Foto copertina e foto di apertura: Navelli e il suo altopiano – Leo De Rocco
“Ho lasciato Napoli mercoledì e con un viaggio di due giorni sono giunto a Navelli… L’Italia è piena di sorprese; Napoli affoga nel caldo tropicale, qui l’aria è fresca come nel Surrey in settembre. Alle prime curve di montagna, il vetturale ci ha fornito coperte a righe da viaggio, molto confortevoli.
Nella diligenza, che trovano posto comodamente otto persone, più tre posti di fortuna, ho incontrato persone adorabili: gentlemen che vestono l’ultima moda, fanciulle inaspettatamente bionde, mercanti con gilet fantasia gonfi di partafogli, ufficiali compiti e perfino un ingegnere delle ferrovie con una casetta piena di fossili. Parlano tutti un francese molto corretto e musicale.
La diligenza è scortata da quattro soldati a cavallo che dovrebbero respingere l’assalto di briganti inesistenti. Sosterò in questo paese qualche giorno, prima di scendere a Roma. Sono alloggiato in una stanza povera e pulita di una taverna e ti scrivo dopo un bagno impareggiabile in una tinozza tolta in vendemmia per la pesta dell’uva.
Il paese arranca sul fianco del colle brullo che guarda mezzogiorno… In alto il castello, giù la chiesa dell’XI secolo, da dove cade alla piana un volo plumbeo di colombi, e le case piccole e in pietra… I terreni scoscesi sono coltivati ad olivo e mandorlo, quelli in piano a frumento e vigna.
È anche diffusa la coltivazione dello zafferano, che compri al tuo delicatessen shop… La piana è disseminata di graziose chiesuole, costruite tutte intorno all’XI secolo; sono abbandonate e i pastori vi ricoverano le greggi. I muri interni sono affrescati e nella penombra si ha l’impressione che le pecore escano dagli affreschi.
Strano che lo stato non provveda a restaurare questi tesori! L’interno della chiesa madre è invece tutto barocco, a sfavillanti colori di teatro, con angeli e santi che volano tra squarci di nubi infuocate e colonne a tortiglione.“
È un brano tratto da “Epistolario collettivo” di Gian Luigi Piccioli (edizione Bompiani, 1973), in cui l’autore, attraverso testimonianze epistolari, racconta le voci degli abitanti di Navelli dall’Unità d’Italia ai primi anni Settanta del ‘900.
Gian Luigi Piccioli, scrittore e saggista, aveva origini abruzzesi, la sua famiglia era di Navelli. Ho scelto questa introduzione perché il libro di Piccioli è fondamentale per capire la storia di questi luoghi e delle sue genti.
Perdersi tra i silenziosi vicoli di Navelli è come fare un viaggio a ritroso nel tempo. Su un’altura che domina la piana il paese sembra incantato in un lastricato di pietre antiche che prendono la forma di stradine, scalinate, case medievali, archi gotici, loggiati rinascimentali, torri, portali e piazzette terrazzate, con al centro antichi pozzi in pietra, che affacciano su una distesa assolata e ventosa: uno sconfinato altopiano che sembra un mosaico colorato.
Navelli – Piazza San Pelino e chiesa della Madonna del Rosario – Foto Leo De Rocco
Piana di Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli, l’altopiano visto dal Palazzo Santucci – Foto Leo De Rocco
Tra i vicoli di Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli, giugno 2015 – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Altopiano di Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Passeggiando sulle vie di Navelli, giugno 2015 – Foto Leo De Rocco
Navelli, Palazzo Santucci – Foto Leo De Rocco – Costruito nel 1632 sulle rovine di un antico castello per volere del barone Camillo Caracciolo. Il nome “Santucci” riprende quello degli ultimi proprietari.
Navelli – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Mi sono piacevolmente perso in questo solitario labirinto fatto di pietre antiche, in cui domina il silenzio, il vento, i panorami dai mille colori e la tranquillità. Forse perché è un giorno feriale ed è l’ora del pranzo e i navellesi stanziali si concentrano nella zona della piazza principale del paese, dedicata a San Pelino. Navelli è l’antitesi del caotico turismo di massa.
