta Ferruccio

Proseguendo sulla strada statale 16 Adriatica, dopo la stazione di Tollo e il Parco delle Dune incontriamo la prima spiaggia “storica” di Ortona: il Lido Riccio, sul cui mare furono costruiti alcuni trabocchi, distrutti dall’esercito tedesco durante la ritirata del 1944. Non lontano dal Riccio, in località Torre Mucchia, si svolse una cruenta battaglia durante la Seconda guerra mondiale. La località prende il nome da una torre di avvistamento edificata nel XVI secolo, di cui oggi restano ruderi. In zona c’è una bella caletta e un campeggio a ridosso del mare.

Molto apprezzate dai turisti provenienti da fuori regione e dall’estero sono le successive spiagge, ci troviamo ormai alle porte di Ortona: Punta Ferruccio e Ripari di Giobbe, rientranti nella omonima Riserva Naturale Regionale, che comprende Punta Lunga e la citata Torre Mucchia. Ripari di Giobbe, come Lido Riccio e Torre Mucchia, non sono ancora raggiungibili con la ciclopedonale Via Verde, le sue spiagge si raggiungono attraverso una lunga scalinata di legno nascosta nella macchia mediterranea, nei pressi di un comodo parcheggio. La località è ben segnalata all’altezza di una rotatoria della Statale 16 Adriatica, appena dopo il Lido Riccio. La riserva marina dei Ripari di Giobbe è formata da una serie di alte falesie a picco sul mare, le acque sono particolarmente trasparenti, flora e fauna tipicamente mediterranee. Una preziosa oasi di biodiversità, da preservare e proteggere, presente anche, come vedremo, nella parte sommersa.

Partenza dal Castello

A Ortona la ciclopedonale della Via Verde è dominata dall’iconico Castello Aragonese, ricostruito nel 1452 sui resti di un fortino medievale, imponente e a strapiombo sul mare, dal “Magnanimo”, quell’Alfonso d’Aragona che qualche anno prima si insiediò sul trono del Regno di Napoli al posto dei d’Angiò. Al seguito del Magnanimo arrivarono dalla Spagna anche i fratelli d’Avalos, i quali in Abruzzo saranno marchesi di Francavilla al Mare, Pescara e soprattutto Vasto, dove costruiranno la loro lussuosa residenza, il Palazzo d’Avalos, che ancora oggi domina il “Golfo d’Oro”.

Il castello si trova nel quartiere più antico di Ortona, il “Terravecchia“, storico borgo abitato dai pescatori, a due passi dal Museo Musicale d’Abruzzo, l’unico in Abruzzo e uno dei pochi musei musicali in Italia, comprendente la casa-museo del famoso compositore ortonese Francesco Paolo Tosti (Ortona, 1846 – Roma, 1916). A lui è intitolato anche l’elegante teatro cittadino che sembra sospeso sul mare, costruito in stile neoclassico e liberty nel 1929 sulla panoramica passeggiata dell’Orientale, luogo identitario per gli ortonesi.

La Sirena della spiaggia della Ritorna

Ai piedi del castello scopriamo la piccola e romantica spiaggia detta “la Ritorna”, incastonata come un gioiellino in una insenatura tra la ciclopedonale Via Verde, il maniero aragonese e un piccolo faro alto 24 metri gestito dalla Marina Militare. Il nome “Ritorna” evoca l’antica usanza delle donne ortonesi di recarsi su questa spiaggia nelle giornate di tempesta, per aspettare il ritorno delle barche con i figli e i mariti, marinai e pescatori. Nacque così una favola popolare che narra di una bellissima principessa che abitava nel castello ortonese.

Si narra che tanto tempo fa un principe giunse a Ortona con i suoi soldati a bordo di una grande imbarcazione. Al suo arrivo chiese al re di poter attraccare nel porticciolo del castello, un tempo realmente ubicato dove ora si trova la piccola spiaggia. Il re acconsentì, ospitando per una notte il principe e i suoi soldati. La sera, durante il banchetto di benvenuto, il principe si innamorò così perdutamente della bella figlia del re, rimasta a sua volta colpita dalla gentilezza del giovane, che chiese la sua mano, ma ricevette dal sovrano un netto rifiuto.

