L’Abruzzo magico: riti, castelli, favole e leggende.

In copertina: il gatto del Lavino ‐ Foto Leo De Rocco

Tutto fu ambìto
e tutto fu tentato.
Quel che non fu fatto
io lo sognai;
e tanto era l’ardore
che il sogno eguagliò l’atto. (1)

Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco

In questo articolo mettiamo da parte momentaneamente la storia e l’arte per fare un viaggio alla scoperta dell’Abruzzo magico. Tra riti, tradizioni, racconti popolari e luoghi suggestivi avvolti da atmosfere incantate, faremo un viaggio circondati da fate e maghi, gnomi e “mazzamurelli”, giganti e streghe chiamate “pantafiche”. Come sempre nel nostro blog di impressioni d’occhio e di cuore saranno anche le immagini a parlare. La prima tappa di questo viaggio nell’Abruzzo magico è un bosco misterioso attraversato da acque che cambiano colore in continuazione…

Immaginate un bosco, un vecchio mulino abbandonato, ponticelli, stagni, ruscelli, sorgenti nascoste tra i cespugli che improvvisamente spuntano dal terreno formando laghetti e fiumi con colori che sfumano dal turchese all’azzurro, dall’indaco al verde smeraldo.

Penserete di sognare o di trovarvi nel bel mezzo di un racconto fiabesco, invece ci troviamo ai piedi della Majella, la montagna che gli abruzzesi considerano la loro “madre”, come scrisse il poeta Ovidio, nativo di Sulmona. L’autore delle famose “Metamorfosi”, delle storie mitologiche della maga Medea, e dei Remedia Amoris, ovvero il ricorso alle pratiche magiche per risolvere i problemi d’amore.

Il parco è attraversato dal Lavino, un fiume che nasce nel Vallone di Santo Spirito, nel Parco nazionale della Maiella, dal nome dell’eremo fondato nel XIII dal monaco Pietro da Morrone, il famoso papa Celestino V che al trono papale preferì indossare un saio stracciato e ritirarsi negli eremi solitari immersi nella natura incontaminata della Majella madre.

Scafa – Parco del Lavino – Foto Leo De Rocco

Sono venuto in questo parco per fotografare la particolare colorazione delle acque e condividere con voi questo luogo magico, ma prima vi devo svelare un segreto. Non si tratta di un incantesimo, non ci sono fate, né gnomi, né folletti, ma querce, salici, pioppi, aceri e cespugli di biancospino; eppoi volpi, usignoli, ricci, martin pescatori, faine e un gatto senza stivali…

Mi trovo in una riserva naturale non molto conosciuta, nonostante sia un’area regionale protetta istituita nel 1987. Il Parco del Lavino si trova nell’entroterra pescarese, vicino Scafa, in una località chiamata Decontra che facilmente trovate segnalata transitando sulla Tiburtina.

I colori delle acque di questo parco, combinati con le verdi sfumature del bosco, creano un’affascinante tavolozza cromatica che rende piacevole e suggestivo passeggiare tra questi boschi. Le acque si colorano per via della natura sulfurea delle sue sorgenti. Durante la mia visita sono stato fortunato, ho trovato una intensa colorazione ma anche un simpatico gatto che mi ha fatto compagnia inseguendomi ovunque, tanto da guadagnarsi la copertina di questo articolo. Certo, non è il “Person of the Year” dell’iconica copertina del Time, ma per me è il gatto dell’anno, qui nel magico Parco del Lavino tutto è possibile…

Parco del Lavino – Foto e video Leo De Rocco

All’interno del parco scopro un vecchio mulino abbandonato risalente al ‘600, attualmente in restauro, è chiamato il Mulino Farnese. Il nome rimanda agli Stati Medicei e Farnesiani d’Abruzzo e ai possedimenti abruzzesi di Ottavio Farnese e soprattutto di sua moglie Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V, la “madama”, come la chiamavano in Abruzzo, che diede il nome all’attuale palazzo del Senato italiano, Palazzo Madama appunto, in cui abitò dopo la morte del marito, Alessandro de’ Medici, detto Alessandro il Moro, duca di Firenze e in Abruzzo duca di Penne.

Margherita d’Austria visse i suoi ultimi anni nella sua amata Ortona (fino al 1586). Il Palazzo Farnese sulla ortonese passeggiata “Orientale” fu costruito per lei da Giacomo della Porta, famoso architetto allievo e amico di Michelangelo.