“L’Abruzzo è un grande produttore di silenzio” scriveva Giorgio Manganelli. Quella tranquillità che spesso cerchiamo per allontanarci da una società ormai troppo frenetica e che ci consente di apprezzare la vera essenza del luogo visitato.
Navelli – Foto Lyon Corso
Con questa atmosfera che riporta alla giusta dimensione lo scorrere del tempo, dall’alto di queste ventose terrazze panoramiche sembra di scorgere transitare sulle vie sottostanti pastori, viandanti e antichi mercanti.
In realtà la Piana di Navelli nelle varie epoche storiche è stata un crocevia di importanti vie di comunicazione che contribuirono allo sviluppo economico, sociale e culturale del territorio. L’economia si fondava sulla transumanza, sui commerci della lana, della seta e delle spezie, in particolare lo zafferano. Non a caso una delle famiglie più ricche del rinascimento abruzzese, i Notar Nanni erano originari di Civitaretenga, una frazione di Navelli.
Jacopo di Notar Nanni, il personaggio di spicco della famiglia, proprietario di uno storico palazzo all’Aquila in stile medievale e rinascimentale, sfruttava le antiche vie tratturali per sostenere le attività di famiglia legate al commercio di preziosi tessuti e all’allevamento. Amico di San Bernardino da Siena, sarà Jacopo di Notar Nanni a finanziare, insieme alle donazioni della contessa Covella di Celano, la costruzione del Mausoleo di San Bernardino, capolavoro rinascimentale di Silvestro dell’Aquila.
Libro d’ore, 1490 – 1504, appartenuto alla famiglia Notar Nanni – Miniature e decorazioni su pregiata pergamena – MuNDA L’Aquila – Foto Leo De Rocco
Già in epoca romana la Piana di Navelli era attraversata dalla Via Claudia Nova, costruita nel 47 d.C. dall’imperatore Claudio, lo stesso dei cunicoli scavati nel Fucino, per unire la già esistente Via Cecilia (una variante della Salaria che arrivava fino all’antica Hatria, l’attuale Atri) con la Via Claudia Valeria (Tiburtina), nella zona a valle di Navelli, tra Bussi sul Tirino e Popoli.
Ma ancora prima qui si incrociavano gli antichi sentieri dei tratturi, come il tratturo che collegava L’Aquila alla Puglia, detto il “Tratturo del Re“; ma anche l’importante “Via degli Abruzzi” che fin dal Medioevo, (l’antica via consolare romana “Numicia”) e poi nel Rinascimento, univa Firenze, all’epoca capitale dell’arte e dei commerci europei, con l’Abruzzo quindi con Napoli, nuova capitale del Regno, già di Sicilia. (1)
(Foto sotto un “cippo” del Tratturo Regio nei pressi di Navelli).
Altopiano di Navelli, cippo del Tratturo del Re – Foto Leo De Rocco
Navelli – Foto Leo De Rocco
Chiesa di Santa Maria delle Grazie in località Civitaretenga, Navelli – foto Leo De Rocco
La Torre civica nel borgo fortificato di Civitaretenga – l’immagine è di pubblico dominio e d’archivio in quanto la torre è crollata durante il terremoto del 2009 – Civitaretenga, frazione di Navelli, è il paese di origine della famiglia Notar Nanni, stabilitasi a L’Aquila nel ‘400.
Chiesa di Santa Maria de’ Centurelli – Altopiano di Navelli – Foto Leo De Rocco
Molte abbazie e piccole chiese rurali furono costruite lungo queste antiche vie per consentire ai viaggiatori la sosta, il riposo e la preghiera. La chiesa di Santa Maria de’ Centurelli è una di queste, si trova nella zona di Caporciano, altro borgo che insieme a Navelli e agli altri centri di questo altipiano fa parte della “Comunità Montana di Campo Imperatore e Piana di Navelli”. Una frazione di Caporciano, Bominaco, conserva uno dei tesori più importanti del medioevo abruzzese: l’Oratorio di San Pellegrino.
Alcuni di questi edifici di culto prima della diffusione del cristianesimo erano templi pagani. E’ il caso di Santa Maria in Cerulis, una chiesa vicino Navelli, costruita sui resti di un antico tempio. Una iscrizione in lingua vestina dedicata a Hercules Iovius, fu ritrovata proprio qui ed ora si trova nel Museo Archeologico di Napoli.