Deluso e amareggiato il principe riprese la via del mare salutando la sua amata principessa in lacrime, promettendo però che sarebbe presto tornato su quella stessa spiaggia a riprenderla. Ma al largo di Ortona una flotta di navi pirata attaccò la galea del principe, il quale, mentre cercava di difendersi dall’improvviso arrembaggio, rimase ucciso colpito al cuore da una lancia.

Solo un soldato del principe riuscì a salvarsi e a raggiungere il castello, mettendo in guardia i cittadini dell’imminente arrivo dei terribili pirati saraceni. La principessa disperata per l’amore perduto da quel giorno si recò tutte le sere nell’ora del tramonto sulla spiaggia del porticciolo, saliva sullo scoglio più alto e rivolta al mare aperto gridava al suo amore: “Ritorna, ritorna, ritorna…”

Finché un giorno durante una tempesta la principessa morì, una grande onda investì lo scoglio facendola cadere in acqua. Da allora i marinai e i pescatori raccontano che durante i giorni di tempesta si sente ancora il dolce lamento della principessa mentre le onde si infrangono sullo scoglio. Fu così che la gente di mare di Ortona chiamò questa spiaggia “la spiaggia della Ritorna”.

La favola termina così, ma il finale potrebbe essere un altro. La principessa caduta in acqua non morì, cadde tra le braccia di un tritone, figlio di Poseidone, che la salvò, ma solo a una condizione, dettata dalla legge del mare: sarebbe stata trasformata non in uno scoglio come la sirena Partenope sconfitta nel canto da Orfeo ma in una bellissima sirena. E così accadde. Da quel giorno la principessa-sirena ritorna ogni primavera sullo stesso scoglio, davanti alla spiaggia della “Ritorna”, e al chiaro di luna dedica alla memoria del suo amato una dolce melodia. Non sono pochi i marinai che giurano di averla sentita cantare almeno una volta.

Solimano il Magnifico ordina l’arrembaggio sul Lido dei Saraceni

Dopo le suggestioni fiabesche e mitologiche legate al castello ortonese e alla sua romantica spiaggetta, pedalando e camminando sulla Via Verde raggiungiamo la grande spiaggia sabbiosa chiamata “Lido dei Saraceni“, teatro di una invasione di pirati, appunto i Saraceni, nel XVI secolo. La spiaggia attrezzata confina con il Porto Turistico, dotato di un lungo molo, luogo di ritrovo degli ortonesi durante la bella stagione per la tradizionale passeggiata domenicale e la pratica di sport all’aria aperta.

I pirati sbarcarono su questa baia nell’agosto del 1566, circa 40 anni dopo l’ultimo sbarco, quello del 1528, durante il quale i pirati rubarono l’antico busto in argento di San Tommaso patrono della città e cercarono di rubare anche il prezioso ostensorio in argento dorato realizzato nel 1413 dal famoso orafo, scultore e miniaturista Nicola da Guardiagrele per la chiesa di San Franco nella vicina Francavilla al Mare. Per fortuna a suo tempo ben nascosto dai francavillesi, l’ostensorio è ancora oggi al suo posto e viene esposto ogni anno il 15 agosto.

L’arrembaggio piratesco sulla Costa dei Trabocchi del 1566 fu disastroso. Si narra che furono ben 105 le galee turche salpate da Costantinopoli, sulle quali si imbarcarono settemila uomini per raggiungere il litorale abruzzese, ma anche quello molisano, fino alla Puglia. La flotta era comandata da Piyale Pascià, ammiraglio ottomano agli ordini del sultano Solimano il Magnifico. Paesi costieri come Francavilla al Mare, Casalbordino, Vasto, dove i pirati incendiariono Palazzo d’Avalos e la chiesa di San Giuseppe, e la stessa Ortona che vide incendiata anche la Basilica di San Tommaso, furono depredati. I pirati trovarono uno sbarramento a Pescara, respinti nei pressi dell’allora fortezza dal condottiero Giovan Girolamo d’Acquaviva duca d’Atri.