Il Parco del Lavino è uno dei luoghi più singolari e curiosi d’Abuzzo, ideale per trascorrere una giornata rilassante, immersi nel verde e circondati da un bosco che sembra incantato. Ma ricordate, i colori dell’acqua sono imprevedibili, variano di giorno in giorno, anche nel corso della giornata, quindi troverete acque colorate indaco, azzurro o celeste, oppure con la naturale colorazione. Del resto questo è un parco magico…

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Il Parco del Lavino in una suggestiva foto di Lisa Cipollone

L’atmosfera fiabesca di questo parco accende la fantasia e invita a narrare storie fantastiche, a raccontare favole, a ricordare antiche leggende e racconti popolari un tempo molto diffusi in Abruzzo e spesso raccontati dai nonni davanti a un caminetto acceso.

Come la leggenda che fa risalire il nome dei massicci montuosi abruzzesi, il Gran Sasso e la Maiella, i più imponenti dell’Appennino, a un racconto mitologico. Una leggenda probabilmente nata dagli antichi culti pagani dei primi popoli che, secondo i racconti popolari, si insediarono nell’attuale territorio abruzzese: i Pelasgi, provenienti dalle isole dell’Egeo, tra Grecia e Turchia. Così come a Chieti, chiamata anche l’antica Teate, si racconta che la città fu fondata dall’eroe omerico Achille in onore di sua madre Teti, da qui il nome Teate.

In seguito, con lo stanziamento in Abruzzo delle popolazioni Italiche, i Marrucini nell’area di Chieti, i Marsi nella Marsica insieme ai Sabini, i Piceni nell’area del teramano insieme ai Petruzi, quindi i Peligni, gli Equi, i Sanniti, i Frentani, e i Vestini nel resto del territorio abruzzese, gli antichi riti pagani legati alla venerazione degli dèi confluirono in nuove mitologie. Da queste trasformazioni la dea Cibele, una delle Grandi Madri della natura, diventò nei racconti popolari Maja e da Maja deriverebbe il nome del massiccio montuoso abruzzese “Majella“.

Il citato Ovidio definì “Magna Mater” (Grande Madre) la dea Cibele, già venerata nell’antico Medio Oriente come la grande dea della natura, colei che regola i cicli vitali del creato. Come la Dea di Rapino, venerata , come vedremo più avanti, dalle sacerdotesse in una grotta alle falde della Maiella, tra Rapino e Pretoro.

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Il massiccio montuoso della Majella con la vetta più alta il Monte Amaro – Foto Leo De Rocco – Ermes mentre si allaccia i sandali, statua in marmo di epoca romana (da originale greco) Museo del Louvre, Parigi – Foto Leo De Rocco

La leggenda racconta la fuga in Abruzzo di Maja e di suo figlio Ermes. Maja era una delle sette figlie di Atlante, le ninfe delle Pleiadi, dalla sua unione con Zeus nacque Ermes. Ecco il racconto:

Sulle dorate coste abruzzesi un giorno naufragarono Maia, figlia di Atlante e moglie di Zeus, e suo figlio Ermes, ferito in battaglia.

Inseguiti dal nemico, i due si inoltrarono nell’entroterra e trovarono riparo tra i monti del Gran Sasso.

Qui, stanchi e provati, caddero in un sonno profondo. Al risveglio Maja trovò Ermes morto e da quel momento non ebbe più pace: adagiò Ermes su una vetta, con il viso rivolto verso la costellazione delle Pleiadi, da allora il Gran Sasso ebbe il profilo di un gigante che dorme.

Tanta fu la disperazione per il figlio morto che, sconvolta e in preda ad un pianto disperato, cominciò a vagare sui monti senza trovare più pace. Il cordoglio e l’angoscia furono talmente grandi, da stringere il cuore della povera madre, fino a farla morire.

Imponenti cortei arrivarono per onorare la dea, portarono vasi d’oro e d’argento e pietre preziose insieme a ghirlande di fiori ed erbe aromatiche.

Da quel giorno, in sua memoria, quella maestosa montagna fu chiamata Majella. La montagna, prese così la forma di una donna impietrita dal dolore riversa su se stessa con lo sguardo fisso rivolto verso il mare.