Sulla storia di questa antica iscrizione: “T.Vetius donum dedit Herculi Iovio…”, ho trovato alcune informazioni su un vecchio libro di storia datato 1864. L’iscrizione era una dedica di ringraziamento che la famiglia di un certo “T. Vezio” rivolgeva “come dono” per l’aiuto ricevuto dal dio Ercole Giovio, ossia l’Ercole italico che proteggeva “la proprietà dei confini e della famiglia”.
Stemma di Navelli con “una nave flottante nel mare” – Palazzo del Comune di Navelli – Foto Leo De Rocco
Il toponimo “Navelli” fa pensare ad una piccola nave. Con sorpresa la scopro disegnata sull’antico emblema cittadino che ho fotografato nel palazzo del Municipio. Ma cosa ci fa una nave flottante sul mare in un luogo prettamente montano? Ci troviamo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
Nella biblioteca comunale scopro anche che il paese è diviso in due parti, una medievale e l’altra rinascimentale, chiamate “spiagge grandi e spiagge piccole” : un gioco di parole e simboli…che rompicapo!
Azzardo una ipotesi per la soluzione dell’enigma. Forse la chiave di lettura si trova nella iconografia dello stemma di Navelli che nel rappresentare “una nave flottante nel mare”, ricorda che anticamente i suoi abitanti partirono da qui per raggiungere la costa e imbarcarsi per partecipare alle Crociate.
Del resto la vicina Capestrano diede i natali a Giovanni detto “da Capestrano” che fu francescano e santo, ma anche soldato: addirittura comandante in una crociata, quella contro gli ottomani del sultano Maometto II (1432 – 1481) nel famoso “Assedio di Belgrado” (1456), tre anni dopo la caduta di Costantinopoli.
Un’altra ipotesi, che ho appreso dai racconti di alcuni navellesi, farebbe risalire il nome “Navelli” al fatto che sulla piana anticamente si trovava un piccolo lago. (foto sotto)
Navelli – Vicino l’antica cisterna, ciò che rimane del presunto “lago” – Foto Leo De Rocco
Navelli – Antica cisterna – Foto Leo De Rocco
Navelli – Ingresso alla Cisterna – Foto Leo De Rocco
Navelli in una suggestiva atmosfera primaverile – Foto Lyon Corso Photography
Lo Zafferano di Navelli
Navelli con il suo altopiano così bello, ricco di storia e apparentemente solitario che lo fa percepire come un’oasi di pace in cui è piacevole passare il tempo, è conosciuto dagli chef di tutto il mondo per il pregiato zafferano che da queste parti viene prodotto da secoli. Il suo fiore è diventato uno dei simboli di Navelli: il Crocus sativus.
La storia della coltivazione e dell’uso dello zafferano risale a migliaia di anni fa e abbraccia molte culture e continenti. Originario dell’Asia sud-occidentale, nell’antica Persia, lo zafferano è stato coltivato la prima volta in Grecia. Negli affreschi del palazzo della Creta minoica sono raffigurate ragazze che raccolgono i fiori di crocus, ma pigmenti a base di zafferano sono stati rinvenuti in alcune pitture rupestri dell’odierno Iraq, pertanto la storia dello zafferano è così antica che si perde nel tempo.
Sulle tavole rinascimentali di Firenze e in quelle delle corti del Regno di Napoli, ma anche nella Vienna degli Asburgo e fino al nord Europa, non mancava mai lo zafferano, che arrivava direttamente dall’altipiano navellese. Nel Cinquecento il valore dello zafferano di Navelli superava la quotazione dell’argento, bastavano 500 grammi per comprare un cavallo. Anche il famoso piatto tipico meneghino, il “risotto alla milanese”, nacque durante il Rinascimento grazie alla diffusione dello zafferano di Navelli.
Anche prima del Rinascimento lo zafferano era considerato un lusso ed era una spezia riservata alle classi nobiliari. Re, regine, faraoni e religiosi ne facevano un largo uso che spaziava dalla cucina ai profumi, dai bagni curativi e afrodisiaci alle decorazione floreali di letti principeschi.