L’attacco piratesco contribuì a influenzare le successive vicende politiche italiane. Quattro anni dopo, nel 1570, papa Pio V consegnerà in San Pietro lo stendardo, un drappo rosso sul quale era raffigurata la Croce tra gli apostoli Pietro e Paolo, a Marcantonio Colonna, duca di Tagliacozzo. Un atto simbolico che precedette la Lega Santa e la famosa Battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), ovvero lo scontro navale per il dominio del Mediterraneo tra le flotte cristiane e quelle musulmane dell’Impero Ottomano, le quali subiranno la prima clamorosa sconfitta.

I pirati dell’Acquabella

Lasciato il Lido dei Saraceni un tratto della pista ciclopedonale attraversa alcune gallerie e ci conduce a Punta dell’Acquabella. In questo tratto merita la nostra attenzione alcuni murales, vere e proprie opere d’arte. Qui lo street artist di fama internazionale Millo realizzò nel 2022 due murales intitolati “Dalle Radici al Fiore“, omaggiando la storia di Ortona vissuta durante la Seconda guerra mondiale, in particolare la resistenza della popolazione e delle donne partigiane, e il fondamentale contributo alla Liberazione non solo dell’Abruzzo da parte della Brigata Majella.

La Riserva Naturale di Punta dell’Acquabella è chiamata così per via delle acque particolarmente limpide e per le numerose e antiche sorgenti, oggi non più esistenti, di acqua dolce. Il bosco di pini d’Aleppo incorona la falesia, inebriata dal profumo della resina, e domina la piccola spiaggia di ciottoli, scogli e grandi rocce di arenaria, che sembrano formare un nascondiglio, non a caso, narrano i racconti popolari, in passato luogo di approdo e rifugio dei pirati turchi, Oltre allo storico quartiere centrale di Terravecchia, anche qui all’Acquabella sorgeva un antico borgo di pescatori, probabilmente risalente al ‘700, ma costruito su un precedente e più antico insediamento, le cui tracce archeologiche risalgono all’epoca preromana.

Nel XVI secolo a ridosso di questo tratto di costa sorgeva una torre difensiva, detta Torre del Moro, una delle 16 torri di guardia tra loro comunicanti tramite l’accensione di fuochi in caso di invasioni piratesche. La torre fu costruita da Pedro Afán de Ribera, primo duca di Alcalà e viceré del Regno di Napoli (1509–1571). Ma questo sistema difensivo non impedì, come abbiamo visto, l’invasione del 1566.

Reperti archeologici in esclusiva per Abruzzo storie e passioni

Piu efficiente l’opera del viceré spagnolo nel campo del collezionismo. Imitando i collezionisti italiani rinascimentali Pedro Afán de Ribeira, insieme a suo nipote Don Fabrizio, durante i suoi incarichi istituzionali ricoperti per conto del Regno di Napoli fece man bassa di sculture e altre antichità, che andarono ad abbellire la moresca residenza Casa de Pilatos a Siviglia. (1) Anfore e antiche àncore sono state rinvenute nel mare dell’Acquabella, insieme a statuette votive di epoca pagana, questo affermano alcune fonti non ancora verificate, sono invece documentati i seguenti reperti che il nostro blog ha trovato nel Museo di Santa Giulia a Brescia. Furono rinvenuti nel 1857 durante i lavori per la costruzione della Ferrovia Adriatica:

“Caduceo in bronzo, V-III, sec. a. C. ; Freccia di giavellotto subtriangolare; Piede in bronzo V-III sec. a. C. ; Statuetta virile nuda in bronzo, V-III sec. a. C. ; Campanella a piramide in bronzo, V-III sec. a. C.” Le foto che trovate nella galleria fotografica sono state gentilmente concesse in esclusiva per questo articolo dalla direzione dei Musei di Brescia.

Il Porto e la fuga del re

Oltre alle bellezze marine e paesaggistiche la ciclopedonale Via Verde a Ortona incrocia inevitabilmente la storia e la memoria collettiva. Quelle gallerie che oggi sono attraversate dai ciclisti, dagli amanti delle passeggiate e dai turisti festosi, durante la Seconda guerra mondiale davano rifugio alla popolazione in cerca di salvezza dai bombardamenti e dai rastrellamenti tedeschi.