Nelle giornate di vento e tempesta i pastori abruzzesi odono ancora i lamenti di Maia, quando i boschi e i valloni riproducono il lamento di una Madre in lacrime. (2)

Angizia, Dea Madre della Natura, III sec.a.C. – Museo Paludi Celano e il Lucus Angitiae a Luco dei Marsi

Campi di lavanda nella valle Peligna, nei pressi di Corfinio (3) – foto e video Leo De Rocco

Nel novero delle dee madri protettrici della natura abruzzese figura anche Angizia. Una dea enigmatica e sfuggente, di lei non si sa molto, forse era la sorella di Circe o della citata Medea, ma è certo che era venerata in quanto incantatrice dei serpenti velenosi, quindi protettrice contro i veleni e conoscitrice delle erbe mediche curative. Anche per questo il popolo dei Marsi è ricordato per la diffusa conoscenza tra le sue genti delle erbe curative.

Sul trono in terracotta della statua di Angizia (foto sopra), risalente al III secolo avanti Cristo e ritrovata nella zona del Fucino, sono raffigurate due meduse che richiamano alla parola greca Mé-dousa, ovvero protettrice e guardiana.

Angizia era venerata dai Marsi in un tempio costruito tra i boschi a ridosso del Lago Fucino: il “Lucus Angitiae”, nel territorio dell’attuale Luco dei Marsi, non lontano dai cunicoli fatti scavare dentro il monte Salviano dall’imperatore Claudio. Un luogo molto suggestivo.

Monte Salviano, Cunicoli di Claudio – video Leo De Rocco

La Dea di Rapino e il diaspro con Giove ritrovati nella Grotta di Rapino – Museo Archeologico Nazionale La Civitella, Chieti – Foto e video Leo De Rocco

Spostandoci nel chietino anche qui troviamo dee madri dominatrici della natura e venerate come tali dai popoli Italici, in questo caso i Marrucini. Come la citata Dea di Rapino, servita anticamente dalle sacerdotesse in una grotta nascosta tra i boschi della Majella, nella quale avveniva la “Prostituzione sacra“.

Questo rito propiziatorio consisteva nella unione carnale tra la divinità pagana e i comuni mortali, con la  mediazione delle sacerdotesse. Da questo rito, che non ha nulla a che fare con il  moderno significato della parola “prostituzione”, derivava abbondanza e fertilità per la terra e i raccolti, nonché i buoni auspici dal dio Giove. Per un approfondimento rimando all’articolo “La Dea di Rapino”, in questo blog.

Sulla scia del culto alla “Dea Madre”, tipica divinità femminile, soprattutto le donne abruzzesi erano le custodi delle antiche conoscenze legate alle erbe, sia curative legate alle prime arti mediche, che saranno poi riprese nel Medioevo dai monaci benedettini, i quali daranno vita alle prime “farmacie, e sia attinenti al mondo della magia, per sconfiggere sortilegi, in particolare il “malocchio”, ma anche come rito propiziatorio di augurio e protezione.

Le mamme, le mogli e le nonne dei pastori, come testimonia lo scultore Costantino Barbella (Chieti, 1853 – Roma, 1925) usavano raccogliere erbe ritenute miracolose, come ad esempio la Ruta, una pianta che terrebbe lontano gli spiriti maligni e il Sambuco, usato come amuleto, in piccoli sacchetti di tela o cuoio chiamato “lu breo“, che i pastori abruzzesi indossavano al collo durante le attività di pastorizia e nei lunghi viaggi effettuati a piedi durante la Transumanza, dall’Abruzzo montano alle pianure delle Puglie, sulle antiche vie dei tratturi.

Costantino Barbella, il pastorello, terracotta, 1873 – Pinacoteca Barbella Chieti – Foto Leo De Rocco – Il bambino indossa al collo un sacchetto contenente erbe scaramantiche chiamato il “breo”.

Il “Breo” indossato da un pastorello – Collezione Bindi Giulianova – Foto Leo De Rocco

Ancora la Majella è protagonista di un altro racconto popolare, una favola, un tempo diffusa tra le genti di montagna. I pastori narravano la storia di una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi, molto amata da un suo coetaneo. I due innamorati usavano incontrarsi di nascosto tra i boschi, alle falde della Majella, fino a quando il giovane perse interesse e improvvisamente mancò agli appuntamenti.

La ragazza disperata chiese consiglio alle anziane del paese le quali dissero di cercare tra quei boschi un fiore d’argento: se lo avesse trovato allora il suo amore sarebbe tornato.