Carlo Magno trasportava in Oriente grandi quantità di zafferano per barattarlo con tappeti e preziosi. Ma prima di lui Alessandro il Macedone già conosceva la preziosa spezia. Lo Za῾farān, antico nome arabo dello zafferano, veniva usato non solo nelle pietanze elaborate, ma anche per profumare i pavimenti di lussuosi palazzi, per tingere abiti e i capelli delle dame di corte nonché per colorare il vetro.
Come inizia la coltivazione del crocus qui a Navelli? Si racconta che intorno al 1200 un giovane frate domenicano, membro della famiglia dei baroni Santucci proprietari dell’omonimo palazzo baronale che domina Navelli (vedi foto), tornò in Abruzzo. Il frate faceva parte del Tribunale della Santa Inquisizione spagnola a Toledo ed era appassionato di agricoltura, portò in Abruzzo (si racconta nascosti in un ombrello) alcuni bulbi di Crocus, il fiore da cui si ricava lo zafferano.

Stemma dei Medici a Santo Stefano di Sessanio – Foto Leo De Rocco
Il Crocus arrivò in Spagna secoli prima, importato dagli arabi durante l’occupazione moresca della penisola iberica. La pianta trovò nell’altopiano di Navelli un habitat climatico e ambientale ancora più favorevoli e il prodotto risultò per questo qualitativamente superiore.
Furono i fiorentini, che avevano fiuto per gli affari soprattutto per il commercio e le banche con la famosa famiglia dei Medici a dare impulso, grazie anche allo sviluppo delle citate vie di comunicazione, al commercio del pregiato zafferano navellese. I Medici amministrarono vaste zone dell’Abruzzo aquilano, a Capestrano, fino a Santo Stefano di Sessanio, controllando il commercio della lana, della seta e delle spezie.
La storia dello zafferano si perde nella mitologia greca che attribuiva la sua nascita all’unione amorosa tra un bellissimo giovane di nome Crocus (come il fiore) e una ninfa di nome Smilace.
Statua di Hermes – Museo del Louvre – Foto Leo De Rocco
Ma la bella ninfa era desiderata anche dal dio Ermes il quale per gelosia trasformò il giovane Crocus in un bulbo, dal quale poi sbocciò un fiore.
Ovidio, nativo di Sulmona, nella sua “Ars Amatoria” parla di “vesti e veli tinti color zafferano.” Il fiore viene citato anche da Omero, Virgilio e Plinio. L’ateniese Isocrate amava l’essenza di zafferano, all’epoca proveniente dal nord di Cipro, e lo utilizzava per profumare i guanciali. Lucrezia Borgia, ricordata anche per la sua folta capigliatura lunga, si racconta, un metro e mezzo, usava fare impacchi con misture alla base di zafferano per creare riflessi dorati ai suoi capelli.
Milano, Biblioteca Ambrosiana, teca con ciocca di capelli di Lucrezia Borgia – Foto Raffaele Pagani
Ancora oggi lo Zafferano di Navelli, viene coltivato e lavorato con metodi antichi e artigianali, senza alcun tipo di intervento meccanico. Con fatica e passione i contadini della Piana di Navelli raccolgono i delicati fiori all’alba, uno per uno, e devono farlo prima che si schiudono altrimenti gli stimmi appassiscono. La giornata di raccolta non è scelta a caso, deve essere con cielo coperto ma senza pioggia e deve terminare prima che il sole sia alto.
Occorrono oltre centomila fiori per ottenere un Kg di zafferano. Con grande maestria e pazienza vengono poi staccati uno ad uno gli stimmi dai fiori per essere poi essiccati sopra un setaccio sospeso su un braciere di legna di mandorlo e di quercia.
Se non amate luoghi affollati e caotici, lunghe file e problemi di parcheggio, venite a perdervi piacevolmente tra questi luoghi tranquilli e affascinanti, immersi nel verde e ricchi di storia. Passaggiare tra i silenziosi vicoli di Navelli e scoprire le sue antiche vie è l’essenza del turismo esperienziale.
Leo De Rocco
Copyright testo e foto – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com
Foto, compreso copertina, Navelli giugno 2015; Parigi, agosto 2009 – Fonti: Archivio Biblioteca del Comune di Navelli; Epistolario collettivo di Gian Luigi Piccioli, Bonpiani 1973.