La spiaggia della Ritorna e il Lido dei Saraceni non sono molto distanti dal Porto di Ortona, scalo turistico e commerciale, il più grande d’Abruzzo, qui all’alba del 9 settembre del 1943 si imbarcarono frettolosamente, tra gli insulti e la disapprovazione degli ortonesi, il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il principe Umberto e la corte. Com’è noto fuggivano da Roma subito dopo l’Armistizio con gli Alleati, firmato a Cassibile (Siracusa) dal generale Castellano, in rappresentanza di Badoglio, il 3 settembre del ’43 e diramato l’8 settembre. I Savoia arrivavano da Crecchio, dopo la notte trascorsa nel Castello Ducale de Riseis–d’Aragona. Il giorno dopo fuggirono a bordo della corvetta Baionetta, arrivata dal porto di Pescara, sulla quale erano già imbarcati il generale Badoglio e lo Stato Maggiore, a loro volta ospitati la notte prima a Chieti nel Palazzo Mezzanotte.

Una targa posta alla fine della guerra sul muro della banchina ricorda ancora oggi quella vergognosa fuga. Una guerra tristemente famosa qui a Ortona, chiamata “la piccola Stalingrado”, all’epoca estremo marittimo della famigerata Linea Gustav voluta da Hitler nell’ottobre del 1943 per contrastare l’avanzata degli Alleati. La “Battaglia di Ortona“, combattuta casa per casa, è rimasta impressa nella memoria collettiva, tante purtroppo le vittime tra i civili. Come migliaia furono i giovani soldati canadesi, inglesi e del Commonwealth britannico caduti durante le fasi più cruenti della battaglia combattuta a Ortona e nei pressi del fiume Moro. Da allora riposano tra le alture boscose dell’Acquabella, nel Moro River Canadian War Cementery, in località San Donato e, più a sud, nel Sangro River War, sulle colline ricoperte di alberi di leccio di Torino di Sangro.

L’apostolo dubbioso, da Chios a Ortona via mare.

Maioliche colorate con l’immagine di San Nicola, protettore dei marinai, e la statua di San Tommaso che emerge dall’acqua del porto ortonese benedicono marinai e pescatori che ogni giorno partono e arrivano con le loro barche. Le reliquie dell’apostolo di Gesù arrivarono a Ortona via mare il 6 settembre del 1258, trasportate da una delle tre galee comandate da Leone “Acciaiuoli”, provenivano dall’isola greca di Chios. Secondo alcuni studi il cognome nobiliare di origine fiorentina “Acciaiuoli” sarebbe stato aggiunto nell’800, una invenzione ottocentesca dunque. All’epoca dell’arrivo della galea comandata da Leone il porto si trovava piu a nord, vicino al Castello Aragonese. Le tre galee partirono da qui per unirsi alla flotta del figlio dello Stupor Mundi Federico II, Manfredi di Puglia, dall’agosto di quell’anno incoronato re di Sicilia. nell’ambito dei conflitti e relative alleanze incrociate tra i veneziani, l’impero bizantino e la Repubblica marinara di Genova. Con una mossa a sorpresa il comandante Leone trafugò le spoglie di San Tommaso dall’isola egea di Chios per salvarle dalle distruzioni islamiche.

Da allora i resti dell’Apostolo “dubbioso” sono custoditi nella Cattedrale di San Tommaso, luogo simbolo di Ortona e meta di un turismo religioso italiano ed estero degno di nota. Una delle prime “turiste” religiose arrivò nel 1366, era Santa Brigida, patrona della Svezia e compatrona dell’Europa. Brigida giunse a Ortona appositamente per rendere omaggio a San Tommaso.

La tradizione marinara, insieme alla fede per San Tommaso, sono i tratti caratteristici dei cittadini ortonesi. Nel 1919 nacque l’Istituto Nautico di OrtonaLeone Acciaiuoli“. Nel 1964 fu varata la Nave Scuola chiamata, non a caso, “San Tommaso”, un moderno laboratorio galleggiante, fiore all’occhiello dell’Istituto Nautico ortonese.