E così fece, la ragazza trovò il prezioso e magico fiorellino d’argento e lo mise nella scollatura del suo vestito, vicino al cuore, così come raccomandarono le anziane. Ma un uomo malvagio la vide e la rapì, portandola in una grotta. Quando il ragazzo tornò per cercare la sua amata venne ucciso dall’uomo, la povera ragazza disperata morì di crepacuore.

I pastori raccontano che da allora sul luogo dove morirono i due giovani innamorati, ai piedi del Monte Amaro, la cima più alta del massiccio della Majella, ogni primavera nasce un bellissimo fiore d’argento, ma può essere visto solo da chi ha un’anima buona e prova un amore sincero per qualcuno.

Gran Sasso, monte Corno 2912 m. La vetta più alta dell’Appennino – Foto Leo De Rocco – Secondo la tradizione popolare il profilo del Gran Sasso sarebbe quello di un “Gigante che dorme”

Farfalle “Cupido Osiris” e prati in fiore nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga – Foto Leo De Rocco

Castello di Rocca Calascio – foto e video Leo De Rocco

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Castello di Rocca Calascio, l’attrice Michelle Pfeiffer e l’attore Rutger Hauer (a Campo Imperatore) durante le riprese del film “Ladyhawke”, 1985

Castello di Rocca Calascio – Foto Franco Nicolli, Instagram franconic89

Il Castello di Rocca Calascio in una foto di Mauro Pagliai / Instagram mauro_pagliai

Il “passaggio segreto attraversato dalla regina”, Castello di Celano – Foto Leo De Rocco

Abruzzo terra di abbazie e castelli. In quasi tutte le favole sono presenti torri e castelli, principi e principesse, re e regine. I celanesi raccontano che tanto tempo fa nel Castello di Celano – l’attuale Castello Piccolomini, sede del Museo dell’Arte Sacra della Marsica e della Collezione Archeologica Torlonia – una regina “di nome Giovanna” usava raggiungere la cripta di un monastero posto a valle del maniero attraverso un passaggio segreto che collegava una delle quattro torri del castello al monastero. Non è chiaro il motivo che spingeva la regina ad attraversare questo tunnel segreto, ci sono diverse versioni, chi dice per evitare la folla, chi per andare a pregare e chi, maliziosamente racconta che “la regina teneva un amante monaco”.

Sono andato a Celano per cercare questo passaggio sotterraneo. Effettivamente il passaggio segreto (foto sopra) sembra ci sia davvero, ma forse non era così segreto… Su Celano e la contessa Covella rimando all’articolo: “Celano, tra storia e leggenda”, in questo blog, link al termine di questo articolo.

Il più famoso castello abruzzese è il Castello di Rocca Calascio, uno dei 15 castelli più belli al mondo secondo il National Geographic. Tra le sue torri merlate, che svettano a quasi 1500 metri di altitudine, e per questo è il castello più alto d’Italia, sono stati girati numerose pellicole cinematografiche, come il film diventato nel tempo un vero e proprio cult: “Ladyhawke” (1985) con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer.

Il Castello di Roccascalegna, altrettanto suggestivo con le sue torri a strapiombo su uno sperone roccioso che domina la Valle del Rio Secco, ci racconta la storia dello “Ius primae noctis”. Si narra che nel ‘600 il barone Corvo de Corvis, proprietario del castello, decise di obbligare tutte le giovani spose a passare la prima notte con lui in una stanza del castello.

Ovviamente i mariti erano molto contrariati. Sicché, prosegue il racconto, un giovane marito il giorno del suo matrimonio decise di travestirsi da donna e salire al castello al posto della moglie, facendo annunciare al barone Corvo de Corvis che stava arrivando una giovane sposina.

Ma una volta giunto nell’alcova il giovane si rivelò, il barone non fece in tempo a chiamare le guardie che fu colpito da una pugnalata, prima di essere gettato dallo sposino nel precipizio. Si racconta che mentre precipitava il barone lasciò sulla parete rocciosa l’impronta della sua mano insanguinata e che questa, nonostante venga periodicamente rimossa, misteriosamente riappare ogni volta.

Anche il Castello di Roccascalegna è stato scelto per le riprese di alcuni film. La trasposizione televisiva de “Il nome della Rosa”, con Rupert Everett, Fabrizio Bentivoglio, Damian Hardung e John Turturro, è stata in parte realizzata in questo castello, così come il pluripremiato “Il racconto dei racconti – Tales of Tales”, con Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones.

Il Castello di Roccascalegna nel film di Matteo Garrone, tratto dai racconti di fiabe di Giambattista Basile, è quello abitato dal re di “Roccaforte”, interpretato da Vincent Cassel, innamorato di Dora, una donna dalla voce musicale e delicata creduta, dal re, giovane e bella ma nella realtà, grazie a un incantesimo, era molto anziana…

Una storia simile alla storia del Castello di Roccascalegna è quella narrata a Montebello sul Sangro, sempre nel chietino. Una leggenda medievale racconta che durante la battaglia per la conquista del feudo rimase sconfitto il feudatario di quelle terre, tale Malanotte. Ai vincitori, nuovi signori del borgo, fu offerto di passare una notte nel Castello Malanotte con le donne del posto. Da allora i nuovi feudatari chiamarono il luogo “Buonanotte“.

Lo stile gotico rinascimentale insieme alla suggestiva posizione dominante sulla Valle del Roveto ha contribuito in passato a trasformare anche il Castello Piccolomini di Balsorano (Aq) in un set cinematografico per film del genere giallo e horror. Non mancano le pellicole erotiche, in questo castello debuttò una giovane Moana Pozzi e l’ortonese Rocco Siffredi vi girò alcuni film.

Castello di Roccascalegna – Foto Leo De Rocco

Montebello sul Sangro, scorcio del borgo abbandonato di Buonanotte Vecchio – Foto di Damiano Natale per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Castello Piccolomini di Balsorano – Foto Gabriele Paesani per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni

Questo misterioso cofanetto cosa conteneva? Si tratta di un manufatto realizzato in epoca medievale, presumibilmente nel XIII secolo. Sono raffigurati 6 cavalieri, dei quali due indossano una maschera.

Sul coperchio ci sono 6 animali riconducibili al bestiario medievale. Un papa regge una chiave, ai suoi lati sono raffigurati un alto prelato e un cavaliere, forse un re, con la spada.

Il cofanetto è conservato da secoli dai frati francescani della Valle Subequana (Aq), le foto, dello storico castelvecchiese Giuseppe Cera, sono state gentilmente concesse per questo articolo.

Valle dell’Orfento, Caramanico – Foto e video Leo De Rocco

Costa dei Trabocchi, la Grotta delle farfalle tra San Vito Chietino e Rocca San Giovanni – Foto Leo De Rocco

Costa dei Trabocchi, la magia delle dune fiorite a Casalbordino – Foto Leo De Rocco

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Flora, dea dei fiori e della Primavera – affresco proveniente da Villa Arianna, I sec.d.C., Stabiae (odierna Castellammare di Stabia) – Museo Archeologico Nazionale Napoli – Foto Leo De Rocco

Riserva Naturale Ceppo-Cascate della Morricana (Te) ‐ Foto Franco Nicolli (Instagram franconic89)

L’Abruzzo è una terra ricca di racconti mitologici, favole, storie fantastiche e credenze popolari. Come la storia, a quanto pare confermata da numerose testimonianze, di una sinistra figura spettrale chiamata “Pantafica”.

La Pantafica sarebbe una specie di strega arcigna che agirebbe nel buio delle camere da letto cercando di rubare il respiro ai dormienti i quali, risvegliati improvvisamente dal peso della strega-pantafica, percepita seduta o distesa sul letto a fianco della vittima o ai suoi piedi, rimarrebbero per alcuni istanti incapaci di muoversi perché immobilizzati (dalla strega) al tal punto da credere di essere paralizzati!

La strega-pantafica, conosciuta anche nelle vicine regioni delle Marche, del Molise e del Lazio, andrebbe a far visita anche ai bambini per “rubare loro il respiro”, per questo un tempo ai neonati veniva regalato un rametto di corallo, un prezioso che secondo la credenza popolare protegge i bambini da streghe, malefici e invidia. Per un approfondimento rimando all’articolo “Arte orafa in Abruzzo, il corallo di Giulianova”, in questo blog.

Gioiello-amuleto in corallo e oro, parte del tesoro della Madonna del Ponte di Lanciano, foto Gino di Paolo, per gentile concessione ad Abruzzo storie e passioni – a destra: Corallo e oro parte del tesoro della Madonna del Ponte – Museo Diocesano – Lanciano – Foto Leo De Rocco

Nella zona di Pescocostanzo per tenere lontano le streghe veniva posizionato vicino al bambino un amuleto in argento contenente peli di tasso. Secondo la credenza popolare la furbizia della strega finisce laddove ci sia qualcosa da contare, come appunto i peli del tasso. E, contando contando arriva l’alba, i primi raggi del sole priverebbero così la strega dei suoi poteri malefici.