Ortona e Venezia

Un porto antico e storicamente trafficato quello di Ortona, chiamato “Porto dei Frentani” dal geografo greco Strabone (Amasya, 60 a.C. – 24 d.C.). Qui attraccarono navi bizantine, longobarde, normanne, aragonesi e angioine. Un luogo strategico dunque, ognuno di loro lasciò una testimonianza del passato dominio: i bizantini costruirono le mura difensive; i longobardi le torri sulla costa; e i normanni fondarono le corporazioni mercantili per dare impulso al commercio del porto. Non a caso in questo porto attraccarono le navi della Serenissima, in occasione delle medievali Fiere Frentane, in particolare quelle organizzate nella non lontana Lanciano, durante le quali si commerciava soprattutto lana, seta e spezie, in buona parte provenienti dalle vie degli antichi tratturi abruzzesi. Sull’argomento rimando all’articolo “Autunno abruzzese, gli antichi tratturi”, in questo blog.

In concomitanza e funzionali ai traffici commerciali sulla terra ferma, i veneziani coniarono monete di piccolo taglio, come quella ritrovata dopo una mareggiata su una spiaggia della Costa dei Trabocchi, tra Ortona e Francavilla al Mare (foto in esclusiva per Abruzzo storie e passioni nella galleria fotografica). Forse la moneta ritrovata si trovava su un’antica nave veneziana affondata al largo della costa a causa di una tempesta, oppure dopo un attacco dei sempre presenti pirati turchi.

In questo periodo di floridi commerci andava crescendo una forte rivalità tra ortonesi e lancianesi, per via dei dazi doganali e in generale per il controllo dell’importante scalo marittimo. Si arrivò addirittura alla guerra aperta durata ben 40 anni, risolta provvisoriamente grazie alla mediazione del famoso frate-soldato, poi eletto santo, Giovanni da Capestrano (Capestrano, 1386 – Croazia, 1456) – in questo blog: “Capestrano e San Pietro ad Oratorium, magiche atmosfere”– il quale per l’occasione celebrò una messa solenne nella Cattedrale di San Tommaso.

I veneziani sono protagonisti anche di alcuni racconti popolari a sfondo religioso. Secondo la tradizione furono coinvolti in un tentativo di furto delle reliquie di San Tommaso. Forse gli amici della Serenissima non gradirono il fatto che il capitano Leone di ritorno dall’isola egea di Chios si fermò col suo prezioso e sacro carico a Ortona e non a Venezia. Un po’ come accadde con le spoglie di San Flaviano, patriarca di Costantinopoli, giunte attorno all’anno Mille sulle coste abruzzesi, a Giulianova, a bordo di una nave diretta a Ravenna, costretta però a fermarsi prima a causa di una tempesta.

E sempre una tempesta, narra un altro racconto che si perde nella leggenda, interruppe nel 1177 il viaggio di papa Alessandro III mentre era diretto a Venezia per incontrare l’imperatore Federico Barbarossa. Un mare spesso ventoso e tempestoso questo Adriatico, non a caso la leggenda narra che Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, gettò nel mare Adriatico un chiodo della Vera Croce di Gesù affinché si placassero i venti di tempesta.

Il Palazzo Farnese e il Corteo delle Tre Chiavi

Il citato comandante Leone seppur alleato dei veneziani era (probabilmente) nativo di Ortona, e forse per questo donò alla sua città le spoglie dell’Apostolo di Gesù. Ma i veneziani cercarono di appropriarsi delle sacre reliquie. Si racconta che nel 1475 alcuni nobili ortonesi tentarono di rubare la chiave della cassetta contenente le spoglie di San Tommaso, all’epoca custodita nel Palazzo Farnese, costruito per conto della figlia di Carlo V, Margherita d’Austria (Fiandre, 1522 – Ortona, 1586), da Giacomo della Porta, architetto allievo di Michelangelo, sugli orti terrazzati vista mare coltivati dai frati francescani, i quali contrariati abbandoneranno Ortona. Il furto era stato commissionato da un nobile della Repubblica marinara di Venezia. I dettagli del racconto si perdono nella leggenda, che narra l’arrivo dei malfattori davanti all’urna che conteneva la chiave e il gruppo dei veneziani increduli udirono la voce dell’apostolo Tommaso che disse: “lassa stà” (lascia stare), e così il furto fallì. A Ortona questo episodio viene rievocato la domenica successiva alla “Festa del Perdono“, istituita a maggio in ricordo della indulgenza plenaria voluta da papa Sisto IV (1414 – 1484), con un corteo rinascimentale detto delle “Tre Chiavi“.