In altre zone dell’Abruzzo veniva posizionata una scopa di saggina dietro la porta di casa in modo che la strega, distratta a contare uno a uno i fili di paglia della scopa, veniva sorpresa dalle prime luci dell’alba e così svaniva nel nulla.

In queste stesse zone veniva raccomandato dalle donne anziane di non lasciare i panni stesi all’esterno delle abitazioni durante la notte, in quanto si credeva che le streghe in alcuni giorni dell’anno, in particolare “il venerdì”, andavano alla ricerca di indumenti stesi ad asciugare, soprattutto quelli indossati dai bambini, per eseguire sortilegi e incantesimi.

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David Teniers – Strega all’opera, 1635 – Collezione privata

Colle Pietro, frazione di Mosciano Sant’Angelo, una suggestiva foto di Orlando Moscianese, orlando_92 Instagram

Il corrispondente maschile delle streghe sarebbe il lupo mannaro, ovvero una creatura leggendaria che nelle notti di luna piena abbandonerebbe le sembianze umane per trasformarsi in un gigantesco e feroce uomo-lupo, ululante e con occhi di fuoco.

Per questo motivo, sempre secondo i racconti popolari abruzzesi, anticamente veniva sconsigliato di uscire di casa durante le notti di luna piena, per evitare di imbattersi in un lupo mannaro, il quale poteva essere salvato dalla trasformazione mettendogli vicino un recipiente colmo d’acqua sulla cui superficie si doveva specchiare la luna piena. Il riflesso della luna, era nefasto per l’uomo‐licantropo i cui poteri rimanevano così imprigionati nell’acqua lunare.

Il gigante di Francisco Goya, 1808, Museo del Prado Madrid

Il ciclope Polifemo, 1595, Annibale Carracci, Palazzo Farnese Roma

Il “bicchiere” di pietra davanti Santa Maria del Lago, Moscufo – Foto Leo De Rocco

Tra le leggende abruzzesi si narrano anche storie di giganti. Si racconta che in un tempo molto lontano l’Abruzzo era abitato da esseri giganteschi. Come i mitologici Ciclopi, questi giganti, in Abruzzo chiamati i “Paladini“, si occupavano di pastorizia e transumanza ma, appunto, siccome erano giganti essi in un solo giorno erano capaci di portare le greggi a pascolare nelle Puglie e fare ritorno in Abruzzo la sera stessa. In poco tempo i giganti-pastori diventarono ricchissimi, parte del loro tesoro, si racconta, è ancora nascosto tra i boschi dell’Abruzzo frentano.

I giganti Paladini lasciarono in Abruzzo diverse testimonianze della loro antica presenza, come un “bicchiere” di pietra lasciato davanti alla chiesa di Santa Maria del Lago a Moscufo (Pe), e le mura ciclopiche, Mura Megalitiche di Pallanum, oggi all’interno del Parco Archeologico Naturale Monte Pallano, dal nome dell’antica città italica Pallanum, in realtà sarebbero i recinti costruiti dai giganti per custodire gli animali. Si racconta anche che i giganti del Monte Pallano nei momenti d’ira scagliavano in ogni direzione enormi massi, ancora oggi visibili, come la grande roccia detta la “Morgia” a Gessopalena e quella di Pietranico detta “Pietra di Castello“.

Anche Gabriele d’Annunzio cita nelle sue opere una storia di giganti. Nelle “Novelle della Pescara” a proposito delle usanze religiose diffuse in Abruzzo scrive che “a Torricella Peligna, uomini e fanciulli, coronati di rose e bacche rosee, salgono in pellegrinaggio alla Madonna delle Rose, sopra una rupe dov’è l’orma di Sansone“.

A Torricella Peligna si racconta che il gigante Sansone teneva un piede sul monte del Santuario della Madonna delle Rose e l’altro sull’altro versante della Valle dell’Aventino. L’orma del gigante biblico citato da d’Annunzio sarebbe quella, ancora oggi visibile, lasciata su un pianoro nei pressi della chiesa.