Si tratta di una sfilata in costume d’epoca durante la quale il busto argenteo dell’Apostolo Tommaso, per l’occasione portato in processione per le vie di Ortona, viene rivolto in direzione del mare in quel momento gremito di barche colorate, per impartire la benedizione e l’invocazione della protezione sui marinai, i pescatori e la città di Ortona. I marinai e i pescatori rispondono dalle loro barche con il suono prolungato delle sirene di bordo.

Il Crocifisso miracoloso

Ancora un racconto popolare diffuso da secoli a Ortona narra di storie legate alla fede con il coinvolgimento della città di Venezia e delle scorribande saracene sulla costa ortonese. Si narra che nel 1570 tale Basilio, un frate confessore del monastero ortonese delle monache cistercensi dell’Ordine di San Benedetto, richiamato nella sua città, Venezia, portò con sé due preziose ampolle prelevandole dall’oratorio trecentesco del Crocifisso Miracoloso, presso la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, un edificio barocco costruito nel 1631 che custodisce una pregevole pala d’altare di Giovan Battista Spinelli, un artista a cui abbiamo dedicato un articolo in questo blog. Il frate portò le ampolle a Venezia, nella chiesa di San Simeone Profeta.

Le ampolle contenevano il sangue miracoloso fuoriuscito dal costato di Gesù crocifisso raffigurato, insieme alla Vergine Maria e all’apostolo Giovanni, in un affresco realizzato nel XV secolo su una parete dell’oratorio. L’evento miracoloso si rivelò durante le invocazioni rivolte dalle monache alla immagine affrescata del Crocifisso affinché la citata incursione saracena del 1566 risparmiasse il monastero e gli ortonesi, e così accadde. Le suore raccolsero il sangue all’interno di due ampolle il 13 giugno 1566, per custodirle e venerarle nell’oratorio, fino alla citata sottrazione del 1570.

Solo nel 1934, grazie all’interessamento dell’allora arcivescovo, una delle due ampolle fece ritorno a Ortona, trasportata il 29 giugno di quell’anno a bordo del cacciatorpediniere “Grado”. Oggi è custodita nella chiesa-oratorio di Santa Caterina d’Alessandria; l’altra ampolla fa parte del Tesoro di San Marco, custodita tra le Reliquie della Serenissima.

I fondali marini

Torniamo al mare ortonese. I fondali della Costa dei Trabocchi negli ultimi anni sono stati oggetto di un interessante progetto di ricerca internazionale, promosso in ambito europeo da Italia e Croazia. “Il Progetto” – spiega ad Abruzzo storie e passioni il biologo marino Dario D’Onofrio – “è stato coordinato dall’Università Alma Mater di Bologna, con la collaborazione di: FLAG Costa dei Trabocchi; Regione Marche; Istitute of Oceanography and Fisheries (IOF); Association For Nature Environment And Sustainable Development (SUNCE); Contea di Slpit e Dalmazia (SDC).”

“Sui fondali sabbiosi prospicienti il Lido Saraceni e la Riserva Naturale Regionale Punta dell’Acquabella a Ortona, nel sito La Foce di Rocca San Giovanni e a ridosso delle falesie di Punta Aderci a Vasto, è stata riscontrata la presenza di praterie e semi-praterie di Cymodocea nodosa. Nel sito di immersione Ripari di Giobbe è stato individuato l’ottocorallo Leptogorgia sarmentosa. Di particolare interesse risultano le informazioni sulla distribuzione di specie come Sebellaria spinulosa; Cladacora caespitosa (Madrepore) e la Nacchera di mare (Pinna nobilis).”

“I dati scientifici raccolti, la mappatura e lo studio di questi delicati ecosistemi sommersi” – prosegue Dario D’Onofrio – “rappresentato preziose informazioni utili per la realizzazione di progetti di tutela, conservazione e valorizzazione del litorale marino abruzzese.”

La seconda parte dell’intervista sui fondali marini della Costa dei Trabocchi, corredata da un’ampia galleria fotografica, la trovate nell’articolo: “Vasto e San Salvo, tramonto su Punta Aderci”. Oltre alle riserve dei Ripari di Giobbe e di Punta dell’Acquabella, lungo la Costa dei Trabocchi visiteremo altre quattro Riserve Naturali Regionali Marine: la Grotta delle farfalle, tra San Vito Chietino e Vallevò di Rocca San Giovanni; la Lecceta, a Torino di Sangro; Punta Aderci, a Vasto e il Giardino Botanico Mediterraneo a San Salvo marina, unica area botanica dunale protetta dell’intera costa Adriatica.

Proseguendo in direzione Sud la ciclopedonale Via Verde ci porta nella seconda tappa di questo viaggio marino: San Vito Chietino, dove ci attende il “Turchino” e il celebre Eremo Dannunziano.

Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo ‐ Note e fonti dopo la galleria fotografica

Costa dei Trabocchi, il primo tratto della Via Verde. Castello Aragonese,  promontorio della “Pizzuta”; sotto: la spiaggia della Ritorna – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Ortona, Parco delle Dune con un esemplare di Piovanello, simile al Fratino, un piccolo trampoliere che vive nel Parco – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Ortona, Teatro Francesco Paolo Tosti – Foto Leo De Rocco

Crecchio e il suo Castello – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Wilhem Kray, Le Sirene, 1874 – Collezione privata

Costa dei Trabocchi, la Via Verde attraversa Punta dell’Acquabella a Ortona – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Reperti rinvenuti nel 1857 in località Punta dell’Acquabella Ortona durante i lavori per la costruzione della Ferrovia Adriatica – Foto copyright, per gentile concessione Museo di Santa Giulia Brescia, Archivio Fotografico Civici Musei di Brescia – Fotostudio Rapuzzi – in esclusiva per Abruzzo storie e passioni.

Ortona, la Via Verde attraversa il Lido dei Saraceni – Foto Abruzzo storie e passioni

Ortona, Cattedrale di San Tommaso, il busto settecentesco in argento di San Tommaso e l’urna con le reliquie dell’Apostolo giunta dell’isola di Chios – Foto Abruzzo storie e passioni

Via Verde, Costa dei Trabocchi, Ortona – Il Porto commerciale e il Porticciolo turistico – Foto Abruzzo storie e passioni

Ortona – Porto, la targa in ricordo della fuga del re – Foto Abruzzo storie e passioni

Dicembre 1943, il Royal Canadian Regiment atteaversa un sentiero nei pressi di Punta dell’Acquabella a Ortona – Foto Dipartimento di Difesa Nazionale Archivi Nazionale del Canada

Porto di Ortona – La statua di San Tommaso benedicente, le maioliche di San Nicola e la Nave Scuola San Tommaso dell’Istituto Nautico di Ortona – Foto Leo De Rocco per Abruzzo storie e passioni

Moneta di piccolo taglio coniata nel ‘400 dalla Repubblica Marinara di Venezia ritrovata sulla Costa dei Trabocchi – Collezione privata, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Bassorilievo veneziano di epoca cinquecentesca, conservato nel Museo Diocesano di Ortona, in cui è rappresentato l’arrivo a Ortona della galea con a bordo le reliquie di San Tommaso Apostolo – Foto Leo De Rocco

Ortona – Spiagge dei Ripari di Giobbe e Punta Ferruccio – Foto Abruzzo storie e passioni

Fondali della Costa dei Trabocchi – Foto copyright del biologo marino Dario D’Onofrio / Progetto di ricerca “SUSHI DROP Interreg Italia-Croazia CBC 2014/2020” – Per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

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Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com Tecnico della valorizzazione dei Beni Culturali ed Ecclesiastici Regione Abruzzo ‐ Ringrazio per la per la gentile collaborazione la Fondazione Brescia Musei e la dott.ssa Francesca Morandini, Conservatore collezioni e aree archeologiche Referente Sito UNESCO. Ringrazio il biologo Dario D’Onofrio, esperto in biodiversità marine. Tutte le foto concesse in esclusiva per questo articolo sono protette da copyright, è vietato qualsiasi utilizzo e/o riproduzione – Note/Fonti: 1) Da Journal of Roman Archaeology “The Casa de Pilatos: creating a Spanish collection in the Reinaissance”, Markus Trunk. Published by Cambridge University Press 2015; “Trabocchi, traboccanti e briganti”, di Pietro Cupido, edizioni Menabò 2003.

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