L’antropologo Gennaro Finamore (Gessopalena, 1836 – Lanciano, 1923) studiò le leggende diffuse anticamente tra i paesi di Torricella Peligna e Gessopalena secondo le quali fu Sansone a trasportare fino a Gessopalena la citata Morgia, lasciando su un’altra roccia, oggi non più esistente, l’orma del suo ginocchio.

Come in tutti i racconti popolari anche in questa leggenda si nasconde qualcosa di vero. La seconda roccia con l’orma di Sansone fino alla Seconda guerra mondiale esisteva davvero. Dopo le distruzioni belliche con la conseguente necessità di reperire materiali lapidei, per la ricostruzione fu utilizzata proprio la gigantesca roccia di Sansone.

Monte Pallano, Area Archeologica, Mura Megalitiche – Foto e video Leo De Rocco

Lago di Bomba, visto dal Monte Pallano – Foto Leo De Rocco

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Pietranico – Pietra di Castello, al centro del paese – Foto Leo De Rocco

Ortona, spiaggia della Ritorna – Foto Leo De Rocco

Non solo l’Abruzzo montano, leggende e favole sono diffuse anche tra i paesi del litorale. A Ortona la piccola e romantica spiaggia detta della Ritorna prende il nome dalla storia di un amore perduto.

I marinai raccontano che un giorno arrivò a Ortona un giovane principe a bordo del suo vascello. Il principe chiese al re del castello (l’attuale Castello Aragonese) di poter passare la notte, insieme ai suoi soldati, nel maniero ortonese. Il re acconsentì.

Durante la cena offerta dal re il principe conobbe la principessa, la più bella delle tre figlie del re, e se ne innamorò perdutamente. Il mattino seguente il principe dovette riprendere il largo e, mentre saliva a bordo della sua barca, promise alla bella principessa che sarebbe presto tornato a riprenderla su quella stessa spiaggia.

Ma una volta lasciato il porto di Ortona l’imbarcazione del principe fu attaccata dai pirati turchi. Il principe rimase ucciso, colpito al cuore da una lancia.

Appresa la notizia la principessa corse sulla piccola spiaggia sotto al castello e salita sullo scoglio più alto, disperatamente si mise a gridare verso il mare aperto: “Ritorna, ritorna, ritorna…” e così fece le sere seguenti.

Finché una sera, durante una tempesta, un’onda gigantesca la buttò in acqua facendola annegare. I marinai e i pescatori raccontano che da allora durante i giorni di tempesta su questa spiaggia si sente il dolce lamento della principessa, e fu così gli ortonesi chiamarono questa spiaggia la “spiaggia della Ritorna“.

Dedico questo articolo alla mia cara mamma.

Copyright – Riproduzione riservata – derocco.leo@gmail.com

Pictures, it is forbidden to use any part of this article without specific authorisation – Note: 1) Brano tratto dalle Laudi (Maia), di Gabriele d’Annunzio, ed. il Vittoriale, 1939; 2) Dalla traduzione del poeta aquilano Mario Lolli; 3) per info campo di lavanda 392.4714640 – Foto: compreso copertina Leo De Rocco: Parco delle Sorgenti Sulfuree del Fiume Lavino, febbraio e novembre 2015; Celano, aprile 2015; foto Museo del Louvre, Parigi, agosto 2009; Monte Pallano Parco Archeologico, settembre 2023; Lago di Bomba e Castello di Roccascalegna, ottobre 2023 – Fonti: Gabriele d’Annunzio, 1902, “Le Novelle della Pescara”, edizione Robin, 2011; “Castelvecchio Subequo ” di Giuseppe Cera edizioni Eta Beta – Articolo aggiornato a ottobre 2023

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English version

The fairytale park

Everything was coveted and everything was attempted. I dreamed about what it was not made; and such was the heat that the dream equaled the act. (1)

Imagine a forest, an old abandoned mill, ponds, springs and small lakes with colours that blend from turquoise to blue, and from grey to emerald green. You will be expecting to stand in the middle of a fairy tale. We are rather at the feet of the Majella, the “mother” mountain of the people of Abruzzo, in a not well-known -but by no means less beautiful- natural park: the Park of the Lavino River.


Lavino Park – Scafa – Abruzzo – Italy – ph Leo De Rocco


The unusual colours of the water of this park are due to the nature of its sulphur springs that generate each day a different colour scenario and a charming atmosphere. Inside the park, one can find an old abandoned mill of the 17th century (currently under restoration). This is the Farnese Mill, the name of which refers to the Farnese family, to the so-called Farnesian states of Abruzzo and to the possessions of Ottavio Farnese and of his wife Margaret of Austria, daughter of Charles V, who lived in Ortona until the year 1586. The park is located near Scafa in the province of Pescara.

The fairy-tale atmosphere of this park arouses the imagination of the visitor and brings to mind fantastic stories, such as old legends, like the one that traces the name of the mountain ranges of Abruzzo back to a mythological tale. A legend born from the ancient pagan religions of the first people of Abruzzo, the Pelasgians, who according to some historians originated from the Aegean islands and Greek mainland. Subsequently, with the arrival in Abruzzo of Italic populations, the ancient rites linked to the veneration of the gods converged in new mythologies. Ovidius of Abruzzo defined the goddess Cybele as “Magna Mater” (=Great Mother), who was already venerated in the ancient Middle East as the great goddess of Nature. Cybele later became Maia in folk and mythological tales. Thus, the name of the Majella mountain derives from Maia.


Hermes while lacing his sandals – marble statue of the Roman era (copy of a Greek statue) – Louvre Museum Paris – ph Leo De Rocco


The legend tells that Maia and her son Hermes fled to Abruzzo. Maia was one of the seven daughters of Atlas, the nymphs of the Pleiades. Hermes was born from her union with Zeus.

One day, Maia, daughter of Atlas and wife of Zeus, and her son Hermes, who was wounded in battle, shipwrecked on the golden coasts of Abruzzo. Pursued by the enemy, they both departed towards inland and found shelter in the mountains of the Gran Sasso. Here, since they were tired, they fell into a deep sleep. Upon awakening, Maia found Hermes dead and by that time, she found no peace: she settled Hermes on a mountaintop, with his face towards the constellation of the Pleiades. By that time, the Gran Sasso has had the profile of a sleeping giant. The desperation for her son’s death was so great, that shocked and suffering from a desperate crying, she began to wander the mountains without finding any more peace. The sorrow and distress were so great, that tightened the heart of the poor mother until bringing herself to death.


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Cybele, pottery statue, Roman era – Marsica Museum, Celano (Abruzzo) – ph Leo De Rocco


Impressive processions came to honour the goddess, bringing her vessels of gold and silver and precious stones along with wreaths of flowers and herbs. From that day and in her memory, that majestic mountain was called Majella. The mountain, thus took the shape of a petrified by grief woman, downed on herself and staring towards the sea. On windy and stormy days, the shepherds of Abruzzo will still hear the cries of Maia, when the woods and dales reproduce the lament of a mother in tears. (2)

Another ancient fantasy tale has the Majella as protagonist. The shepherds who brought their flocks to the heights of the “mother mountain” (Majella) told of a beautiful girl with long blond hair, much loved by one boy of same age. The two lovers met secretly in the mountain woods until the young man lost interest and suddenly missed appointments. The disperate girl asked the old women of the village for advice, and who told her to look for a silver flower in those woods: if she find it her love would come back. And so he did, she found the little silver flower and put it in neckline of her dress, near her heart, as the old women said. But an evil man saw her and kidnapped her and taking her to a cave. When the boy returned to look for his beloved he was killed by the man, the poor desperate girl died of a broken heart. The shepherds say that since then on the place where the two young lovers died, at the foot of Monte Amaro, a beautiful silver flower is born every spring, but it can be seen only by who have a good soul and feel sincere love for someone.

If you want to spend a relaxing day, immersed in greenery, and surrounded by turquoise waters, this place is ideal, but remember: the color of the water is not always the same, but it varies every day and even throughout the day, the rest could not be otherwise, this is a magical park…

Leo De Rocco

Abruzzo storie e passioni 2015


Copyright – All rights reserved – This article and the pictures shown on this website are private. It is thus prohibited to retransmit, disseminate or otherwise use any part of this article without written authorisation. – Footnotes: 1) Excerpt from Laudi (Maia), Gabriele d’Annunzio, Vittoriale publisher, 1939; 2) from a translation of the poet of L’Aquila, Mario Lolli – Photos (including cover): Park of the Sulphur springs of the Lavino River, February and November 2015; Celano, April 2015; photo Louvre Museum, Paris, August 2009, author Leo De Rocco – Blogger: Leo De Rocco / derocco.leo@gmail.com

La Dea di Rapino

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